Per sveltire la messa a terra del Pnrr arriva il decreto Semplificazioni. Sventato dai sindacati il massimo ribasso nelle gare. Ma tante altre norme risultano in contrasto con i paletti stessi della programmazione europea per un’economia sostenibile. Bruxelles dovrebbe intervenire.
E’ certo che con il decreto Semplificazioni il presidente del Consiglio dei ministri si assume una bella responsabilità. Quella di essere il sommo garante della realizzazione di tutti gli interventi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, del valore di 191,5 miliardi di euro, nei tempi indicati dalla Commissione Europea (cioè entro il 2026). Ma anche e soprattutto del fatto che questi siano messi a terra nel pieno rispetto delle normative europee, in particolare quelle sugli appalti e sull’ambiente, e del principio comunitario do no significant harm (non provocare alcun danno significativo), nonché degli obiettivi e delle strategie derivanti dall’European Green Deal, come chiarito nelle linee guida e nel regolamento comunitari per i PNRR.
Si potrà dire che tutta la parte I della bozza di decreto legge sulla governance del PNRR, proposta all’attenzione dei membri del Consiglio dei ministri solo 24 ore prima della riunione del 28 maggio preveda un coinvolgimento ampio di tutti i dicasteri competenti, delle diverse amministrazioni dello Stato e della Conferenza unificata Stato–Regioni e Province autonome. Ma bisogna notare anche che, nel momento in cui la cabina di regia è identificata in un Consiglio dei ministri “a composizione variabile”, a seconda delle materie che verranno trattate, che viene convocato su decisione del presidente del Consiglio, è nelle sue mani che ricade la massima responsabilità nei confronti della Commissione Europea e della comunità nazionale su tempi e modalità di realizzazione del Piano. Una responsabilità gravosissima se si considera anche l’esercizio dei poteri sostitutivi (seppur su proposta della stessa cabina di regia o del ministro competente) nel caso di ritardi o di inerzia dei soggetti attuatori – Amministrazioni centrali, Regioni, enti locali – nel conseguire gli obiettivi intermedi e finali per la realizzazione del PNRR. O l’assunzione di iniziative per il superamento delle controversie in caso di dissenso, diniego od opposizione da parte di amministrazioni statali, regionali o locali sulle decisioni da assumere (seppur su proposta della segreteria tecnica per il PNRR).
Bisognerà capire quale sarà il grado di soddisfazione della Commissione Europea (CE) rispetto alle norme contenute nel decreto che inizierà nei prossimi giorni il suo iter parlamentare, in attesa anche di conoscere cosa dirà la stessa CE entro giugno sui contenuti del nostro PNRR, in particolare per quel che riguarda la coerenza delle scelte contenute nel Piano rispetto al conseguimento delle indicazioni per la decarbonizzazione dell’economia e il conseguimento degli obiettivi intermedi di abbattimento dei gas serra (riduzione di almeno il 55% delle emissioni al 2030) per traguardare la neutralità climatica entro il 2050. Obiettivi e indicazioni contenute nel regolamento istitutivo del Recovery and Resilience Facility come quelle relative alla tutela del nostro patrimonio naturale, a cui il nostro Piano assegna solo lo 0,5% (1,19 miliardi di euro) dell’ammontare complessivo dei fondi assegnati all’Italia dall’Europa.
Come abbiamo visto negli scorsi giorni, nel definire i contenuti del decreto (il terzo provvedimento di semplificazione in 4 anni) non si è partiti proprio con il piede giusto. Infatti su una materia delicata e centrale come quella dell’affidamento lavori pubblici nelle ultime bozze del provvedimento sono stati fatti ingiustificabili passi falsi. Per fortuna sull’assegnazione dei lavori al massimo ribasso e sulla filiera dei subappalti, il deciso intervento dei sindacati ha portato all’ultimo minuto ad un ripensamento, il che ha portato a superare le maggiori storture che avrebbero inciso pesantemente sulla qualità delle opere e sulla loro realizzazione, oltre che sui diritti dei lavoratori.
L’altra questione centrale posta nel decreto è quella relativa alla corretta applicazione delle normative ambientali, non solo perché – come qualcuno può pensare – debbano essere considerate le ricadute sul territorio e sui beni naturali delle trasformazioni attese (l’Italia ha una biodiversità tra le più ricche d’Europa), ma perché la stessa qualità dei progetti, generalmente molto scadente nel nostro Paese, deve essere portata a standard qualitativi che consentano di compiere le migliori scelte sostenibili dal punto di vista economico-finanziario, sociale e ambientale.
Di qui la prima critica di fondo alla superfetazione di organismi speciali istituiti dal decreto che, guarda caso, hanno tra i loro compiti principali quello di forzare o aggirare la procedura di Valutazione di impatto ambientale. Procedura di VIA che ancora oggi viene interpretata come un vincolo, invece di essere considerata come uno strumento che contribuisce a migliorare la qualità dei progetti e, quindi, dell’intervento pubblico.
Si parte dalla costituzione, prevista dal decreto, della nuova Commissione speciale VIA per i progetti PNRR e PNIEC (Piano Nazionale di Integrato Energia e Clima), quando ci si potrebbe limitare a rafforzare l’attuale, sperimentata Commissione tecnica, costituita presso il ministero per la Transizione ecologica evitando di perdere tempo prezioso per la rapida attuazione del Piano con la creazione ex novo di un organismo diverso e separato senza il bagaglio di esperienze già consolidato nell’esame dei progetti.
Si passa poi alla Soprintendenza speciale per il PNRR costituita preso il ministero della Cultura, che pare essere istituita solo per poter esercitare a livello nazionale poteri sostitutivi e di avocazione nei confronti delle Soprintendenze che devono rendere pareri nell’ambito della procedura di Valutazione di impatto ambientale nazionale. L’unico scopo pare essere quello di dare un ampio potere di intervento discrezionale al direttore denerale della DG Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, a cui comunque già compete la redazione dei pareri del Mibac per la VIA statale (!). Nel testo del decreto non viene precisato quando ricorrano le condizioni per l’intervento della Soprintendenza speciale, ma si fa solo generico riferimento alla tempestiva attuazione del PNRR e non, come in altri casi, alla verifica di inerzie o ritardi effettivamente riscontrati.
E infine c’è il Comitato speciale, anche questo istituito ex novo (come per la Commissione speciale VIA) presso il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, a cui si attribuiscono anche poteri di intervento di integrazione e modifica dei progetti sottoposti a Valutazione di impatto ambientale, senza che venga garantita la trasparenza del procedimento nella fase di integrazione e sia garantita la informazione a la partecipazione del pubblico, come invece viene stabilito dal Testo unico ambientale.
D’altra parte dal decreto legge appena approvato dal Consiglio dei ministri, emerge una certa nostalgia delle procedure accelerate e semplificate derivanti dalla legge Obiettivo, che come è noto (e documentato a suo tempo dalla Corte dei conti, dall’ANAC e anche dalla Banca d’Italia) non hanno assicurato nei 15 anni di loro applicazione (dal 2001 al 2015) né un miglioramento della programmazione degli interventi, né nella qualità dei progetti, né un’efficacia nella realizzazione delle opere (il bilancio conclusivo è stato che dopo 15 anni solo il 4% delle c.d. “infrastrutture strategiche” era stato completamente realizzato) a fronte di un sicuro spreco di fondi pubblici, dell’opacità sull’affidamento dei lavori e, quindi, della diffusione della illegalità, confermata dalle numerose sentenze e inchieste giudiziarie ancora in corso.
Sulla falsa traccia di quanto previsto a suo tempo dalla legge Obiettivo nel decreto che andrà all’esame del Parlamento: si stabilisce che tutti gli impianti, le opere, le infrastrutture del PNRR e del PNIEC – senza alcuna distinzione/selezione, come invece sarebbe necessario – costituiscano interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti (come avvenne a suo tempo con la delibera CIPE 121/2001); si dimezzano i tempi (da 60 a 30 giorni) per le osservazioni dei cittadini sulle opere prioritarie a maggiore impatto, individuate con DPCM e per tutti quelle contenute nel PNIEC, comprimendo così il diritto alla partecipazione del pubblico interessato. Si decide che la VIA per i progetti individuati nell’Allegato B (in cui tra l’altro c’è la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Salerno-Reggio Calabria e dell’alta velocità Palermo-Catania-Messina) venga fatta sul progetto di fattibilità tecnica ed economica e non, come sarebbe più opportuno, sul progetto definitivo, che solo consente di entrare nel dettaglio di una grande opera e dei suoi impatti.
Non solo: si riesuma per tutti gli interventi previsti dal PNRR anche il riferimento all’articolo 125 -“Ulteriori disposizioni processuali per controversie relative alla infrastrutture strategiche” – del Codice del processo amministrativo, derivante sempre dalla legge Obiettivo.
L’art. 125 del Codice stabilisce che il giudice amministrativo, in sede di pronuncia del provvedimento cautelare relativo alle procedure di progettazione, approvazione e realizzazione delle grandi opere debba tenere conto delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi nonché del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell’opera. E se per caso il giudice fosse duro di orecchie o di comprendonio, nello stesso articolo che si è deciso di riportare alla ribalta gli si dice che l’interesse del ricorrente va comparato con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure e che la sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la “caducazione” del contratto stipulato. C’è solo da sperare che di fronte a tanto gravoso impegno nel volere spendere presto i soldi assegnateci dall’Europa, li si voglia spendere bene visto che ci si avventura in terreni tanto scivolosi.
Si deve anche notare che mentre si dedica grande attenzione ai soggetti che progettano e realizzano gli interventi non c’è analoga attenzione agli interessi della cittadinanza, proprio nel momento in cui si chiede uno straordinario sforzo congiunto di tutto il Paese.
A ulteriore conferma di questa impostazione nel decreto legge si stabilisce un dimezzamento dei tempi del dibattito pubblico – da 120 a 60 giorni – per esaminare i dossier di progetto per tutti gli interventi, anche quelli a maggiore impatto, finanziati in tutto o in parte con le risorse del PNRR e/o ricompresi nel cosiddetto Programma complementare al Piano – finanziato a debito dall’Italia, con 30 miliardi di euro di risorse proprie aggiuntive – . Si comprimono così i tempi di uno strumento così importante come il DP, portato in palmo di mano dal governo e definito – dall’art. 2, comma 1 del DPCM n. 78/2018 – come il processo di informazione, partecipazione e confronto pubblico sull’opportunità, sulle soluzioni progettuali di opere, su progetto o interventi prioritari a livello nazionale.
Per avere la conferma di come sia ancora forte la tentazione di considerare marginali l’ambiente e lo sviluppo sostenibile, ci si potrebbe attardare su altre “chicche” del provvedimento in campo ambientale, che hanno attinenza col PNRR (riguardanti l’entrata a gamba tesa del DG competente sulle decisioni della Commissione VIA o le conclusioni delle Conferenze dei servizi sulle grandi opere assunte non all’unanimità ma solo sulla base delle posizioni prevalenti) o si potrebbe rilevare le norme che nulla hanno a che vedere con il Piano (come quelle relative agli inceneritori che contrastano con rispetto del principio del “danno significativo” e con le politiche e le strategie europee per l’economia circolare).
Una nota certamente positiva è che nel decreto si istituisca un tavolo permanente per il partenariato economico e sociale, composto da rappresentanti delle parti sociali, del governo e delle amministrazioni regionali e locali, delle categorie produttive e sociali, dell’università e della ricerca e della società civile. Ottima notizia, questa. Basta che alla base del tavolo di partenariato ci sia la piena consapevolezza che vadano perseguiti gli obiettivi e le conclusioni della Commissione Europea, (assunte nella riunione straordinaria del Consiglio Europeo del 17-21 luglio del 2020), che varò lo strumento Next Generation EU. Quel documento chiarisce come il processo di risanamento e rilancio economico e sociale dell’Europea sia strettamente connesso alla attuazione dell’European Green Deal, quale faro per la ripresa e la resilienza degli Stati membri dell’UE, messi in ginocchio dalla pandemia da Covid-19.
Non si tratta, quindi, di assumere formalmente un impegno pensando nel contempo come aggirarlo, bisogna essere convinti fino in fondo che per garantire un futuro al nostro Paese e all’Europa si deve vincere la sfida per contrastare efficacemente i cambiamenti climatici, lo spreco delle risorse e la perdita della biodiversità.