Socialist economic development in the XXI century” è il titolo del volume di Alberto Gabriele e Elias Jabbour che riesamina i nodi delle economie socialiste e analizza i casi di Cina, Vietnam e Laos come esperienze di “socialismo di mercato”.
Nel mondo la produzione editoriale sulla Cina era stata molto abbondante nel lontano periodo maoista, in particolare durante lo svolgimento del Grande balzo in avanti e della Rivoluzione culturale. Poi, dopo la morte di Mao, l’interesse per il Paese si era molto ridotto. Da molti anni ormai, da quando la Cina ha cominciato ad essere percepita come una superpotenza in divenire, l’uscita di libri sulla Cina è diventata di nuovo molto importante e l’ondata delle pubblicazioni sul Paese non accenna a placarsi. Ma a tale abbondanza quantitativa non corrisponde, purtroppo, sempre un analogo livello di qualità; molti sono libri improvvisati o con forti toni anticinesi.
Sino a qualche anno fa prevalevano i libri che cercavano di colmare le grandi lacune di conoscenza generale del Paese; così, ad esempio, apparivano molti testi sulla sua storia millenaria. Più recentemente appaiono studi su aspetti particolari, come ad esempio oggi i lavori sui rapporti tra la Cina e gli Stati Uniti.
Un libro di rilievo, complesso e per molti aspetti anomalo, è quello scritto dall’italiano Alberto Gabriele e dal brasiliano Elias Jabbour, Socialist economic development in the XXI century. Challenges one century after the Bolshevik revolution, con introduzione di Francesco Schettino, Giappichelli and Routledge, pubblicato nel 2022. E’ un libro che affronta i problemi di fondo del socialismo per analizzare l’esperienza della Cina, a confronto con altri Paesi. Una chiave di lettura, questa, del tutto ignorata dalla pubblicistica in Occidente, dove le ipotesi di un cambiamento profondo della società e di emancipazione umana sembrano oggi dimenticate.
La prima parte del volume offre un’analisi teorica del capitalismo e del socialismo utilizzando e rivisitando le categorie marxiste di modi di produzione, formazioni socioeconomiche, lavoro produttivo ed improduttivo, surplus, legge del valore.
Il volume propone qualche definizione di socialismo. Identifichiamo come socialiste – dicono i due autori – quelle economie nazionali che sono gestite da forze politiche che sono credibilmente impegnate a creare e sviluppare un sistema socioeconomico socialista e che possono mostrare risultati in questa direzione sulla base di indicatori concreti. Non c’è una definizione di orientamento al socialismo che sia accettata universalmente, ma la distinzione tra socialismo e capitalismo si può basare su alcuni criteri di base: 1) il ruolo relativo di Stato e mercato nel regolare l’attività economica, 2) la proprietà dei principali mezzi di produzione, 3) l’analisi di alcuni indici sociali, quali le classi e i gruppi sociali che controllano l’economia nel suo complesso, una bassa diseguaglianza economica e sociale, il soddisfacimento universale delle necessità di base dei cittadini. Sulla base di tali criteri, gli autori considerano come Paesi sulla via del socialismo la Cina, il Vietnam e forse il Laos. Si differenziano in questo modo dalle analisi prevalenti che hanno considerato l’economia di questi Paesi come varianti del capitalismo: un capitalismo di Stato controllato dal partito comunista, o per alcuni aspetti un capitalismo selvaggio finalizzato alla crescita più rapida.
Per gli autori, le principali caratteristiche del socialismo non possono emergere solo da una negazione astratta del capitalismo; maggior attenzione andrebbe rivolta alle esperienze di socialismo reale – con tutti i suoi errori e a volte i suoi orrori -, senza liquidarle frettolosamente come fatali deviazioni da quello che avrebbe dovuto essere il vero modello.
La seconda parte del libro analizza in dettaglio le esperienze di costruzione di un’economia socialista da parte soprattutto della Cina, ma anche del Vietnam e del Laos, dopo l’abbandono da parte loro del modello di pianificazione sovietico.
Il contesto dell’economia mondiale è rilevante per interpretare questi processi. Secondo gli autori, oggi assistiamo a una crescente fragilità del modo di produzione capitalistico, e il nuovo modello centrato sulla Cina tende a diventare, con tutti i suoi problemi e tutte le sue contraddizioni, la locomotiva del sistema economico mondiale. Certo, le relazioni di produzione e di scambio capitalista sono dominanti nel mondo, ma va gradualmente emergendo un modello diverso di sviluppo delle forze produttive. Da alcuni decenni la Cina ha avviato un percorso di crescita guidato dallo Stato, centrato sui gruppi conglomerati, come avevano a suo tempo fatto il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan. Ma lo ha fatto – sostengono i due autori – con un orientamento socialista: lo sviluppo del mercato, invece di portare ad un collasso del potere dello Stato, è stato reso possibile da un rafforzamento delle sue capacità di governo. Lo Stato è al posto di comando, spingendo il mercato ad agire come uno strumento della modernizzazione dell’economia nazionale. E in Cina anche il settore delle imprese di proprietà pubblica è stato riformato e reso più efficiente. Questo “socialismo di mercato”, il termine ufficiale utilizzato dal governo cinese, appare caratterizzato da un dinamismo rilevante, anche sul piano internazionale.
Per gli autori, la “pianificazione socialista di mercato” resta al centro di questo modello, con 40 anni di esperienze e risultati spesso migliori di una politica di laissez-faire. La pianificazione dev’essere compatibile con il mercato, ma l’intelletto collettivo della società non deve essere subalterno ai comportamenti di mercato, deve viceversa controllare le potenzialità di crescita che il mercato esprime. In particolare nei Paesi poco sviluppati la pianificazione appare uno strumento indispensabile per non lasciare il Paese alla mercè delle forze internazionali di mercato che tendono a mantenere tali economie in una condizione di sottosviluppo, ai margini del sistema mondiale.
Negli ultimi anni l’economia cinese ha registrato mutamenti di rilievo: la Belt and Road Initiative, il programma del Made in China 2025, il piano di lotta alla povertà, il quattordicesimo piano quinquennale. Si tratta di trasformazioni che potrebbero indicare uno stadio più avanzato del socialismo di mercato.
Anche le esperienze del Vietnam e del Laos, per molti aspetti simili a quella cinese, sono affrontate nel volume. Quella vietnamita, anch’essa passata attraverso varie difficoltà, vede un paese in forte crescita economica, a tassi di sviluppo oggi anche più forti di quelli cinesi, con un alto livello di alfabetizzazione e di sviluppo umano, ma certo con maggiori problemi. Il Vietnam è più povero e tecnologicamente più arretrato della Cina, con una forte dipendenza dal capitale straniero e una debolezza delle politiche industriali, ma negli ultimi anni è riuscito a cambiare una situazione in cui l’influenza straniera stava diventando determinante. Il Laos si trova invece in una fase molto più arretrata di sviluppo economico, con situazioni di povertà superiori a quelle del Vietnam.
La tesi degli autori del volume è che la Cina si sta dirigendo verso un modello socialista di mercato, sia pure tra problemi e contraddizioni; l’ipotesi appare una speranza fondata su alcuni dati di fatto, ma richiede ancora altre prove per essere accettata e può legittimamente lasciare qualche dubbio. Il libro di Gabriele e Jabbour ha il merito di sollevare tematiche importanti, del tutto trascurate in occidente, ma che trovano risonanza altrove. In Brasile, dove uno degli autori ha un ruolo di rilievo dopo il ritorno sulla scena politica di Lula, il volume ha sollevato un dibattito importante.