E se la crociata della Commissione contro la burocrazia di Bruxelles mascherasse solo l’intento di promuovere la deregolamentazione auspicata dai grandi gruppi economici?
E se la crociata della Commissione Europea contro la burocrazia di Bruxelles mascherasse solo l’intento di promuovere quella deregolamentazione auspicata dai grandi gruppi economici, capaci di fare lobby meglio di chiunque altro? Si tratterebbe di una spinta neoliberista che, sotto la bandiera ingannevole del tentativo di salvaguardare la competitività e mettere un freno alla mostruosa macchina burocratica comunitaria, sarebbe pensata per indebolire la nuova legislazione e “rottamare” le norme europee esistenti, in materia soprattutto ambientale e di protezione sociale. Ce lo dicono il Corporate Europe Observatory (CEO), un’organizzazione no-profit che si propone di esporre gli effetti di lobbying aziendale sui processi decisionali dell’UE, e Friends of the Earth Europe (FoEE), una ONG internazionale che si occupa di tematiche ambientali, accesso e distribuzione delle risorse e giustizia ambientale nel report “La crociata contro la burocrazia”, pubblicato l’ottobre scorso.
La famigerata burocrazia di Bruxelles, un esercito di 60 mila persone, in realtà, ha praticamente lo stesso numero di dipendenti del Comune di Roma, tra i dipendenti diretti che sono 25 mila e i 32 mila delle aziende partecipate (fra Ama, Atac e Acea e altre) a cui sono state affidate le esternalizzazioni dei servizi. Questo dato da solo basta a porre un dubbio sulla grande importanza data alla lotta alla burocratizzazione comunitaria dalla Commissione Barroso prima e da quella Juncker oggi.
Vale la pena richiamare le riflessioni di Bobbio sulle “promesse non mantenute della democrazia”, di quel meccanismo delicato che si guasta al minimo urto, e che si scontra con una serie di paradossi : con il fatto cioè che si chiede «sempre più democrazia in condizioni obiettive sempre più sfavorevoli. Da qui anche il problema della crescente burocratizzazione degli apparati di potere e l’ascesa della tecnocrazia come conseguenza dell’effetto dello sviluppo tecnico: nelle società moderne sono aumentati sempre di più i problemi che richiedono soluzioni tecniche, cioè affidabili solo a persone competenti, da cui nasce la tentazione di governare attraverso i puri tecnici, anche se lo sviluppo tecnico crea esso stesso problemi politici sempre nuovi – ricordava sempre Bobbio –.
Un’altra delle promesse non mantenute ricordate dal filosofo che si interseca con i dati presentati da Corporate Europe Observatory e da Friends of the Earth Europe sul successo dell’attività lobbistica dei grandi gruppi economici è la questione della rivincita degli interessi sulla rappresentanza politica, se con quest’ultima espressione si intende la rappresentanza degli interessi generali che si contrappone agli interessi parziali.
Se l’accusa alla burocrazia di limitare la libertà dei cittadini consumatori nel poter scegliere se avere in casa una lampadina a basso impatto o meno, o che tipo di aspirapolvere, fino ad arrivare alla recentissima campagna di Matteo Salvini sui tostapane, fosse solo un ben congegnato alibi per favorire le compagnie che si vedono limitare la libertà di sfruttare i lavoratori da un lato e le risorse ambientali dall’altro? Ci troveremmo di fronte al caso di un interesse parziale (l’avere meno regole) che si fa strada mascherandosi da interesse generale (liberarsi dalla tirannia di un potere non democratico come quello della burocrazia).
Guardando più nel dettaglio la situazione vediamo che il programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT) lanciato dalla Commissione Barroso nel dicembre 2012 e caldamente sostenuto dal Primo Ministro britannico Cameron è definito come un programma per rendere la legislazione dell’UE più semplice e ridurre i costi della regolamentazione, contribuendo a creare un contesto normativo chiaro, stabile e prevedibile per sostenere la crescita e l’occupazione. La chiave per semplificare le regole tra le quali si devono muovere imprenditori, lavoratori e cittadini. Ma le implicazioni del significato che si decide di attribuire alla parola “semplificazione” nel caso concreto non sono neutrali.
Un ruolo importante in questo quadro è dato dal ruolo delle “proposte ritirate”: secondo quanto detto dalla CE “nell’ambito del programma REFIT, la Commissione ritira regolarmente le proposte divenute obsolete o che non godono del sostegno del legislatore. In totale dal 2006 sono state ritirate 293 proposte. Tra queste figurano quelle riguardanti lo statuto della società privata europea, l’accesso alla giustizia nel settore dell’ambiente e una direttiva quadro sul suolo”. Nell’elenco delle numerose proposte legislative che si è deciso di abbandonare – pubblicato a giugno 2014 – compaiono proposte su patologie muscoloscheletriche, agenti cancerogeni e mutageni e tra le numerose abrogazioni previste figura la legislazione sulla classificazione, l’imballaggio e l’etichettatura di preparati chimici pericolosi. Sono stati poi annunciati nuovi piani per il ritiro di alcune proposte per una nuova legislazione, come nel caso del congedo minimo di maternità o del risarcimento per i danni da inquinamento da idrocarburi, e nuove abrogazioni, ad esempio in materia di etichettatura energetica e ambientale.
Nel mese di maggio 2014, 53 proposte legislative sono state accantonate e tra queste ce ne sono due che meritano particolare attenzione: in primo luogo, la direttiva quadro sulla protezione del Suolo (George Monbiot ha descritto la cancellazione di questa direttiva come un colpo di stato da parte del governo britannico e della lobby degli agricoltori del Regno Unito, la National Farmers Union, nella misura in cui da una ricerca della stessa Commissione è emerso che la biodiversità del suolo è in pericolo in oltre la metà del territorio dell’UE, con un costo per il deterioramento del terreno pari a 38 miliardi all’anno); in secondo luogo, poi, il ritiro della proposta sull’accesso alla giustizia ambientale (ideata per attuare il terzo pilastro della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione pubblica ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale).
Il documento di Corporate Europe Observatory e Friends of the Earth Europe analizza come dalle prime dichiarazioni sulla necessità di affrontare il problema di ridurre gli oneri amministrativi che creano burocrazia ci sia stato un veloce cambio di approccio verso il problema di ridurre gli oneri normativi per le imprese del 25%: questa operazione secondo la Commissione avrebbe comportato un risparmio di 30,8 miliardi di euro. L’uso della retorica sulla competitività delle piccole e medie imprese (PMI) secondo i sindacati critici di REFIT mascherava in realtà un attacco ai diritti dei lavoratori – in particolare quello alla salute e quello alla sicurezza, ma anche in materia di dialogo sociale e di informazione e consultazione con i lavoratori – attraverso il tentativo di esonerare le PMI che sono il 99% di tutte le imprese europee (una PMI può avere fino a 50 milioni di fatturato annuo e 250 dipendenti) dalla regolamentazione.
Lo European Trade Union Institute (ETUI) contrasta l’ipotesi per la quale ogni onere amministrativo sarebbe burocrazia semplicemente inutile, sostenendo invece che “le procedure amministrative sono essenziali per garantire la certezza del diritto, il controllo democratico e la governance”. In particolare, i controlli di idoneità e le valutazioni di impatto promuovono i grandi interessi economici: si tratta di valutazioni politiche atte a vedere se il quadro di una regolamentazione è “adatta allo scopo”, e ad identificare “eccessivi oneri, sovrapposizioni, lacune, incoerenze e / o misure obsolete”. Le leggi sono valutate secondo cinque criteri: efficacia, efficienza, coerenza, pertinenza e valore aggiunto dell’UE (i criteri di efficienza determinano se i costi di attuazione sono ragionevoli o sproporzionati rispetto ai benefici). I controlli di idoneità e la valutazione della normativa ambientale UE e delle leggi che riguardano i diritti dei lavoratori sono affidati ad aziende che offrono servizi professionali come Deloitte, la più grande azienda nel mondo per la fornitura di servizi di consulenza fiscale e finanziaria a clienti che vanno da Starbucks e Microsoft, a Siemens e General Motors. L’ Impact Assessment Board (IAB) è stato creato nel 2006 ed è presieduto dal Vice Segretario generale e composto da funzionari della Commissione di alto livello, ma le lobby spingono addirittura per un organismo di controllo “indipendente” ed esterno alla CE. Il Gruppo Stoiber, chiamato così per essere stato diretto da Edmund Stoiber, un conservatore ex Ministro e Presidente della Baviera, è stato istituito nel 2007, e ha concluso il mandato il 31 ottobre di quest’anno, per fornire consulenza alla Commissione sull’attuazione del suo programma d’azione per la riduzione degli ostacoli amministrativi ha prodotto politiche vantaggiose per i grandi potentati economici, trovandosi anche in una situazione di conflitto d’interessi rispetto all’affidamento dell’incarico a Deloitte (insieme a Cap Gemini e Ramboll Management) con il budget di 17 miliardi di euro che aveva a disposizione (Stoiber ha nello stesso periodo assunto un incarico come consulente di Deloitte e già in precedenza era stato anche coinvolto nella vicenda Dalligate, su una società di tabacco bavarese).
Nonostante questo, anche la nuova Commissione Juncker sembra intenzionata a percorrere la stessa strada: in risposta alla nomina senza precedenti da parte di Juncker di un Primo Vice Presidente con la competenza per una migliore regolamentazione, il gruppo parlamentare “Red Tape Watch” presieduto dal popolare Markus Pieper ha annunciato la creazione di “un portafoglio per una migliore regolamentazione e deregolamentazione”. Nel gruppo siedono una serie di deputati con stretti legami con le grandi imprese: l’austriaco Paul Rübig, membro del famigerato Gruppo Canguro, il cui membri del consiglio sono BP, Goldman Sachs, e Phillip Morris; il polacco Michał Boni, che guadagna fino a € 5000 al mese in qualità di consulente per la grande impresa polacca Lewiatan, di cui fanno parte Google, Tesco, e Alstom; e il danese Bendt Bendtsen che siede nel Consiglio del gigante bancario danese Danske Bank.
Lo slogan spesso ripetuto da Juncker “Voglio una Unione europea che sia più grande e più ambiziosa sulle grandi cose, e più piccola e modesta sulle piccole cose” sembra porre ancora una volta un forte accento sulla riduzione della burocrazia e della regolamentazione onerosa. Il suo mandato è all’inizio e staremo a vedere cosa succederà ma sembra per ora intenzionato a proseguire il cammino inaugurato da REFIT verso l’abolizione di tutte quelle norme che aumentano i costi per le imprese – in materia ambientale e sociale -.