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Pasolini, alle radici della crisi italiana

Proprio a ridosso del 2 novembre, cinquantenario della morte di Pier Paolo Pasolini, tra le tante iniziative in Italia e in Francia, esce il libro di riflessioni di Antonio Cantaro “Amato popolo, il sacro che manca da Pasolini alla crisi delle democrazie”.

Introduzione

La data del 2 novembre segna il cinquantenario della morte violenta di Pier Paolo Pasolini, di quello che fu, non solo certo a parere di chi scrive, il più grande intellettuale del Novecento italiano insieme ad Antonio Gramsci.

Le sue opere e il suo pensiero hanno avuto ed hanno ancora una vasta risonanza anche in molti paesi stranieri. Così, ad esempio, mentre in occasione dell’anniversario La Repubblica pubblica settimanalmente, a partire dal 24 ottobre, venti opere dell’intellettuale friulano, in data 10 ottobre il quotidiano Le Monde, nel suo supplemento libri, ha dedicato, in occasione della pubblicazione in Francia di una delle sue opere poetiche (Transumanar e organizzar), le sue prime due pagine ad una recensione molto elogiativa, l’occasione per ricordare anche l’anniversario della morte. 

In Italia si può ancora segnalare, tra le diverse iniziative per il cinquantenario, l’uscita il 3 novembre di un libro che prende ispirazione, tra l’altro, da alcune delle tematiche politiche dell’intellettuale friulano. Si tratta del testo di Antonio Cantaro Amato popolo – il sacro che manca, da Pasolini alla crisi delle democrazie, Bordeaux editore, Roma, con circa 230 pagine di testo. 

Antonio Cantaro è professore ordinario di diritto costituzionale e pubblico presso l’Università di Urbino e anche ideatore e direttore, con Federico Losurdo, del sito Fuoricollana. Ha pubblicato nel tempo molti testi, alcuni dei quali anche tradotti in Spagna e in Germania.

Il contenuto del volume

Il libro comprende diciassette interventi dell’autore, fatti nel tempo in diverse occasioni, che i, dopo un’introduzione, sono compattati in quattro capitoli: 1) Il popolo dimenticato, 2) Il sacro che manca, 3) il populismo preso sul serio, 4) The Donald, il fascista democratico.

I temi affrontati da Cantaro sono molti e piuttosto impegnativi, ma tutti ruotano intorno alla crisi della democrazia italiana e, più in generale, di quella dei Paesi occidentali – in particolare di quella statunitense – e alle sue cause, con qualche riferimento alle possibili vie d’uscita. 

Ci limiteremo a ricordare solo alcune delle questioni sollevate nel testo, non necessariamente tutte quelle che starebbero più a cuore all’autore. Chi scrive ha cercato di utilizzare il più possibile le stesse parole e le stesse frasi del libro. 

Popolo e populismo

Il primo tema può essere sintetizzato con il titolo del primo capitolo, Il popolo dimenticato ed è quello che prende più diretta ispirazione dalle tematiche pasoliniane. 

Afferma Cantaro: che male c’è ad amare il popolo? La sovranità popolare è ciò che rende autentica e vitale la democrazia. Il popolo è il sacro che ci manca, il sacro che dobbiamo riabilitare per uscire dalla molecolare guerra civile in cui stiamo precipitando. 

Viene subito in mente a chi scrive, per analogia, un testo di Emmanuel Todd, La sconfitta dell’Occidente, pubblicato nel 2024, nel quale si afferma che alla radice della crisi interna statunitense sta in prima linea proprio il progressivo abbandono da parte del Paese del protestantesimo, collante fondamentale che teneva insieme la società. 

Cantaro continua affermando che la democrazia autentica è il popolo che si organizza. In tale quadro il populismo è l’etichetta che le élite mettono alle politiche che a loro non piacciono, ma che hanno il sostegno dei cittadini. Populisti sono considerati tutti i movimenti critici nei confronti delle politiche globaliste neoliberali che hanno dominato la scena recente. 

Significativamente a questo proposito, sempre Le Monde, in data 18 ottobre 2025, pubblica un articolo di Hélène Landemore, professore di scienze politiche a Yale, dal significativo titolo “In Francia il regime politico attuale ha paura del popolo”. Una prova che non si tratta certo di un problema solo italiano.

Incidentalmente, chi scrive essendo un economista, non può non ricordare, appoggiandosi ad un articolo di Martin Wolf apparso sul Financial Times del 22 ottobre, che, come sottolinea Cantaro, il populismo si afferma per una parte consistente per la cattiva gestione economica dei vari governi, ma che poi quelli populisti (Wolf ricorda in particolare il caso dell’Argentina) ottengono risultati economici peggiori di quelli precedenti, anche se spesso durano a lungo. Il populismo argentino è lì dal 1916, ricorda Wolf.

Gli intellettuali

Un secondo tema che qui vogliamo ricordare riguarda gli intellettuali italiani. Cantaro sottolinea come sia tipica del nostro Paese la figura dell’intellettuale cortigiano, un atavico malcostume nazionale di partecipazione al potere e di compromissione con esso. 

A questo proposito a chi scrive viene in mente la figura di Guicciardini come prototipo di tale costume, contro quella di Lorenzo Valla, che ha il coraggio di demolire contro la Chiesa il documento della falsa donazione di Costantino o ancora quella di Poggio Bracciolini, che percorre a cavallo l’Europa alla ricerca di una qualche copia del De rerum natura di Lucrezio, opera che minacciava di andare perduta; dopo averla trovata, Bracciolini impiegherà mille artifici per sottrarla alle grinfie della Chiesa.

Cantaro contrappone alla figura dell’intellettuale cortigiano quelle di Dante, Leopardi, Gramsci, Berlinguer, Pasolini, tutti servitori dell’emancipazione degli umili. Ed in particolare Leopardi, Gramsci, Pasolini, esponenti del più esigente pensiero che l’Italia moderna e contemporanea abbia avuto. 

Pasolini viene visto da Cantaro come un autentico intellettuale civile, appassionato osservatore di un passaggio epocale, quello dell’ascesa del feticismo del denaro e dell’omologazione consumistica delle masse. Accusato di populismo Pasolini portò avanti in sostanza il grande tema dell’emancipazione delle classi subalterne.

La destra

Per Cantaro le destre non stanno facendo risorgere il fascismo storico, come pensano molti a sinistra (nel testo sono peraltro diversi i casi in cui l’autore mette in discussione le idee che circolano in tale settore politico), ma scommettono semmai su di una Seconda Repubblica, una democrazia di investitura. Si tratta di un programma politico di neoliberismo nazionalistico, come testimonia ad esempio la rappresentazione del fisco come “pizzo di Stato” (chi scrive vuole sottolineare come le destre strizzino coscientemente e continuamente l’occhio agli evasori fiscali, che nel nostro Paese sono forse una ventina di milioni). Il capitalismo va fatto crescere liberamente, si afferma da quelle parti politiche -ricorda l’autore – smantellando il welfare universale, coltivando le più svariate misure corporative, strizzando l’occhio ai più diversi padroncini, ma anche agli operai e ai ceti marginali spaventati dall’immigrazione (i penultimi contro gli ultimi), dalle delocalizzazioni produttive e dalla conseguente perdita di posti di lavoro e di salari decenti.

Per altro verso Giorgia Meloni è per l’autore un agente, l’ultimo, di una perniciosa infantilizzazione della politica, di un’esasperata personalizzazione del potere, tendenza che è stata negli ultimi decenni legittimata e alimentata anche a sinistra. 

I guasti della globalizzazione neo-liberale

Cantaro sottolinea come la globalizzazione neoliberale, questa nuova religione che prometteva di assicurare il benessere universale, sia oggi sulla difensiva e, per altri versi, sia il brodo di coltura che alimenta il consenso dei movimenti neo-populisti nel Vecchio continente e al di là dell’Atlantico. Appare lungo l’elenco delle ferite inferte a tutti gli esclusi della globalizzazione. La compressione dei redditi e l’insicurezza hanno coinvolto non solo il lavoro dipendente, ma anche una parte del lavoro autonomo e piccolo-imprenditoriale. Un disagio non solo economico, ma anche politico e civile, una perdita complessiva di dignità sociale.

Il mondo keynesiano dei “Trenta gloriosi” del Secondo dopoguerra, sottolinea l’autore, era guidato da una logica sistemica volta all’inclusione dei poveri e degli emarginati nel vivo della realtà economica. Ora siamo ai “Quaranta ingloriosi”; gli slogan del ritorno alla sovranità ed ai confini è un’alternativa della condizione politica e costituzionale per contrastare la logica globalista intesa come scardinamento di nazioni, comunità, territori a loro modo vitali. 

Le classi popolari sono indubbiamente smarrite e facile preda di sentimenti brutali, oltre che di qualche tranquillante che ne plachi le paure; e la narrazione primatista ed etno-sovranista è, a suo modo, rassicurante, in grado di evocare una qualità e un’identità. 

Un commento

Sin qui le idee dell’autore.

Il testo richiede un minimo di impegno nella lettura, ma non è richiesto uno sforzo erculeo. C’è qualche pagina, verso la fine, quando si discute di Hobbes e della sua idea del popolo e del suo ruolo, che presenta qualche difficoltà di comprensione per il non specialista. 

Chi scrive si trova sostanzialmente d’accordo con la gran arte delle cose che scrive Cantaro. Naturalmente non manca qua e là qualche dubbio e qualche precisazione da parte nostra.

Così ci sembra corretto affermare, come fa l’autore, che una parte importante del successo delle destre nel nostro Paese sia legata ad una reazione ai guasti della globalizzazione. Ma altri fattori ci sembrano altrettanto importanti, dalla già accennata questione fiscale, che precede l’avvio dei processi di globalizzazione, alla presa di vecchia data dei temi generali di quella parte politica su di una fetta importante dell’elettorato italiano.

Si può fare qualche osservazione anche sulla sua analisi della globalizzazione neoliberale. Il processo viene condannato fortemente e l’autore mette correttamente in luce i guasti che ha portato, con le sue conseguenze di compressione dei redditi e insicurezza diffusa anche nelle classi medie. 

Non si tratta però di risultati generalizzabili a livello planetario. Bisognerebbe ricordare che lo stesso fenomeno non ha avuto le stesse conseguenze nei Paesi del Sud del mondo e in particolare in Asia, dove, pur tra molte contraddizioni, ha contribuito fortemente a far uscire dalla miseria molte centinaia di milioni di persone, se non di più ed ha portato Paesi come la Cina, e ora anche l’India, a sfidare vittoriosamente sul fronte economico i Paesi del Nord; anzi complessivamente, facendo i conti correttamente, i Paesi del Sud del mondo controllano ormai una quota del Pil mondiale vicina ai due terzi del totale e la Cina circa il doppio degli Stati Uniti. Non a caso gli stessi Paesi del Sud sono tuttora i più convinti sostenitori dell’apertura delle frontiere.

Il caso delle delocalizzazioni degli investimenti produttivi dall’Occidente all’Oriente, fatto che poi arriverà a destabilizzare l’economia dei primi, fa venire alla mente almeno un precedente storico. Nel Seicento l’Olanda era il leader dell’economia europea, ma finanziò con i suoi abbondanti risparmi il decollo di quella inglese, che poi distrusse quella del Paese vicino, rubandole il primato.

Si può anche discutere se la globalizzazione sia proprio in ritirata nel mondo, come sembra credere Cantaro, o non si tratti invece di una trasformazione in atto del fenomeno, tra l’altro con una riduzione del peso dei Paesi del Nord nel processo.

Un altro passo del testo può suscitare qualche dubbio, laddove l’autore cerca di interpretare, certamente con molta maestria, le motivazioni che stanno dietro al comportamento di Trump, motivazioni sintetizzate nel testo in sette punti. L’analisi fa emergere un Trump profondo stratega, una specie di Sun Tzu statunitense; ci sia concesso di dubitare che il presidente Usa muova le sue pedine avendo in mente tutte le premesse indicate nel testo.

In conclusione si tratta di un volume che appare molto opportuno leggere per chi è interessato a cercare di orientarsi nel labirinto della politica italiana e della sua crisi, nonché per chi voglia riflettere sulle ragioni delle difficoltà dell’ormai ex-egemone statunitense e dei suoi vassalli.