Nonostante la legislazione comunitaria sia da sempre avanzata sulle tematiche di genere, troppo spesso l’uguaglianza di genere resta una chimera
In questi anni l’Europa ha dato molto alle donne in termini di diritti sostanziali in ambiti nei quali in Italia eravamo arretrati: ad esempio la legge sui congedi parentali (Il congedo ai padri aiuterebbe inoltre a promuovere la cultura della condivisione della cura dei figli, delle responsabilità e anche dei diritti tra madri e padri).
È dal Trattato di Roma (1957) che è stato stabilito per la prima volta il principio della parità della retribuzione a parità di lavoro (all’articolo art.119), da cui sono derivate importanti direttive sulla parità di trattamento nell’accesso al lavoro (formazione professionale e condizioni di lavoro); sulla parità di trattamento in materia di previdenza sociale, nei regimi professionali, nelle attività indipendenti; e proprio sui congedi parentali.
La Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata a Strasburgo nel 1989, all’articolo 16, ribadisce che deve essere garantita la parità di trattamento tra uomini e donne e che soprattutto deve essere sviluppata l’uguaglianza delle possibilità. Ma occorre intensificare ovunque sia necessario le azioni volte a garantire l’attuazione dell’uguaglianza non solo formale tra uomini e donne, in particolare in materia di accesso al lavoro, di retribuzioni, di condizioni di lavoro, di protezione sociale, di istruzione, di formazione professionale e di evoluzione delle carriere. Un lavoro ancora tutto da concretizzare è quello di sviluppare misure che consentano alle donne di conciliare meglio i loro obblighi professionali e familiari.
La crisi economica in corso ha fatto guadagnare all’Unione Europea il triste primato, condiviso con le aree del Medio Oriente e del Nord Africa, della disoccupazione giovanile In Italia, in particolare, il tasso di inattività giovanile è il più alto in Europa e nelle nazioni occidentali. Dei circa 6,5 milioni di giovani italiani tra i 20 e i 29 anni il 49% è inattivo e di questi la maggior parte non studia, non lavora e non cerca lavoro. Tra le ragazze la quota è ancora più disarmante, raggiungendo dei picchi nelle regioni meridionali del 65-70%.
La Strategia 2020 ha come slogan una crescita economica intelligente (cioè basata sulla conoscenza), sostenibile (rispettosa dell’ambiente e delle future generazioni) e socialmente inclusiva. Contiene anche vari obiettivi quantitativi ponendosi il 75% come tasso di occupazione nella popolazione tra i 20 e i 65 anni e la riduzione di 20 milioni delle persone a rischio povertà (che è attualmente valutata in 80 milioni). L’obiezione che si può sollevare riguarda il fatto che tutti questi obiettivi non sono declinati per genere.
Occorrono “riforme radicali in ottica di genere” se si vuole evitare di scaricare il costo della crisi sulle spalle delle donne e se si punta ad ottenere risultati positivi dalla Strategia 2020, soprattutto in materia di occupazione e di pari opportunità. E occorrono misure concrete e decise per ricreare lavoro, soprattutto per le donne e soprattutto per le giovani donne.