I movimenti per la democratizzazione nel 2004 e nel 2014, il nazionalismo e i gruppi armati di estrema destra, ora l’invasione russa. Come si è trasformata la società civile ucraina e che ruolo può avere nel conflitto di oggi?
Movimenti sociali, guerre e democratizzazione
Quando si parla di guerra, l’attenzione si focalizza spesso sui leaders politici e sulle azioni militari. In realtà, storici e sociologi hanno spesso sottolineato il ruolo attivo che i cittadini, attraverso movimenti sociali di diverso tipo, hanno prima, durante e dopo le guerre. Charles Tilly, insieme ad altri studiosi, ha argomentato che “States make wars; but wars make states” – attraverso le guerre cioè si creano (si fanno e si disfano, potremmo dire) gli Stati nazione. Come ha aggiunto il politologo Sidney Tarrow, le guerre hanno spesso visto anche la mobilitazione di movimenti sociali di vario tipo. I momenti di crisi spesso intensificano le richieste di diritti, sconvolgendo la vita quotidiana, ma anche creando l’aspettativa che i sacrifici fatti debbano essere compensati dal riconoscimento tangibile dell’appartenenza a una comunità di destino (Tilly 1992, 10). La ricerca sociologica e storica ha infatti rilevato che i conflitti anche all’interno tendono a crescere durante le guerre: «Mentre gli Stati impongono tasse più elevate, gli eserciti subiscono sconfitte e i cadaveri dei soldati tornano dal fronte, l’entusiasmo per la guerra si affievolisce. I movimenti si sviluppano in reazione a questi costi crescenti, ma anche contro la costrizione dei diritti che si verifica quasi sempre quando gli Stati entrano in guerra» (Tarrow 2015, 24).
Diversi studiosi hanno osservato inoltre che i percorsi di democratizzazione sono spesso avvenuti dal basso, attraverso la mobilitazione dei cittadini per chiedere diritti civili, politici e sociali – come è stato il caso in molti paesi della Europa orientale (ma anche, in precedenza, del Sud Europa). Non solo il coinvolgimento dei cittadini è stato un importante catalizzatore di riforme democratiche, ma il grado e le forme di partecipazione “dal basso” negli episodi di democratizzazione hanno mostrato effetti di lungo termine sulle qualità democratiche dei paesi coinvolti (della Porta 2014, 2017).
In quello che segue, analizzerò alcuni aspetti della mobilitazione della società civile ucraina, individuandone il contributo importante in episodi di democratizzazione, ma anche le sfide ancora aperte, che ci si può aspettare influenzino in modo complesso e con dinamiche contingenti le dinamiche di guerra e le potenzialità di soluzioni pacifiche in Ucraina.
Maidan: una piazza, due storie
Nella storia dell’Ucraina, il ruolo di movimenti di cittadini è simbolicamente evidenziato nel frequente uso del termine Maidan. Significando letteralmente “piazza”, Maidan è diventata sinonimo di protesta. Maidan – con riferimento specifico alle proteste in Piazza dell’Indipendenza a Kiev – è stata un importante catalizzatore di trasformazioni politiche e sociali almeno due volte nella storia recente della Ucraina. Nel 2004, le proteste a Maidan hanno rappresentato il momento centrale della Rivoluzione arancione; nel 2014, il cosiddetto “EuroMaidan” ha contribuito ad un nuova svolta politica. In entrambi i casi influenti, le proteste a Maidan hanno avuto, comunque, caratteristiche diverse (Ritter 2017).
La rivoluzione arancione del 2004
La Rivoluzione arancione, che culmina tra il novembre 2004 e il gennaio 2005, è considerata parte di un’ondata di democratizzazione in regimi autoritari promossa da cittadini che si sono mobilitati, attraverso tattiche nonviolente, per denunciare brogli elettorali. Iniziata in Serbia, questa ondata di “rivoluzioni colorate” si è sviluppata soprattutto nell’Europa orientale, in cosiddette “autocrazie elettorali”, cioè in regimi non classificabili come democratici, mancando di fondamentali diritti civili e politici, ma caratterizzati da un certo uso (più o meno distorto) dello strumento elettorale. Tipicamente non libere (mancando libertà di espressione, libertà di stampa e reale competizione tra partiti), queste elezioni sono diventate momenti simbolicamente importanti nella promozione di riforme democratiche. Spesso (come nel caso della Rivoluzione arancione in Ucraina), la rivelazione di brogli e corruzione da parte di associazioni di società civile locale e osservatori elettorali internazionali ha portato ad ondate di protesta che hanno avuto spesso successo nel produrre nuove e più libere elezioni. In alcuni casi, le nuove elezioni hanno anche segnato un passaggio verso maggiori diritti democratici – pur rimanendo la qualità della democrazia in genere problematica e le nuove istituzioni instabili.
In Ucraina, gli eventi della Rivoluzione arancione iniziarono a Kiev, la capitale, subito dopo il ballottaggio delle elezioni presidenziali del 2004, che fu stigmatizzato come viziato da corruzione, intimidazioni e frodi elettorali a vantaggio del candidato interno al regime, Viktor Yanukovych, contro l’oppositore Viktor Yushchenko. Quotidiane azioni di protesta – dalla disobbedienza civile ai sit-in e agli scioperi generali – furono organizzate in piazza Maidan dalla società civile ucraina, appoggiata da organizzazioni internazionali. Le mobilitazioni, promosse da sostenitori della campagna elettorale di Yushchenko, furono guidate dalla organizzazione Pora!, mobilitando oltre 500 mila participanti che il 23 novembre marciarono pacificamente verso il parlamento, mentre vari consigli comunali (a Kiev e nel Nord e Ovest del paese) rifiutarono di riconoscere il risultato delle elezioni contestate. In dicembre, la Corte suprema ucraina annullò i risultati del ballottaggio originale e ordinò la ripetizione del ballottaggio, che portò alla vittoria, con il 52% dei voti, di Yushchenko, insediatosi nel gennaio 2005. Le successive elezioni presidenziali, nel 2010, ritenute valide dalla Commissione elettorale centrale e dagli osservatori internazionali indipendenti, saranno invece vinte da Yanukovich.
L’Euromaidan del 2014
La seconda grande ondata di proteste a Maidan (e in Ucraina in generale), tra il 2013 e il 2014, sarà diretta proprio contro Yanukovich, che verrà estromesso dal potere dopo una radicalizzazione del conflitto, con violenze che provocarono più di 100 morti, soprattutto tra il 18 e il 20 febbraio 2014.
Le proteste di quella che sarà definita come “EuroMaidan” iniziarono il 21 novembre 2013, promosse da un messaggio su Facebook del giornalista investigativo ucraino Mustafa Naim, che invitò i cittadini a ripetere l’esperienza dell’occupazione pacifica di Piazza dell’Indipendenza a Kiev per protestare contro la decisione del presidente Yanukovych di rinunciare al suo impegno di firmare un Accordo di associazione con l’Unione Europea. Nella notte, circa 2000 persone – per lo più studenti – si radunarono in Piazza Indipendenza, con una partecipazione che crescerà fino a 200 mila persone nei giorni seguenti, estendendosi anche ad altre città.
E’ stato notato che le dimensioni delle proteste erano rimaste inizialmente deliberatamente limitate in termini di partecipazione poiché il nucleo dei promotori (prevalentemente studenti) aveva scoraggiato politici e partiti dal prendervi parte. Diversamente dal 2004, le proteste videro presto anche episodi di violenza. La prima escalation avvenne il 30 novembre quando la famigerata polizia antisommossa ucraina – la Berkut – intervenne con grande brutalità contro i manifestanti. L’effetto sarà però opposto rispetto a quello voluto dal governo: il giorno successivo il numero dei manifestanti crescerà infatti da 10 mila ad almeno 800 mila. Oltre a allargare la partecipazione, anche gli obiettivi della protesta si trasformarono, rivolgendosi contro la repressione (il principale motivo di protesta dichiarato dal 70% dei partecipanti) e chiedendo un’estensione di diritti civili e politici considerati ancora carenti. In gennaio, mentre il numero dei manifestanti si andava riducendo, Yanukovych provocò una nuova ondata di proteste introducendo quelle che l’opposizione definirà come “leggi dittatoriali”, che prevedevano dure sanzioni, fino a 15 anni di carcere, per molte attività di protesta pacifica.
Ancora una volta, l’effetto fu una nuova spinta alla mobilitazione, con violenti combattimenti tra i gruppi più radicali dei manifestanti e le forze del regime, intervallati da proteste di massa con centinaia di migliaia di partecipanti. La radicalizzazione fu in particolare accentuata da un intervento brutale delle forze dell’ordine, ma anche di milizie civili, fino all’uccisione di due attivisti il 22 gennaio del 2014. Il 18 febbraio violenti scontri tra la milizia pro-regime e i manifestanti porteranno a episodi da guerra civile con migliaia di feriti e un centinaio di morti nei giorni immediatamente successivi.
L’escalation fu interrotta da un accordo, votato all’unanimità dal parlamento, per un ritorno alla costituzione del 2004 e un governo di unità nazionale. La fuga dal paese di Yanukovych porterà a nuove elezioni, vinte da Petro Petroshenko.
Il contesto politico-sociale
Come nella prima Maidan, anche in Euromaidan le proteste erano motivate da una percezione di corruzione diffusa, che si sommava ad un malessere economico e sociale perdurante, con relativa sfiducia in quello che è stato definito come clepto-liberalismo (con l’Ucraina collocata al 144 posto su 177 paesi in un indice di trasparenza e alla 126 postazione sul Press Freedom Index compilato da Reporters Without Borders). Come in Russia, la politica e l’economia ucraine sono state dominate da un gruppo di oligarchi, cioè ricchissimi uomini d’affari che controllano tutti i settori più redditizi dell’economia ucraina, comprese le industrie energetiche, metallurgiche, minerarie e chimiche (Åslund 2014: 64). Il loro accesso al potere economico dipende direttamente dal loro accesso al potere politico. Il ruolo del presidente ucraino è stato tradizionalmente, con una breve eccezione nel periodo 2004-2010, di mediazione e coordinamento della rete degli oligarchi.
Questo sistema patrimoniale è stato ulteriormente rafforzato durante la presidenza di Yanukovych, quando gli ucraini hanno iniziato a parlare di “famiglia” al potere, composta da Yanukovych, i suoi parenti stretti e gli oligarchi a lui più vicini. L’economia neoliberista ha portato al saccheggio delle risorse naturali del paese e, di conseguanza, a povertà e a difficoltà per la stragrande maggioranza degli ucraini (Ritter 2017).
Mobilitazioni sociali e tensioni interne
Se anche in questo periodo Piazza Indipendenza è diventata il centro fisico ed emotivo del movimento, a differenza del 2004 le proteste del 2013-14 sono state però descritte come “auto-organizzate”, senza un leader riconoscibile e più spontanee. EuroMaidan è stata definita come una sorta di “stato libero” o una “piccola repubblica indipendente”. Diversamente che nel 1989-90 e nel 2004, a guidare le proteste non è stata la società civile preesistente, quanto piuttosto una società civile emergente, con una forma di attivismo civico più fluido, informale, orizzontale e plurale. Vari gruppi sono emersi più o meno spontaneamente dalle proteste stesse. Molti di loro usavano la parola Maidan come termine di riferimento. In parte continuazioni o revival di gruppi già attivi nel 2004, i gruppi emergenti creeranno nuove reti (Onuch 2014). Ben il 92% degli intervistati ha affermato di non appartenere a nessun partito politico o organizzazione non governativa.
Questa rappresentazione di un movimento emergente è confermata dallo sforzo degli attivisti per colmare le divisioni etniche e regionali che erano esistite nei precedenti movimenti di protesta, non da ultimo durante la Rivoluzione arancione. Così, “gli ucraini etnici che sventolavano le loro bandiere erano insieme ai tartari di Crimea, ebrei, polacchi, bielorussi, georgiani, armeni e altri” e “sul palco di Maidan, cristiani, musulmani ed ebrei pregavano insieme” (Kvit 2014: 31). Il movimento era inoltre molto plurale, in termini linguistici ma anche sociali, con la partecipazione di studenti, operai, agricoltori, impiegati, insegnanti, medici, artisti e impiegati da ogni angolo del Paese.
Euromaidan fu caratterizzata anche da tensioni interne alla piazza, divisa tra visioni inclusive ed esclusive, richiesta di diritti civili e visioni conservatrici della patria. Sarà proprio l’escalation violenta prodotta dalla repressione che accrescerà il ruolo della destra nazionalista, tra cui il Partito Svoboda (Libertà), Right Sektor (Pravy Sektor) e Common Cause (Spilna Sprava). Alla difesa armata della piazza hanno preso parte anche altri gruppi di destra. Gruppi nazionalisti come Patriots of Ukraine, Karpatska Sich, Trident, Ukrainian National Assembly, Social-National Assembly e White Hammer hanno formato un’alleanza per combattere il regime di Yanukovych con la forza (Shekhovtsov & Umland 2014: 59).
Nelle proteste di EuroMaidan erano dunque presenti due diverse identità collettive. Una, di natura conservatrice e di destra, fortemente nazionalista, era preesistente e si è rafforzata a seguito della decisione della leadership ucraina di rispondere alle proteste pacifiche con la violenza. L’altra ricorda il tipo di richieste liberali e pro-democratiche di cambiamento politico e sociale che hanno caratterizzato i movimenti di protesta in Medio Oriente nel 2011 (Ritter 2015).
La destabilizzazione internazionale e la guerra
La destabilizzazione attraverso l’intervento russo è stata maggiore nel 2014 che nel 2004. Agli obiettivi e aspirazioni economiche e geopolitiche si sono sommate considerazioni interne alla Russia. Il governo ucraino degli oligarchi, come sistema politico ed economico a volte definito cleptocrazia, è molto simile a quello dominante in Russia. La rimozione di quel sistema in Ucraina avrebbe costituito un pericoloso precedente per Putin, mostrando che anche un’oligarchia potente può essere sconfitta.
Così, a febbraio e marzo 2014, la Russia ha invaso e poi annesso la penisola di Crimea. Nel marzo 2014, attivisti di lingua russa hanno lanciato proteste separatiste nelle regioni di Donetsk e Luhansk dell’Ucraina, chiamate collettivamente Donbass. Nell’aprile 2014 sono state proclamate le Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk (rispettivamente DPR e LPR). Il conflitto armato con le forze governative ucraine ha avuto un ulteriore avvitamento nell’agosto 2014 con l’invasione militare russa del Donbass.
Successivamente, con il fallimento di ben 29 accordi di cessate il fuoco (tra cui Minsk I e Minsk II), è continuata una guerra “a bassa intensità”, che ha provocato fino al 2021 circa 13 mila morti. L’aggressione russa nel 2022 rappresenta dunque un’escalation di quell’intervento militare, accentuata dall’ulteriore svolta autoritaria del regime di Putin anche a livello interno.
Società civile, riforme incompiute e violenze della destra
Dopo Euromaidan, la situazione politica e sociale in Ucraina ha continuato a registrare luci e ombre. Per quanto riguarda la società civile, è stato osservato che “le proteste hanno creato una nuova etica civica di attivismo e partecipazione basata sui valori di libertà, responsabilità e dignità individuali. (…) Hanno anche portato al risveglio civico e al risveglio nazionale” (Shapovalova e Borlyuk 2018). Certamente, la mobilitazione di Maidan ha portato ad una crescita delle attività della società civile, dalla promozione di riforme all’offerta di aiuti materiali, ma anche – in modo anomalo rispetto alle normali attività delle associazioni – di difesa armata e sicurezza.
Per la società civile, come per altre questioni politiche e sociali in Ucraina, gli esiti di Euromaidan sono ambivalenti e certamente non consolidati. E’ stato notato che “il momento rivoluzionario non ha prodotto un movimento per la democrazia” (Shapovalova e Borlyuk 2018). La società civile riscuote molta fiducia da parte dei cittadini (67%, contro 7% per il parlamento), ma ha pochi volontari (solo il 7% della popolazione è impegnata in forme di attivismo civico).
Pur agendo di concreto con Ong internazionali, le organizzazioni di società civile hanno avuto successi limitati nella realizzazione di riforme democratiche, con frequenti ritorni indietro sulle riforme e attacchi ad attivisti e organizzazioni di movimento sia durante la presidenza di Poroshenko che in quella di Zelensky. Lo Stato è rimasto debole e le organizzazioni di società civile sono intervenute per far fronte alle carenze delle istituzioni pubbliche. Nel 2021 l’Ucraina è ancora definita da Freedom House come regime “parzialmente libero”, la corruzione è ancora rampante, i problemi sociali sono stati accentuati sia dal conflitto armato che dalla pandemia.
Euromaidan ha anche rafforzato spinte identitarie non sempre inclusive. Soprattutto, “il patriottismo e il nazionalismo sono diventati saldamente radicati in gran parte dell’attivismo civico in Ucraina, ulteriormente stimolato dall’occupazione russa della Crimea e dal sostegno ai separatisti nell’est dell’Ucraina. Infine, hanno portato alla radicalizzazione dell’attivismo civico che alla fine è diventato violento in risposta alla violenza dello Stato. La spirale di violenza è proseguita dopo che le proteste si erano esaurite, in gran parte a causa del fatto che lo Stato non è stato in grado di fornire sicurezza ai cittadini, lasciando un vuoto riempito da paramilitari e gruppi armati non statali” (Shapovalova e Borlyuk 2018).
Parte delle capacità di uso della violenza mobilitate per difendere Euromaidan sono state indirizzate contro organizzazioni di società civile. Così, “nell’Ucraina post-Euromaidan, i gruppi di estrema destra radicale che si sono consolidati durante le proteste usano la violenza nazionalista contro “l’altro”, che ritengono metta in pericolo lo Stato nazione. Invocano l’intolleranza etnica e religiosa ed effettuano attacchi violenti contro coloro che considerano nemici dell’ordine e dei valori “tradizionali” dell’Ucraina, inclusi gruppi di sinistra, femministe, comunità LGBT, diverse comunità etniche (soprattutto Rom) e rifugiati. Questo tipo di azioni è una minaccia per lo sviluppo democratico dell’Ucraina. Ciò che è più preoccupante, tuttavia, è che le forze dell’ordine ucraine forniscano a questi gruppi l’impunità o addirittura un tacito sostegno. Istituzioni statali o gruppi di potere possono utilizzare strumentalmente questi soggetti come “eserciti privati” nella lotta per il potere o per beni economici, anche contro altri attivisti” (Shapovalova e Borlyuk 2018). In particolare, formazioni paramilitari e vigilantes, oltre a gruppi di ultras violenti, indeboliscono lo Stato e creano un costante rischio di guerra civile (Way 2014: 42).
In conclusione
Come dopo la Rivoluzione arancione, anche dopo Euromaidan, l’andamento delle riforme democratiche è stato incerto. Pur in lieve miglioramento, la corruzione politica è rimasta rampante, il potere politico ed economico di un ristretto numero di oligarchi ancora forte, le libertà individuali e lo stato di diritto, fragili.
Di fronte alla guerra, la società civile ucraina, con le sue risorse e le sue tensioni, sta avendo e certamente avrà un ruolo importante nella resistenza all’invasione russa. Domande centrali per la guerra e per la pace riguardano il come le diverse anime di Euromaidan si attiveranno, come nazionalismo e democrazia saranno coniugate, e come le opportunità e le sfide di un momento storico drammatico verranno affrontate.
Importante sarà l’interazione tra la società civile ucraina e il movimento internazionale (inclusi gli attivisti russi) contro la guerra. Tornando al tema delle proteste durante le guerre, quando i soldati e i civili muoiono, i cittadini soffrono per gli attacchi militari e le sanzioni economiche, le libertà e i diritti sono drasticamente limitati, le mobilitazioni ‘dal basso’ per la pace assumono un ruolo sempre più fondamentale.
Riferimenti bibliografici
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Della Porta, D. 2017. Where did the revolution go?. Cambridge: Cambridge University Press.
Kvit, Serhiy. 2014. “The Ideology of the Euromaidan.” Social, Health, and Communication Studies Journal 1(1): 27-39.
Ritter, Daniel P. 2017. A Spirit of Maidan? Contentious Escalation in Ukraine. In D. della Porta (ed.), Riding the Wave: Protest Cascades, and What We Can Learn from Them. Amsterdam: Amsterdam University Press.
Shapovalova, N. e O. Borlyuk (2018) Introduction, in Civil society in post-Euromaidan Ukraine: From revolution to consolidation, Ibidem Press:11-40
Tarrow, S. (2015) War, States and Contention, Cambridge: Cambridge University Press
Tilly, Ch. (1992) Where do Rights Come From? In L. Mjoset (ed.), Contributions to the Comparative Politics of Development, Oslo: Institute for Social Research, 9-37.
Way, Lucan. 2014. “Civil Society and Democratization.” Journal of Democracy 25(3): 35-43.
Wilson, Andrew. 2005. Ukraine’s Orange Revolution. New Haven, CT: Yale University Press.