La salvaguardia dell’ambiente e le scelte di politica economica. Cosa sta succedendo in Brasile dopo le dimissioni di Marina Silva, bandiera della campagna per l’Amazzonia
Con la vittoria di Lula nelle elezioni presidenziali del 2002 e l’affidamento del Ministero dell’Ambiente alla senatrice Marina Silva – ex-seringueira discepola di Chico Mendes e ex-sindacalista della CUT dell’Acre – crebbero le attese di una svolta profonda nella gestione fondiaria del Brasile. Nel maggio del 2008, Marina Silva si è dimessa dall’incarico di ministro, dopo l’ennesimo contrasto nella compagine governativa e come risultato di molte critiche esterne, senza avere il potere per affrontarle. Se nell’autunno del 2007 la sua posizione, sostenuta da Lula, di escludere le piantagioni di canna da zucchero dalla regione amazzonica aveva prevalso su quella del ministro dell’Agricoltura; nella primavera del 2008 ha dovuto invece cedere il passo a un’altra donna al Governo, il ministro della Casa Civil, Dilma Rousseff coordinatrice del PAC (Programa de Aceleração do Crescimento) che include, anche in Amazzonia, la costruzione di nuove grandi centrali idroelettriche. Ha vinto chi ha più potere. Marina, senza accusare nessuno, senza lamentarsi o aggrapparsi al potere, ha lasciato dignitosamente l’incarico.
Come ha scritto la teologa brasiliana tra le maggiori studiose di Simone Weil, Maria Clara Bingemer: “Da quando ha assunto il Ministero, Marina ha lottato per quello che era la bandiera della campagna del presidente Lula. Tra le lotte storiche del PT sempre c’è stato il ripudio dei transgenici e della trasposizione del rio São Francisco – dove era unita e solidale al carismatico e straordinario frate vescovo Luis Flávio Cappio – la difesa dell’immediata demarcazione delle terre indigene e la preservazione dell’Amazzonia, patrimonio ecologico dell’umanità, contro le piantagioni indebite di soia e canna da zucchero, oltre l’allevamento bovino, promosse per il guadagno e fame smisurata di profitto. Marina ha lottato instancabilmente per la fedeltà ai suoi ideali. Ha lottato fino al punto di logorare la sua figura austera e militante”.1
Come succede di solito, dopo essersi dimessa, Marina Silva ha ricevuto molte manifestazioni di stima e appoggio incondizionato al suo lavoro di ministro. Se sono sincere non si capisce perché abbia dovuto affrontare tanta opposizione, durante il suo mandato, nei confronti delle politiche ambientali che difendeva e attuava. Nel giudizio di Frei Betto2: “Il Governo è un sacco in cui i gatti non sono tutti grigi. C’è chi difende il Brasile, come il ministro dell’Ambiente, Marina Silva, e c’è chi preferisce proteggere gli interessi dell’arcaica elite dei latifondisti, madeireiros e imprenditori dell’agro-business, come il ministro dell’Agricoltura, Reinhold Stephanes”.
Marina Silva ha lasciato il ministero con due risultati importanti nella sua lotta per la conservazione dell’Amazzonia: il totale delle aree protette a livello federale è cresciuto del 66 per cento in cinque anni e l’indice annuo di deforestazione si è ridotto del 60 per cento dal 2004 al 2007. Dal gennaio 2003 al maggio 2008 il Governo Lula ha creato 230 mila Kmq di nuove unità di conservazione, che si sono aggiunti ai 351 mila Kmq esistenti nel 2003. Molte di queste sono state create in aree di conflitto, direttamente nell’arco di espansione della frontiera agricola o vicine alla BR-163 (Cuiabá-Santarém). Il Brasile negli ultimi cinque anni è responsabile per il 40 per cento delle unità di conservazione create nel mondo.
L’Instituto Brasileiro do Meio Ambiente e dos Recursos Naturais Renováveis (IBAMA) durante la gestione di Marina Silva si è trasformato, dividendosi in due. La gestione delle unità di conservazione federali, come le riserve estrattive, è stata affidata a un nuovo organismo creato nel 2007: l’Instituto Chico Mendes de Conservação da Biodiversidade. Ma secondo Frei Betto, la riorganizzazione delle competenze pur necessaria non è sufficiente: “il Governo Lula, se vuole proteggere efficacemente la foresta amazzonica deve immediatamente equipaggiare l’IBAMA e l’Instituto Chico Mendes (sono molti che evidenziano una mancanza di mezzi, persone e risorse finanziarie); rendere effettiva la riscossione delle multe ambientali; tagliare crediti e sussidi; proibire l’esportazione di prodotti provenienti da imprese che devastano la foresta e utilizzano il lavoro schiavo; espropriare le terre dei recidivi per effetto della riforma agraria. Da un altro versante, spetta ai consumatori dare la schiena ai prodotti offerti da chi promuove l’ecocidio amazzonico”.
Mary Helena Allegretti, antropologa del GTA (Grupo de Trabalho Amazônia) e tra le persone più coinvolte con Chico Mendes nella difesa della foresta, ha espresso – sul mandato di Marina Silva al ministero dell’Ambiente e sulle politiche del Governo Lula per l’Amazzonia – un giudizio da me condiviso indicando le molte cose fatte, così come gli errori. Mai prima d’ora nella storia del Brasile – è la sua prima valutazione positiva – si sono create cosi tante Unidades de Conservação, in aree critiche e di conflitto. Inoltre, con Marina Silva al ministero la questione ambientale, se non è del tutto entrata nell’agenda economica del Governo, è stata però interiorizzata dalla società e dai mezzi di comunicazione. Ha esercitato una funzione educativa facendo in modo che l’ambiente e lo sviluppo sostenibile fosse assunti responsabilmente da tutti gli altri ministeri e tenendo una posizione chiara e coerente, a fronte di contrasti e pressioni, ha elevato il dibattito politico sulla questione amazzonica. Infine, la formazione di una nuova generazione di analisti entrati per concorso nel ministero e nell’IBAMA, porterà grandi benefici nei prossimi anni.
Tra i molti errori, invece, la lottizzazione del MMA (Ministério do Meio Ambiente) con la distribuzione di incarichi a tutti i livelli a iscritti e simpatizzanti del PT, non sempre conciliando competenza e militanza. Ciò ha pregiudicato la gestione, svalorizzando l’esperienza accumulata nel Ministero e nell’IBAMA. Altri errori: la centralizzazione del potere in poche mani e la mancanza di appoggio alle comunità delle riserve estrattive, per scarsa sensibilità e incompetenza dei coordinatori cui ha delegato le politiche estrattiviste; l’azione rivolta principalmente al controllo e vigilanza e poco alla promozione della sostenibilità. La mancanza di alternative di protezione ambientale e di creazione di lavoro e reddito – come progetti di riforestazione, risanamento, consumo equo e sostenibile –, in un Governo preoccupato prioritariamente con l’inclusione sociale, finisce per pregiudicare la base politica d’appoggio dentro lo stesso PT.
Credere, come molti all’inizio del Governo Lula, che Marina Silva rappresenti il pensiero del PT sull’ambiente è un equivoco. La verità è che lei è una voce quasi isolata in un partito che, come la maggioranza della sinistra nel mondo, difende lo sviluppo economico senza sufficiente cultura e sensibilità ai temi dell’ambiente e che fatica a capire cosa significa l’Amazzonia per il futuro del Brasile e il simbolo che rappresenta a livello internazionale.
Il calo della deforestazione per tre anni di fila, in una congiuntura di cambiamenti climatici e pressioni internazionali, è stato un fatto positivo, ma non strutturale. La crescita dell’indice di deforestazione nel 2008, se pur di poco, conferma che senza cambiare la struttura economica e fondiaria dell’Amazzonia e puntando appena sull’intensificazione dei controlli, non è possibile invertire stabilmente il processo di deforestazione (non provocato solo da forze illegali). Possiamo affermare che con l’uscita di Marina Silva è finito un ciclo della politica del Governo Lula per l’Amazzonia. La sua gestione, iniziata proponendo la divisione di responsabilità per le politiche di sostenibilità ambientale, e specialmente per l’Amazzonia, con tutto il Governo, è finita con una situazione molto simile al passato: gli altri ministeri non hanno interiorizzato le responsabilità ambientali e il MMA accusa la politica economica per la crescita della deforestazione. In più, le proposte del MMA si riducono nell’ambito esclusivo e tradizionale: vigilare e punire. Un ruolo essenziale, ma la questione amazzonica non è riducibile a ciò.
A Marina Silva è subentrato, al Ministero dell’Ambiente, Carlos Minc3 professore universitario e fondatore del Partito Verde in Brasile. Nell’agosto 2008 il Presidente Lula ha firmato un decreto che crea il “Fondo Amazzonia” di nove milioni di dollari per incentivare l’uso di tecnologie e energie pulite, riforestamento, pagamento per servizi ambientali, regolarizzazione fondiaria e ambientale. Inoltre, per sostenere i milioni di persone che vivono di estrattivismo nella foresta, il Governo garantirà prezzi equi per i loro prodotti.
Rispetto alla costruzione di nuove centrali elettriche prevale un approccio pragmatico finalizzato a trovare un’intesa con le popolazioni coinvolte, in termini d’impatto ambientale accettabile e di contro-partite necessarie. Delle quattro centrali idroelettriche in programma nel fiume Xingu, se ne farà solo una e, questa, dovrà ridurre l’area allagata e preventivamente risolvere la sistemazione in altre aree delle persone che lì vivono, costruire una scuola di alto livello di tecnica forestale, raddoppiare le compensazioni per gli indios. Nel caso delle centrali del fiume Madeira è la stessa cosa: riduzione dell’area allegata a un quinto di quella prevista, adozione di parchi naturali come oneri per la costruzione, rendere disponibile vie laterali alternative per non pregiudicare la riproduzione dei pesci migratori. La tesi sostenuta dal nuovo ministro è che se si abbandona l’energia idroelettrica, la pressione si sposterebbe sull’uso di carbone o olio combustibile con conseguenze ambientali peggiori. Nel frattempo bisogna favorire il solare, l’eolico e il bio-gas. Riguardo all’estrazione illegale di legname è stato firmato un accordo con i grandi esportatori, i quali s’impegnano a comprare solo legname certificato e in, contro-partita sarà raddoppiata l’offerta di legname ricavato legalmente. L’obiettivo è di creare occupazione nell’industria del mobile esportando legno certificato. Nel contempo si agirà contro lo sfruttamento illegale in forma più aggressiva, prevedendo una riorganizzazione delle forze armate ai fini di un controllo più effettivo sulle aree amazzoniche protette.
A sostegno della difesa della più grande foresta pluviale del pianeta il Governo Lula nell’agosto 2008 ha, inoltre, creato un “Fondo Mondiale per l’Amazzonia”, con l’obiettivo di raccogliere almeno 21 miliardi di dollari di donazioni entro il 2021. L’Amazzonia diventa quindi un problema di tutti, ed ogni paese può contribuire alla sua salvezza, ma salvaguardando la sovranità del Brasile sulla regione. La Norvegia è il primo paese ad aver aderito al fondo, stanziando un miliardo di dollari nei prossimi sette anni.
Infine, nello scorso dicembre a vent´anni dall´omicidio di Chico Mendes, il Governo Lula ha annunciato nuove misure in difesa della foresta e contro il cambiamento climatico. L´obiettivo, attraverso una rigorosa mappatura ecologica-economica delle distinte aree che compongono l’Amazzonia, è di ridurre il ritmo di distruzione della foresta di un ulteriore 70% nei prossimi dieci anni e di contenere, in questo modo gran parte delle emissioni di CO2, che nel caso del Brasile, sono attribuibili al 75% al disboscamento. A differenza delle perplessità manifestate da diversi settori dell’ambientalismo brasiliano, la senatrice Marina Silva ha affermato che il Governo Lula sta mantenendo tutte le misure da lei attuate e/o indicate dopo l’aumento del disboscamento registrato all’inizio del 2008: “è chiaro che faccio il tifo perché Minc ce la faccia a realizzare il nostro programma verde”.
1 Articolo “A morena Marina e o verde da mata” pubblicato il 26/05/2008 da Agencia de Noticias della CONTAG.2 Frate dominicano, nato nel 1944 in Minas Gerais. Intellettuale brasiliano (ha scritto oltre 50 libri) difensore della teologia della liberazione, ha partecipato nell’ABC paulista agli scioperi e alle lotte sindacali guidate da Lula, che diedero vita al PT e alla CUT. Nel primo Governo Lula ha coordinato fino al dicembre 2004 il progetto “Fame zero”, incarico lasciato per dissensi con alcune scelte di politica economica, oltre che per dedicarsi alla sua passione: la letteratura.
[69] Coordinato da José Sarney Filho coinvolge 13 senatori e 279 deputati del Congresso brasiliano.
3 Deputato all’Assemblea Legislativa dello Stato di Rio de Janeiro, eletto come rappresentante dei verdi nelle liste del PT, sostenitore del socialismo libertario è stato sempre in prima fila nella lotta per i diritti di cittadinanza e per l’etica nella politica, per l’auto-organizzazione della società e per i diritti delle minoranze, per la difesa dell’ambiente e della salute sul lavoro. Insegna al Dipartimento di Geografia dell’Università Federale di Rio de Janeiro e il suo ultimo libro pubblicato “Ecologia e Cidadania” è stato adottato come libro di testo in molte scuole. Nel 1989 ha ricevuto dall’ONU il premio Global 500, che due anni prima era stato consegnato a Chico Mendes.