Mentre si avvicina il suo terzo mandato, il presidente Xi riafferma che in Cina non c’è spazio per una “espansione disordinata del capitale”: il Partito rimarrà regolatore e decisore dello sviluppo della società. E avrà il controllo dei big data.
Il 17 agosto 2021 la Commissione Centrale su Finanza e Affari Economici, guidata dal Presidente-Segretario Xi Jinping ha emesso un documento dai toni storici.
“La Prosperità Condivisa (gòngtóng fùyù) materiale e spirituale è un requisito essenziale del socialismo” [nota 1]
Gli slogan sensazionalisti non sono una novità alle latitudini di Pechino, ma la “Prosperità Condivisa” rientra tra quelli designati a durare nel tempo, se positivamente o meno lo dirà il prosieguo del sentiero di sviluppo cinese.
La Commissione citata non è un organo qualunque del fitto apparato burocratico cinese, ma rappresenta la massima espressione della progettualità economica e finanziaria del Partito-Stato.
Nata nel 1980 per guidare e supervisionare il processo di riforma e apertura promosso da Deng Xiaoping, la Commissione è un corpo sovra-ministeriale, composto da 25 tra le più alte cariche della governance cinese e presieduto dal Segretario Xi Jinping e dal Premier Li Keqiang. Tuttavia, a conferma dello storico approccio graduale nell’adozione e implementazione delle riforme, la locuzione “Prosperità Condivisa” non appare per la prima volta nell’agosto di quest’anno.
Questa nuova politica era stata già lanciata ad inizio estate nello Zhejiang, provincia costiera non solo tra le più ricche in termine di Pil pro-capite ma dove le disuguaglianze tra aree urbane e rurali sono tra le meno marcate del continente Cina. [nota 2]
L’erogazione di welfare e la struttura produttiva, tra le più avanzate sia nella manifattura sia nei servizi, ne fanno un esempio virtuoso che l’intero paese deve seguire.
Come testimonia il documento conclusivo della Commissione, la “Prosperità Condivisa”, lungi dall’essere un semplice progetto pilota, rappresenta la cornice ideologica con la quale il Partito vuole fornire organicità, progettualità e accelerazione all’ultima decade di politiche macroeconomiche e sociali.
Da “arricchirsi è glorioso” di Deng al “restituite di più” di Xi.
“Lasciare che alcuni si arricchiscano per primi” è tra le più celebri frasi di Deng Xiaoping. Pronunciata nel 1992 durante il suo famoso viaggio nelle province costiere del sud, questa massima divenne paradigmatica tanto del successo quanto dello sviluppo diseguale del “Socialismo con caratteristiche cinesi”.
Chissà se il “piccolo timoniere” mentre era in visita nella cittadina di Nanxun, proprio nello Zhejiang, avrebbe mai immaginato che l’1% più ricco della popolazione urbana cinese avrebbe accumulato nei 20 anni successivi l’incredibile somma di 5 triliardi di dollari, o il 66% del PIL del 2011. [nota 3]
Come è chiaro leggendo il documento conclusivo della Commissione, l’eredità di Deng riecheggia ancora:
“Abbiamo realizzato che la povertà non è socialismo; abbiamo rotto i vincoli del sistema tradizionale; e abbiamo promosso l’emancipazione e lo sviluppo delle forze sociali produttive, permettendo ad alcune persone e regioni di diventare ricchi per primi”.
La polarizzazione della ricchezza in Cina è un fatto ormai ben noto e certificato da un indice di Gini (38.5, WBD [nota 4]) superiore a quello registrato in molte potenze “propriamente” capitaliste. Le disuguaglianze e il divario di opportunità riguardano ogni sfera della società, dalle già citate profonde differenze tra aree urbane e rurali, tra province interne e costiere, fino all’accesso ad istruzione e sanità di qualità.
Una manifestazione plastica di questa gerarchia interna alla popolazione è data dal sistema di cittadinanza provinciale (Hukou System) che vincola l’erogazione di welfare alla sola provincia di nascita, non permettendo a circa 290 milioni di lavoratori e lavoratrici migranti, e alle loro famiglie, di godere di diritti fondamentali e costituzionalmente riconosciuti come scuola, sanità, previdenza sociale e tutele lavorative. Con un tale sistema di discriminazione interna non sorprende che circa 200 milioni di cinesi, soprattutto migranti, vivano con un reddito pari o inferiore a 2000 ¥ mensili (circa 270 euro) [nota 5].
L’altra faccia di questa medaglia è rappresentata dall’ennesimo record made in China, paese che, nel primo anno di pandemia, è divenuto ospite del maggior numero di miliardari al mondo (878, Hurun List [nota 6]) superando gli Stati Uniti (788, Forbes [nota 7]).
Ad Occidente come ad Oriente, i più ricchi sono i fondatori e proprietari dei grandi marchi tecnologici, dalle piattaforme digitali quali Tencent, Alibaba e Meituan ai produttori ICT come Huawei.
Come dimostrano le “parole di Xi”, questa forbice appena descritta rappresenta il nodo che si vuole sciogliere con le politiche redistributive della “Prosperità Comune”.
Tuttavia, la novità non risiede nell’adozione di una retorica egualitaria ma nelle agrodolci parole riservate a chi ha goduto individualmente dell’ascesa del paese.
“Dobbiamo rafforzare la regolamentazione sui redditi più alti e incoraggiare gli individui e le imprese più ricche a restituire di più all’intera società. Dobbiamo sanare e disciplinare i redditi irragionevoli, riorganizzare l’ordine della distribuzione di reddito e risolutamente proibire e sopprimere i redditi illegali.”
Il prosieguo del documento elenca precisi obiettivi di questa nuova fiscalità: da un lato si sottolinea la necessità di riformare il welfare attraverso una omogeneizzazione territoriale dei servizi ed un miglioramento nel sistema formativo, nella salute, e nel sistema pensionistico; dall’altro lato si fa chiaro riferimento alla necessità di ampliare la classe media e ridurre i segmenti agli estremi della distribuzione reddituale del paese.
I primi passi della “Prosperità Condivisa”.
Il 3 novembre 2020 fece scalpore a livello globale la notizia che il debutto in borsa di Ant Group, ramo finanziario dell’impero Alibaba, fosse stato bloccato dalle autorità competenti per “cambiamenti nel quadro regolatorio”.
Aldilà delle motivazioni ufficiali, fu subito chiaro come il Partito stesse usando il blocco della IPO per riequilibrare i rapporti con lo strapotere economico delle piattaforme digitali. A partire da questo episodio l’aggressività normativa del Partito nei confronti delle big tech si è focalizzata su tre ambiti: la stabilità finanziaria, la lotta ai monopoli e la sicurezza dei dati.
Il 7 febbraio 2021, l’ente statale per la supervisione delle regole di mercato (SAMR) ha varato delle nuove linee guida contro i comportamenti monopolistici delle piattaforme digitali [nota 8].
Nei sette mesi trascorsi, gli indici finanziari Hang Seng Tech e Nasdaq Golden Dragon hanno perso circa il 50% [nota 9], un crollo del comparto tecnologico che sembra aver influenzato tutta la borsa cinese, come dimostra la flessione del 15.5% subita dal listino sintetico Shanghai-Shenzhen CSI 300 [nota 10] nello stesso periodo.
Tutte le maggiori piattaforme digitali hanno ricevuto sanzioni legate alle nuove linee guida: Alibaba per 2.8 miliardi $, Tencent per 1.5, e Meituan per 500 milioni.
Questo nuovo quadro intimidatorio dell’antitrust si va a sovrapporre alla nuova “Data Security Law” [nota 11], in vigore dal primo settembre, che ha irrigidito le norme in materia di utilizzo, raccolta e protezione dei dati raccolti dalle piattaforme digitali [nota 12].
L’aspetto principale riguarda una nuova disciplina nella trasmissione di dati fuori dal paese (articoli 31 e 36), con particolare attenzione a quelli industriali.
Una maggiore privacy e tutela degli utenti garantita dal controllo governativo, che potrebbe minare la profittabilità di un modello di business fortemente basato sulla circolazione, elaborazione e vendita dei big data.
Per quanto riguarda la stabilità finanziaria, le regole più stringenti in termini di indebitamento e accesso finanziario sulle imprese big tech sono passate in secondo piano davanti alla crisi del mercato immobiliare. Nel mese di settembre, le holding immobiliari “Evergrande” e “Fantasia”, due tra le più grandi del paese, sono andate vicine al default, opzione che rimane concreta senza un bail-out del sistema bancario statale.
L’ondata repressiva/regolamentaria ha travolto altri settori come il gaming e l’influencing da social network. Sul primo, sono state varate norme circa il minutaggio di utilizzo dei giochi informatici e di app per i minori. Sul secondo, si promettono maggiori tasse sugli introiti legati all’utilizzo della propria immagine a scopi pubblicitari.
Infine, è necessario tornare a spendere qualche parola sulle prospettive del nuovo corso fiscale.
Come detto in precedenza, il documento della “Prosperità Condivisa” fornisce un’ampia panoramica sugli obiettivi redistributivi ma non entra nel merito delle politiche necessarie a conseguirli.
Ciononostante, tra le righe si leggono chiari riferimenti al sistema fiscale. Quello cinese è fortemente regressivo: le tasse sui redditi sono molto basse e le entrate si basano pesantemente sul gettito dell’IVA, quindi sui consumi. Inoltre, non ci sono tasse sulle proprietà immobiliari e sull’eredità [nota 13]. Questi ultimi elementi possono essere considerati alla base della crescita speculativa del mercato immobiliare urbano.
Ci vorrà tempo per verificare se i non detti di Xi si trasformeranno in riforme. Ciò che è chiaro ad oggi è la fine delle agevolazioni per le piattaforme digitali.
Nel XXI secolo, la volontà politica centrale ha permesso alle big tech cinesi di godere di una fiscalità agevolata, permettendogli di versare tasse sui redditi da impresa tra il 10 e il 15% a fronte di una media del 25% per gli altri settori produttivi.
Come annunciato dalla stessa Alibaba nel mese di agosto [nota 14], il governo cinese le ha comunicato che essa non sarà più considerata una key software enterprises (KSE).
Una sorte che si profila per tutte le imprese tecnologiche e le piattaforme digitali, in cui lo Stato non rappresenta l’azionista di maggioranza.
Conclusioni.
Come sostenevo all’inizio, la “Prosperità Condivisa” più che un semplice slogan potrebbe essere interpretata come una nuova cornice ideologica volta a perseguire il binomio stabilità sociale e ascesa economica, che è stato architrave e bussola del Partito-Stato dai fatti di Piazza Tienanmen.
Ritengo però sia necessario non farsi incantare dalla promessa redistributiva che, a differenza di quanto vorrebbero promuovere i vertici del Partito, non è intrinsecamente incompatibile con un comando capitalista dell’economia.
Mentre si avvicina il suo terzo mandato, il Presidente Xi riafferma che in Cina non c’è spazio per una “espansione disordinata del capitale”: il Partito rimarrà regolatore e decisore dello sviluppo della società; a nessun gruppo privato “esterno” sarà consentito esercitare un’influenza simile a quella sperimentata dalle piattaforme digitali nel contesto de-regolamentato dell’ultima decade.
Se da un lato il Presidente Xi continua ad inseguire il compromesso di un’economia socialista di mercato, perseguendo il pragmatismo di Deng, dall’altro, reinterpretando Mao, afferma che “la politica (del suo Partito) deve essere al comando” [nota 15].
NOTE:
1 La cui traduzione in lingua inglese è disponibile qui https://www.neican.org/p/towards-common-prosperity a cura di Adam Ni.
2 Si veda “Cento anni di Partito Comunista e un obiettivo: prosperità comune” di Alessandra Colarizi pubblicato sul Manifesto il 5 luglio 2021.
3 Si veda “China Credit Conundrum” di Victor Shih 2019.
4 Dato che fa riferimento al 2016 tratto da World Bank Data.
5 Dati tratti da “Common Prosperity in China: rich or poor, people have questions about Beijing’s attempt to spread wealth” a cura di He Huifeng pubblicato su South Morning China Post l’11 settembre 2021.
6 Hurun list 2020, fonte https://www.cnbc.com/2020/10/20/chinas-billionaires-see-biggest-gains-ever-fueled-by-ipos.html.
7 Per primo anno pandemico si fa riferimento al 2020, nel 2021 sempre secondo la Hurun list i miliardari cinesi sono diventati 1058.
8 https://www.china-briefing.com/news/china-antitrust-guidelines-enforcement-online-economy/
9 Dati tratti da “ https://indexes.nasdaqomx.com/Index/Overview/HXC e https://www.hsi.com.hk/eng .
10 Lo Shanghai-Shenzhen CSI 300 propone l’andamento delle 300 maggiori imprese quotate nei due centri finanziari.
11 Promulgata durante la 29° sessione della Commissione Permanente della 13° Assemblea Nazionale del Popolo.
12 Per maggiori informazioni si veda https://www.china-briefing.com/news/a-close-reading-of-chinas-data-security-law-in-effect-sept-1-2021/
13 Si veda anche “Going after the private sector: Xi on mission” di George Magnus, ricercatore associato alla Soas University pubblicato sul sito China Institute della suddetta università.
15 “You should put politics in command, go to the masses and be one with them” celebre frase di Mao Zedong pronunciata nel 1966 durante la rivoluzione culturale.