La Polonia ha l’esercito europeo più grande, 200mila militari, e spende già il 3,5% del Pil per la difesa. Con gli altri paesi dell’Est Europa è all’avanguardia del riarmo Ue. Un’analisi che anticipiamo dell’ebook di Sbilanciamoci! “Europa a mano armata”.
Il conflitto russo-ucraino ha avuto significative ripercussioni su tutti i paesi dell’Unione Europea, ma l’impatto più marcato è stato avvertito nei paesi dell’Europa orientale, per i quali ha rappresentato una sfida diretta in termini di sicurezza e stabilità politica ed economica.
A partire dall’inizio del conflitto in Ucraina nel 2014, e in maniera ancor più evidente con l’invasione russa del 2022, i governi dell’Est Europa hanno impresso una forte accelerazione alla crescita della spesa militare, all’acquisto di sistemi d’arma e al rafforzamento dei propri eserciti nazionali. A fronte di una minaccia – reale o percepita – proveniente dalla Russia, questi paesi hanno scelto la via del riarmo come principale risposta, spinti anche dalle pressioni degli Stati Uniti e della NATO. Nel 2023, la Polonia ha superato le 200mila unità di personale militare, raggiungendo e superando la Francia, che storicamente deteneva il record di membro europeo della NATO con l’esercito di maggior dimensione (fonte: NATO). In questo quadro, la recente vittoria del candidato di estrema destra Karol Nawrocki alle elezioni presidenziali polacche introduce significativi elementi di incertezza sull’evoluzione futura delle politiche di difesa, in un paese che ha finora guidato il riarmo regionale.
In assenza di un progetto condiviso di sicurezza europea, il rischio è che la militarizzazione dei paesi dell’Europa orientale trascini l’intero continente in una pericolosa escalation militare. A ciò si aggiunge la minaccia di un ridimensionamento del sostegno militare statunitense, che spinge i paesi europei a aumentare il proprio impegno militare.
In questo contesto, è importante comprendere come stia evolvendo il riarmo dell’Est Europa, in particolare in Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia. Tre grafici illustrano la traiettoria delle spese militari in questi paesi tra il 2000 e il 2023. La Figura 1 mostra l’evoluzione della spesa militare in rapporto al Prodotto Interno Lordo. La Figura 2 illustra la quota di spesa militare destinata all’acquisto di armi ed equipaggiamenti. Infine, la Figura 3 riporta l’andamento delle esportazioni e delle importazioni di armamenti.
Osservando la dinamica delle spese militari in rapporto al PIL, illustrata in Figura 1, è possibile individuare due fasi distinte. Dal 2000 al 2014, la quota di PIL destinata alla spesa militare ha registrato una diminuzione, passando dall’1,8% a meno dell’1% in Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia. Diversamente dagli altri Paesi dell’area, la Polonia si è distinta per una quota relativamente stabile, che si è attestata tra l’1,6 e l’1,9%.
Con lo scoppio del conflitto in Ucraina nel 2014 si registra un’inversione di tendenza. La spesa militare in rapporto al PIL cresce costantemente, rallentando solo nel 2020 durante la pandemia da Covid-19. L’aggravarsi della guerra nel 2022 porta ad un nuovo aumento ancor più marcato. La Polonia, con una spesa militare pari a 21 miliardi di dollari nel 2023 e una quota del 3,3% del PIL destinata alla difesa, è il Paese della NATO che impegna la maggiore quota di risorse nazionali nella spesa militare, superando persino gli Stati Uniti (3,2%) e distanziando nettamente Regno Unito (2,3%), Francia (1,9%), Germania (1,6%) e Italia (1,5%). Le recenti dichiarazioni del primo ministro polacco Donald Tusk indicano una previsione di spesa per il 2025 pari al 4,7% del PIL, un livello molto vicino alla soglia del 5% proposta da Donald Trump come nuovo obiettivo per i Paesi NATO.
La crescita dell’impegno militare est europeo appare imponente e mostra un deciso cambio di passo rispetto ai paesi dell’Europa occidentale. In termini assoluti, nel 2023 la spesa militare complessiva di Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca ha raggiunto i 29 miliardi di dollari (a prezzi costanti del 2015), un livello pari all’intera spesa sostenuta dall’Italia nello stesso anno, pur rimanendo lontana dai livelli registrati dalla Germania (circa 60 miliardi di dollari) e dalla Francia (circa 52 miliardi di dollari). Considerazioni analoghe valgono se consideriamo l’export di armamenti, riportato in Figura 3.
Tra le determinanti dell’aumento della spesa militare non rientra solo la guerra in Ucraina, ma anche un fattore meno noto. In risposta allo scoppio del conflitto russo-ucraino nel 2014, i paesi NATO hanno concordato dei benchmark militari comuni, ufficializzati nella Dichiarazione del Galles. La cosiddetta “regola del 2%” fissa al 2% del PIL l’obiettivo minimo di spesa per la difesa, imponendo un incremento sostanziale e permanente dello sforzo militare. Meno nota è invece la “regola del 20%”, secondo la quale i paesi membri dell’Alleanza atlantica si impegnano a destinare almeno il 20% della loro spesa militare in armi ed equipaggiamenti. A tal proposito, la Figura 2 evidenzia l’andamento della quota di spesa militare destinata all’acquisto di equipaggiamenti.
È evidente come il 2014 abbia segnato l’inizio di un nuovo ciclo per l’industria militare in Europa, caratterizzato da crescente militarizzazione. I Paesi dell’UE orientale non solo raggiungono il benchmark del 20%, ma lo superano ampiamente, registrando quote superiori al 40% e picchi per paese al 44,7% (Polonia, 2023), 40,1% (Slovacchia, 2019) e 47.6% (Ungheria, 2022). Tali valori risultano significativamente superiori ai picchi registrati in Francia (29,1%), Germania (18,4%), Italia (23,2%) e Spagna (27,4%). Nel 2023, la spesa complessiva in armi ed equipaggiamenti dei quattro paesi dell’Europa orientale (11,8 miliardi di dollari, a prezzi costanti del 2015) ha superato quella della Germania (10,8 miliardi). La sola Polonia, con 9,3 miliardi di dollari destinati all’acquisto di armi, ha speso circa una volta e mezzo l’Italia (6,5 miliardi) e più del doppio della Spagna (4,4 miliardi).
I dati riportati suggeriscono una chiara volontà di riarmo del fianco orientale della NATO e segnalano un cambiamento strutturale dei Paesi dell’Est Europa verso economie maggiormente orientate alla produzione bellica. In Slovacchia e soprattutto in Polonia si osserva una crescente specializzazione industriale nella produzione di armamenti, con rischi di ripercussioni negative sulla capacità produttiva manifatturiera civile, sulla tenuta dei sistemi di welfare e sulla qualità delle istituzioni democratiche. Come ben documentato da un’ampia letteratura economica, se da un lato l’aumento della spesa militare può stimolare le innovazioni e sostenere la produzione nazionale in presenza di risorse produttive inutilizzate, dall’altro assorbe parte della limitata capacità produttiva nazionale, sottraendo risorse ai consumi e agli investimenti privati (Nascia e Pianta, 2009; Dunne e Smith, 2020; Cepparulo e Pasimeni, 2024). In presenza di vincoli istituzionali alla spesa pubblica, un aumento delle spese militari riduce lo spazio per gli investimenti pubblici in ambito civile e per le spese sociali e ambientali, con effetti negativi sulla tenuta dei livelli occupazionali e sulla qualità della vita (Bonaiuti, et al., 2024; Stamegna, et al, 2024). La militarizzazione dell’economia si accompagna inoltre ad un peggioramento della distribuzione dei redditi e ad un rafforzamento delle spinte autoritarie (Biscione e Caruso, 2019; Thorpe, 2014).
Sebbene la narrativa ufficiale giustifichi un tale incremento della spesa per gli armamenti con l’obiettivo di rafforzare la deterrenza ed evitare un allargamento del conflitto, l’effetto concreto è quello di alimentare una corsa al riarmo su scala continentale. Questo processo, lungi dal garantire maggiore sicurezza, rischia di essere percepito come una minaccia dalle potenze rivali, innescando una pericolosa escalation militare e acuendo le tensioni al confine tra Unione Europea e Russia.
Il riarmo dei paesi dell’Est Europa si riflette anche in un aumento significativo delle importazioni e delle esportazioni di armamenti (Figura 3). Le dinamiche riportate mostrano l’effetto della recrudescenza della guerra nel 2022. La crescita delle importazioni risponde all’obiettivo di riarmo sopramenzionato e completa la dinamica illustrata dalla Figura 2.
Parallelamente, l’aumento dell’export di armi si iscrive nel progetto del primo ministro polacco Donald Tusk di rendere la Polonia la prima potenza militare dell’UE. In linea con la volontà della presidente von der Leyen e del nuovo commissario per la Difesa, Andrius Kubilius, di “lavorare sullo sviluppo dell’Unione europea della Difesa e rilanciare gli investimenti e la capacità industriale”, Tusk ha dichiarato pubblicamente l’intenzione di dare priorità ai settori della difesa e della sicurezza, inclusa quella nucleare. Come anticipato, la Polonia detiene già il più alto numero di personale militare tra i Paesi UE, ma il primo ministro vuole estendere l’addestramento militare ad ogni maschio adulto al fine di creare un esercito nazionale di 500 mila uomini. Questo target, unito all’incremento esponenziale di spesa militare, export ed import di armi, ed investimenti in equipaggiamenti, sembra delineare un vero e proprio piano di militarizzazione nazionale. Resta da vedere se questo orientamento verrà confermato durante il periodo di coabitazione che si preannuncia tra il primo ministro polacco Tusk e il nuovo presidente Nawrocki.
I Paesi dell’UE orientale hanno scelto il riarmo come asse per ridefinire i rapporti geopolitici della regione e stanno spingendo l’intera Unione verso una traiettoria di militarizzazione che rischia di compromettere seriamente i principi fondativi di cooperazione pacifica dell’integrazione europea. Inoltre, la corsa al riarmo, nata come reazione alla guerra in Ucraina, sta generando ulteriori tensioni alla frontiera con l’area di influenza russa. La militarizzazione dell’Unione Europea rischia così di mettere a repentaglio il progetto originario di relazioni pacifiche tra gli Stati membri e con gli Stati terzi, così come il ruolo di potenza normativa dell’UE a livello internazionale.
Bibliografia
Biscione A. e Caruso R. (2019) “Military Expenditures and Income Inequality. Evidence from a Panel of Transition Countries (1990–2015)”. Defence and Peace Economics, 32(1): 46-67.
Bonaiuti C., Maranzano P., Pianta M. e Stamegna M. (2024) “L’Europa delle armi. La spesa militare e i suoi effetti economici in Germania, Italia e Spagna. Rapporto di Greenpeace”. In Sbilanciamoci, Economia a mano armata 2024. Spesa militare e industria delle armi in Europa e in Italia: 19-64.
Cepparulo A. e Pasimeni P. (2024) “Defence Spending in the European Union”. European Commission, Discussion Paper 199, April 10, 2024.
Dunne J. P. e Smith R. P. (2020) “Military Expenditure, Investment and Growth”. Defence and Peace Economics, 31(6): 601-614.
Nascia L. e Pianta M. (2009) “La spesa militare in Italia, 1948-2008”. In N. Labanca (ed.) Le armi della Repubblica: dalla Liberazione a oggi, Torino, Utet: 177-208.
Stamegna M., Bonaiuti C., Maranzano P. e Pianta M. (2024) “The Economic Impact of Arms Spending in Germany, Italy, and Spain”. Peace Economics, Peace Science and Public Policy, 30(4): 393-422.
Thorpe R. U. (2014) The American Warfare State: The Domestic Politics of Military Spending. Chicago, The University of Chicago Press.