La legge di bilancio ci porta in dono un aumento delle spese militari del 12%: 32 miliardi di euro. Gli italiani non sono d’accordo, certifica un sondaggio di Greenpeace. Si va rafforzando il complesso militar-industriale (e politico). Sbilanciamoci, Rete Pace e Disarmo, Greenpeace e Fondazione Perugia Assisi hanno lanciato la campagna “Fermiamo il riarmo”.
La legge di bilancio 2025 ci porta in dono un aumento delle spese militari del 12% rispetto al 2024: ben 32 miliardi di euro. Previsti ben 40 miliardi in tre anni per costruire e acquistare nuovi sistemi d’arma. Nello stesso tempo si tagliano 500milioni alle spese militari e la sanità continua ad essere drammaticamente sotto finanziata, così come il trasporto pubblico locale. Ben 4,6 miliardi vengono tagliati al fondo automotive, necessario per la transizione alle nuove produzioni e all’auto elettrica.
Gli italiani e le italiane non sono d’accordo, come dimostra il sondaggio di Greenpeace che ci dice che la maggioranza dei cittadini non è d’accordo a portare al 2% del PIL (per seguire la NATO) le spese militari. L’aumento delle spese militari è uno schiaffo alla povertà e ai diritti degli italiani a istruirsi e ad essere curati. In questo il governo italiano segue una tendenza mondiale: l’ultimo rilevamento del SIPRI (il prestigioso istituto di ricerca svedese sul disarmo) evidenzia come la spesa mondiale per armamenti abbia superato i 2.100 miliardi di dollari (+3,5% rispetto all’anno precedente). Da ricordare che il 70% di questa spesa è attribuibile ai paesi della NATO e il 40% agli Stati Uniti. Bisogna ricordare anche qual è la situazione del nostro pianeta: 50 conflitti armati violenti nel 2023, 167.000 morti, 4 milioni di rifugiati (a causa delle guerre) e immani distruzioni, difficilmente quantificabili. Pur avendo l’Unione europea una spesa militare tre volte superiore a quella della Russia, cresce un allarmismo sulla nostra inferiore militare, che non ha alcun fondamento. Complice, la guerra in Ucraina, tutti i paesi europei corrono verso il riarmo.
In questo contesto l’industria militare fa affari da capogiro e la nostra Leonardo ha moltiplicato i suoi guadagni in borsa all’inverosimile. Stiamo passando dal Green Deal al War Deal: l’economia di guerra fa da volano ad un business tossico e mortale. Si va rafforzando quel complesso militar-industriale (e politico) di cui parlava negli anni ‘50 il presidente americano Eisenhower. Le porte girevoli tra manager dell’industria militare e politici con responsabilità pubbliche non si fermano mai.
Ecco perché Sbilanciamoci, Rete Pace e Disarmo, Greenpeace e Fondazione Perugia Assisi hanno lanciato il 23 ottobre scorso la campagna Fermiamo il riarmo per chiedere la riduzione delle spese militari e il disarmo. Sbilanciamoci nella prossima controfinanziaria (che verrà presentata il 4 dicembre alla Camera) chiederà la riduzione del 20% delle spese militari, una tassa straordinaria sugli extra profitti dell’industria militari e un fondo permanente per la riconversione dell’industria bellica.
Dobbiamo passare da un’economia di guerra ad un’economia di pace e rispondere ai veri bisogni dei cittadini che sono il lavoro, il diritto alla salute e all’istruzione, la transizione da un nuovo modello di sviluppo fondato sulla qualità sociale e la sostenibilità. Questa è la vera emergenza, non quella delle armi.