Presentata a Strasburgo la proposta di 50 esperti di farmacovigilanza, fatta propria dal Forum Disuguaglianze Diversità, per istituire un’agenzia europea pubblica per sviluppare e distribuire vaccini anche al Sud del mondo.
È stata presentata il 16 dicembre al Parlamento europeo la proposta di Massimo Florio di istituire un’infrastruttura europea per i farmaci, idea contenuta anche nel Rapporto “15 Proposte per la giustizia sociale” del 2019 del Forum Disuguaglianze e Diversità.
Con la crisi Covid-19 la necessità di questo passo è divenuta impellente, si fa presente. I numeri parlano di un 43.2% della popolazione mondiale che (al 9 dicembre) non aveva ricevuto neppure una dose di vaccino, per un totale di 3,4 miliardi di persone. In Africa addirittura l’89% della popolazione non è vaccinata, mentre il Covax – il meccanismo per distribuire vaccini a basso reddito – ha ridotto da 2 miliardi a meno di 1,4 miliardi la sua previsione di disponibilità a fine 2021. In tutto questo se il costo di produzione dei vaccini più efficaci (Pfizer e Moderna) si aggira ormai intorno a 1.20 dollari a dose, in Europa le fiale vengono vendute a 20-25 dollari, con introiti da capogiro per le case farmaceutiche.
Soldi che potrebbero essere invece impiegati per portare i vaccini alle popolazioni dei paesi poveri, incluso l’infrastruttura logistica necessaria alle inoculazioni nei più lontani villaggi dell’Africa o del Sudest asiatico. Si tratterebbe tra l’altro di una misura di autotutela anche per le popolazioni dei paesi ricchi con sistemi sanitari efficienti. Infatti nelle attuali condizioni, è difficile vedere la fine della pandemia: le statistiche dicono infatti che di questo passo si genereranno innumerevoli varianti, che dovranno essere rincorse con nuovi vaccini. Ma fino a quando anche gli Stati occidentali potranno permettersi di pagare così tanto per immunizzare la popolazione?
La privatizzazione delle conoscenze sui vaccini è insostenibile, eppure un vaccino pubblico era ed è tuttora possibile: nel mondo vi sono capacità produttiva e standard adeguati di qualità.
La proposta del Forum è quindi quella di creare un’infrastruttura europea per i farmaci, così come illustrato nello studio di Massimo Florio (Università Statale di Milano) su richiesta del Parlamento Europeo, con un investimento per trenta anni su un ampio arco di patologie, nel segno dell’innovazione intesa come bene pubblico globale e un invito alle imprese private a collaborare come fornitori rinunciando ad esclusive brevettuali.
Lo studio, cui hanno contribuito oltre cinquanta esperti internazionali e un gruppo coordinato da Florio con l’economista Chiara Pancotti e Anthony Procházka (Università di Praga) mette in luce le criticità del sistema di ricerca e sviluppo dell’industria farmaceutica innescate dalla pandemia Covid-19, nonché le lacune nella gestione delle politiche di finanziamento pubblico per la ricerca farmaceutica. La ricerca, sollecitata dal panel STOA (Scienza e tecnologia) del Parlamento europeo, esplora l’opportunità e la fattibilità della creazione di un’infrastruttura pubblica europea volta ad affrontare i fallimenti del mercato e delle politiche nel settore farmaceutico durante l’intero ciclo di vita del farmaco.
Il modello adottato è quello del CERN o dell’Agenzia Spaziale Europea e rappresenterebbe una svolta senza precedenti nella politica della UE, che sinora si è limitata a delegare alle imprese private la ricerca sui farmaci.
La metodologia impiegata per redigere lo studio combina un’attenta valutazione della letteratura scientifica e dei dati statistici con interviste sotto vincolo di anonimato a 56 esperti provenienti da 48 diverse organizzazioni, tra
Per affrontare le criticità ben identificate nel documento, lo studio esplora un approccio basato su un intervento pubblico diretto (già sperimentato con successo per la politica spaziale), con la creazione di un’infrastruttura di R&S europea all’interno di una strategia di lungo periodo (almeno 30 anni) e con la missione principale di costruire progetti innovativi in selezionate aree farmaceutiche.
Lo studio suggerisce dunque quattro opzioni strategiche in ordine crescente di ambizione:
Opzione 1. Creazione di un’infrastruttura europea per la R&S di farmaci esclusivamente nel campo delle malattie infettive. La nuova organizzazione avrà una propria governance, un proprio budget e una capacità di ricerca (personale e laboratori) al suo interno ma opererà essenzialmente attraverso contratti di ricerca e sviluppo con terze parti, selezionati con procedure trasparenti di appalto e comproprietà di brevetti di interesse pubblico.
Opzione 2. La seconda opzione è simile alla precedente ma con una missione più ampia in quanto includerebbe la ricerca in una più vasta gamma di aree cliniche, in cui sia il settore pubblico che quello privato stanno sotto-investendo, come ad esempio le malattie rare, genetiche e alcuni tipi di cancro.
Opzione 3. La terza opzione, come la prima, riguarda la creazione di un’infrastruttura europea per la ricerca e lo sviluppo di farmaci nel campo dei vaccini e altre malattie infettive, dotata di personale scientifico e laboratori sufficienti per poter gestire la maggior parte della sua ricerca internamente. Dunque, godrebbe in genere in esclusiva dei diritti di proprietà intellettuale di eventuali scoperte. L’organizzazione gestirà altresì la produzione e lo sviluppo dei medicinali sviluppati, eventualmente stipulando accordi contrattuali con terze parti.
Opzione 4. La quarta opzione è la più ambiziosa in termini di portata e meccanismi di attuazione. È simile alla precedente ma analogamente all’opzione 2 avrebbe un’agenda più ampia, ovvero non vincolata alle malattie infettive. Questa opzione consentirebbe di creare la più importante infrastruttura pubblica di R&S per i farmaci al mondo, con una scala superiore al programma di ricerca intramurale del National Institutes of Health dal governo federale degli Stati Uniti.
Se venisse adottata dalle istituzioni europee, si fa notare, la struttura ideata collocherebbe saldamente l’Europa come il primo attore globale nel campo della ricerca farmaceutica, con benefici diretti per i pazienti, i sistemi sanitari pubblici, i ricercatori, e anche con potenziali benefici per l’industria farmaceutica europea in termini di possibili partnership con l’agenzia pubblica su progetti specifici, basati su contratti trasparenti nell’interesse pubblico.