Caro direttore, la manifestazione di sabato scorso a Roma ha segnato un punto nell’immaginario collettivo e ha lanciato un messaggio all’Europa.
L’ampia partecipazione, su una piattaforma politica molto chiara, riafferma il valore politico profondo dell’opzione diplomatica nella vicenda ucraina. In piazza San Giovanni non c’era alcuna ambiguità su chi sia l’aggressore e chi l’aggredito. Non c’era alcuna simpatia per Putin e per un regime che da anni mostra tutta la ferocia istituzionalizzata di cui sono capaci le non- democrazie nei confronti di dissidenti e non allineati.
Quella è stata, invece, una piazza che ha espresso con chiarezza due concetti fondamentali: pace e disarmo. Due punti che hanno molto a che fare con l’invasione russa dell’Ucraina certo, ma non solo. Esprimono un punto di vista politico forte sul complesso della politica internazionale, sulle relazioni fra gli Stati e fra i popoli, sul futuro possibile per un’Europa che stenta a trovare una collocazione nello scacchiere geopolitico, dominato ancora oggi dall’idea della politica di potenza, in cui non trova spazio la cooperazione internazionale.
La vittoria politica di “Europe for Peace” è stata ancora più netta, se si considera anche la piazza di Milano, convocata nel medesimo giorno, in netta antitesi con le idee espresse a Roma, e che aveva come obiettivo quello di riaffermare la necessità di proseguire con la politica delle armi. Una piazza, quella di Milano, convocata da movimenti politici e personalità che quando hanno avuto responsabilità di governo non hanno avuto problemi ad autorizzare l’aumento dell’esportazione di armi proprio verso la Russia. E per ironia della sorte, gli stessi blindati “Lince” esportati dall’Italia in Russia sotto il governo Renzi nel 2015 sono quelli che abbiamo visto per le strade di Kiev, durante l’invasione dello scorso febbraio. Ma alla manifestazione di Roma non ci si è arrivati per caso.