“Finanza e potere lungo le nuove Vie della Seta” di Alessia Amighini affronta le strategie di sviluppo promosse dalla Repubblica popolare cinese per proseguire la sua ascesa nell’arena globale. Analizza il singolare sistema finanziario basato sul renminbi e porta il lettore a confrontarsi con la pluralità di sfide che la Cina si trova davanti.
La Belt and Road Initiative (BRI), più comunemente nota come “Nuove vie della seta”, lanciata dall’amministrazione di Xi Jinping nel 2013 rappresenta la più significativa strategia di sviluppo adottata dalla Repubblica popolare cinese (RPC) nel 21° secolo. Una rete di infrastrutture terrestri e marittime volte a migliorare la connettività della piattaforma euroasiatica, dall’Indonesia sino a Rotterdam, attraverso la quale Pechino intende promuovere le proprie ambizioni in ambito diplomatico, commerciale e finanziario a livello globale. Un programma di apertura verso il resto del mondo che, nelle ambizioni del Partito comunista cinese, dovrebbe rappresentare una “soluzione spaziale” ai limiti raggiunti dalla crescita economica nel corso dei “Trenta gloriosi anni” (1980-2010).
Sovraccapacità produttiva, disuguaglianze tra aree interne e costiere, eccessiva dipendenza dall’export e dai circuiti commerciali e finanziari incentrati sul dollaro sono i nodi che Pechino deve sciogliere per continuare ad inseguire il “sogno cinese” di una “società moderatamente prospera”. Questa natura poliedrica e ambiziosa della BRI è il tema di “Finanza e Potere lungo le Nuove Vie della Seta” di Alessia Amighini.
La docente di Economia politica dell’Università Orientale del Piemonte con questo lavoro completa anni di studi sulla portata globale delle “Nuove vie della seta”. Colmando un vuoto nocivo nella letteratura di settore in lingua italiana, l’autrice spiega limpidamente, e sostanzia empiricamente, come la centralità finanziaria globale dell’ex “impero celeste” non sia un’anticipazione del futuro ma la nostra realtà odierna. La BRI può infatti essere considerata come il potenziale fulcro di un nuovo polo globale incentrato su Pechino, un centro di potere manifatturiero e commerciale che necessita di una maggiore “autonomia finanziaria” dal dollaro statunitense.
Il maggior merito di questo lavoro e il suo carattere innovativo risiedono nella capacità dell’autrice di usare la BRI per descrivere e analizzare la costante tensione tra l’onnipresenza decisionale del partito-Stato e la liberalizzazione del sistema finanziario. Il dialogo tra la BRI e le sue implicazioni monetarie e finanziarie è il filo rosso con il quale Amighini individua una vasta molteplicità di sfide che la RPC si trova davanti. Questo continuo elastico tra infrastrutture e credito, tra renminbi e soft power conferisce al testo un’organicità preziosa nel connettere le relazioni internazionali e l’economia globale.
Le 187 pagine edite da Bocconi editore sono una vera e propria enciclopedia del progetto BRI: si affrontano le istituzioni connesse, come la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), il mito della Via della seta e il suo valore cooperativo e diplomatico, nonché i suoi fini più “realisti” come la centralità dell’approvvigionamento energetico tramite vie terrestri.
Nella parte iniziale del testo, l’autrice ci fornisce gli elementi per comprendere come la BRI non possa essere analizzata come unità circoscritta, bensì vada intesa come passaggio evolutivo del sistema finanziario e delle ambizioni monetarie di Pechino.
La domanda sullo sfondo è se, e in che tempo, l’internazionalizzazione del renminbi potrà rappresentare un vettore per de-dollarizzare l’economia globale. Infatti, se la relazione chimerica tra Stati Uniti e Cina sta arrivando al suo epilogo, comportando il principio di un disaccoppiamento tecnologico e commerciale, il tema dell’eccessiva dipendenza dal dollaro sta scalando velocemente la gerarchia delle priorità di Pechino.
Al fine di comprendere lo stato dell’arte di questo processo, l’autrice ricostruisce un quadro dell’arte della finanza con caratteristiche cinesi (capitolo 2) restituendo l’unicità del tentativo di controllare i flussi di capitale e allo stesso tempo internazionalizzare la propria moneta. Questa contraddizione viene naturalmente messa in relazione con il celebre “trilemma di Mundell-Fleming”, ossia l’impossibilità di conciliare libera mobilità di capitali, gestione stabile dei tassi di cambio e autonomia monetaria.
Un “trio inconciliabile” che la People’s Bank of China (PBoC) sta tentando di sfidare negoziando su ciascuno dei tre obiettivi (p.53). Una contrattazione tra opzioni di sviluppo alternative per il futuro del “socialismo con caratteristiche cinesi” che l’autrice conclude essere entrata in contrasto con la ricerca di una maggiore stabilità finanziaria (p.56).
Il libro si districa tra i limiti e gli avanzamenti conseguiti dalla strategia di internazionalizzazione del renminbi. Da un lato, vi sono le bassissime percentuali di utilizzo per i pagamenti internazionali (1.6 %) e l’inconvertibilità di una moneta che può essere trattata da un numero di attori ancora troppo ristretto. Dall’altro, l’autrice si muove in un mondo di dati opachi e frammentari per ricostruire come il potere creditizio e commerciale di Pechino stia creando avamposti finanziari fuori dal perimetro nazionale, principalmente tramite accordi di currency swap volti ad aumentare la liquidità della propria moneta presso le banche centrali.
Una sfida intrigante è quella del renminbi digitale (E-RMB), denaro virtuale che dovrebbe emanciparsi da circuiti bancari e di credito per risiedere in portafogli digitali verticalmente gestiti dall’architettura finanziaria centrale (PBoC e banche statali cinesi). Questa transizione alla moneta elettronica vincolata ai dispositivi personali rappresenta, nella lettura dell’autrice, una potenziale sferzata all’internazionalizzazione del renminbi (p.131).
Il capitolo conclusivo è un susseguirsi di domande centrali per comprendere la portata e le tendenze dei processi in atto, dall’avanzata del renminbi in Europa alla possibilità che le materie prime inizino ad essere denominante nella valuta della Cina, che ne è il primo importatore al mondo.
Il paradosso con il quale si chiude il testo restituisce tutta la conflittualità e le possibilità inesplorate che si annidano nel compromesso tra controllo dei flussi di capitale e sviluppo di un mercato finanziario e monetario dalle ambizioni globali.
Il risultato finisce per essere paradossale: quanto più la Cina riesce a far circolare la sua valuta all’estero senza ridurre i controlli sui flussi di capitale e la stretta regolamentazione del mercato finanziario, tanto meno ha bisogno di liberalizzare il renminbi (p.187)
L’enigma finanziario del “socialismo con caratteristiche cinesi” e il suo impatto sul delicato patto sociale tra crescita economica e stabilità politica interna sono e saranno dinamiche dalla portata globale, meritevoli quindi di una crescente attenzione da parte dell’accademia e del giornalismo italiano. Finanza e Potere lungo le Nuove Vie della Seta ha il merito aver alzato il sipario.