Égalité/L’un per cento della popolazione mondiale possiede quasi la metà della ricchezza mondiale. Nel 2016 si supererà la soglia del 50 per cento. Nei ghetti per ricchi trionfa la dolce vita, mentre la crisi accelera il «contagio» delle disuguaglianze: dall’economia alla politica fino ai diritti civili
Winnie Byamyima è la donna che al recente Davos dei potenti rappresentava il controcanto dei poveri; Byamyima è infatti il direttore esecutivo di Oxfam International, la coalizione di Ong che lottano contro la carestia e la fame nel mondo. Winnie Byamyima è condirettore del Forum di Davos dall’anno scorso e quest’anno si è presentata con un conteggio sensazionale. Il suo tema forte è la disuguaglianza nel mondo. Questa modalità dell’economia, da sé sola, è causa di milioni di morti ogni anno; potrebbe senza eccessivi sforzi essere superata, purché non venisse meno la volontà di raggiungere questo risultato. L’uno per cento degli umani, molto ben rappresentati al Forum di Davos, disponeva alla fine del 2014 del 48% della ricchezza mondiale. Ogni adulto ricco ricompreso in tale aristocrazia risultava disporre in media di 2,7 milioni di dollari. Alcuni fortunati o molto capaci, come si vedrà, disponevano naturalmente di molto di più. In complesso la compagine era in netta risalita. Solo 5 anni prima, nel 2009 la parte di ricchezza mondiale appartenente allo stesso uno per cento valeva solo il 44%. Negli anni di crisi i ricchi avevano dunque dato il meglio di sé, avevano mostrato le proprie capacità e come esempio per tutti avevano saputo crescere del 4%. Non diremo cha abbiano saputo sfruttare la crisi, o addirittura che l’abbiano provocata, perché questo è un peccaminoso pensiero complottista. È certo però che nella nuova prospettiva internazionale il trend spettacolare dell’uno per cento dei ricchi potrebbe raggiungere e superare il 50% della ricchezza del mondo nel 2016.
Sembra di capire che la severa reprimenda dell’Oxfam, i ricconi la intendano in senso capovolto, come fosse l’esortazione: “Francesi ancora uno sforzo”, del marchese de Sade ai tempi della Grande rivoluzione.
Alla dichiarazione di Oxfam è seguito un fantastico fuoco d’artificio di numeri, accompagnati da riflessioni e ragionamenti profondi, impegni e promesse. Ne riferiremo in parte poco più avanti. Ora però è opportuno segnalare che alcuni degli intellettuali che seguono o scortano i re dell’economia e della finanza fino alla tradizionale “montagna incantata” celebrata da Thomas Mann, proprio come gli sciacalli che fiancheggiano i grandi predatori, hanno creduto opportuno svolgere il proprio ruolo di pensatori e di critici mettendo in ridicolo le cifre dell’Oxfam. Il loro intento non era quello di rivendicare – cifre alla mano – l’intelligenza del mercato, cioè la fortuna di disporre di una (o qualche) mano invisibile a reggere tutto. Essi davano per scontato questo e ironizzavano sulla possibilità di arrischiare previsioni, come faceva Oxfam, in tempi tanto calamitosi. Gli economisti davosiani, per chiamarli così, volevano soprattutto togliere di mezzo il pensiero fastidioso e ostile di chi sostiene, ormai nel nuovo millennio, le ragioni dei poveri. Ancora i poveri, possibile che si parli sempre dei poveri, duecento anni dopo Malthus! L’accusa a Oxfam e ai pietosi colleghi cultori dell’economia misericordiosa era che questi ultimi non tenevano conto dell’esistenza di debiti a fianco degli attivi. In altre parole, le entrate delle persone nella finanza e nell’industria, in genere nelle attività economiche, devono essere depurate dai debiti contratti che possono a volte azzerare o peggio rendere negative le cosiddette ricchezze dei cosiddetti ricchi. “Così, rispondono quelli di Oxfam, voi ritenete che Bill Clinton e Hillary Diane Rodham Clinton, marito e moglie di una coppia notoriamente indebitata, fossero più poveri di una famiglia di contadini cinesi senza debiti?” Ma andando oltre la polemica politica, Oxfam – come riferisce l’articolo del “New Yorker” – accetta di depurare i ricchi, scartando i debitori dall’insieme. Il risultato non cambia di molto.
Le statistiche sui ricchi e sui poveri di Oxfam e sulla loro disparità sono due, una più impressionante dell’altra. La prima è quella segnalata più sopra e che riguarda la ripartizione della ricchezza tra ricchi e poveri: l’uno per cento più ricco della popolazione mondiale adulta e tutta la popolazione mondiale adulta, ricchi compresi. In altre parole, la sproporzione – talmente evidente –considera che l’uno per cento degli umani adulti ha una ricchezza che equivale a quella del 48% di tutti gli adulti del genere umano. Se le cose andranno avanti senza scarti, se le curve non cambieranno traiettoria nel 2016 l’uno per cento della popolazione mondiale avrà raggiunto e superato la ricchezza della metà del genere umano. Difficile dire se il risultato verrà magnificato come un successo del mercato e del capitale, un primato sportivo e umano glorioso, oppure se ne saranno messi in luce gli aspetti contraddittori: ridotto impegno dei più poveri, scarsa crescita delle occasioni per i giovani e i senza lavoro. Fermiamo per un attimo l’attenzione sul dato attuale 2014, l’uno per cento che dispone del 48% della ricchezza totale con una media individuale per adulto di 2,7 milioni di dollari. Il 52% della ricchezza globale che rimane è tutt’altro che ripartita equamente. Infatti il 19% dei quasi ricchi che tallonano il famoso uno per cento, dispone del 46% rimasto, mentre all’80 per cento della popolazione complessiva, pari a 5,6 miliardi di persone, testa più testa meno, resta circa il 5,5% rimasto (il 6% per fare cifra tonda).
Oxfam fa notare come una distribuzione della ricchezza simile non sia solo ingiusta ma anche inefficiente. Ai poveri, a quasi tutti, mancheranno capitali per aumentare la produzione, incentivi e margini per migliorare gli standard di vita. Non sarà possibile o sarà molto difficile, umanamente costosissimo, un risparmio individuale o collettivo. Ne risentiranno in modo assai grave l’istruzione, l’igiene, la salute, la speranza di vita stessa delle popolazioni.
Oxfam, per bocca di Byamyima, suggerisce sette punti d’intervento da sviluppare subito, senza perdersi in chiacchiere. Si tratta in primo luogo di combattere l’evasione fiscale, presente in ogni paese, regime e religione. Se i ricchi sono troppo ricchi è perché non hanno pagato le tasse. Risulta che dei 1.645 miliardari in dollari che “Forbes” ha classificato, oltre un terzo ha ereditato la propria ricchezza: in tutto il mondo le tasse di successione non funzionano o quanto meno favoriscono gli straricchi. Occorre poi rafforzare i servizi pubblici, in modo particolare quelli che riguardano salute e scuola. Occorrono poi più entrate pubbliche attraverso tasse più eque e convincenti. Serve inoltre un salario minimo che sostenga i redditi di donne, giovani, anziani, persone senza lavoro. Le donne in particolare ma anche gli immigrati devono ottenere la parità di salario per uno stesso lavoro. Serve poi una rete di sicurezza che consenta ai poveri di sopravvivere con dignità; quindi un tetto per ciascuno, e poi cibo e acqua. Infine serve un piano generale per combattere le disuguaglianze.
La seconda statistica redatta da Oxfam è ancor più impressionante. Le associazioni di Ong combattono la carestia, la fame, e accusano banchieri e finanzieri, industriali e venditori dei farmaci di gravi delitti e omissioni. Basterebbe poco per ovviare a molti guai, basterebbe l’intervento di pochi. Qui si sviluppa la polemica. Si è fatto cenno al numero dei miliardari in dollari. Oxfam si serve delle classifiche di “Forbes”, che, a beneficio di qualche distratto, è una rivista mensile con annesso un sistema di ricerca molto accreditato, assai stimata in ambiente miliardario, che fissa il numero dei suoi lettori privilegiati in 1.645. Sono persone molto potenti, inserite nei gangli della politica mondiale, ben capaci di farsi valere, di scegliere e di proibire, di procurare le guerre e firmare le paci, non solo nella finanza e nell’economia, loro ambiti propri. Negli anni scorsi, nel 2010, 387 di loro aveva ricchezze pari a quelle del mondo povero, metà di tutti i viventi, costituito da 3,5 miliardi di persone. La ricchezza (?) della metà più povera del mondo, corrispondente a 3,5 miliardi di viventi, equivaleva a quella di 387 miliardari. Un fatto enorme, una misura del mondo intollerabile. Questo però nel 2010. Dopo di allora, per effetto della crisi, le reciproche condizioni sono cambiate rapidamente. Non però con un decadimento della forza finanziaria dei miliardari, ma con un effetto opposto, maggiore ricchezza dei miliardari – la ricchezza dei primi 80 di essi è raddoppiata tra 2009 e 2014 – e contemporaneo disastro esistenziale della povera gente, di 3,5 miliardi persone, collettivamente prese, che certo hanno poco a che fare con borse e titoli derivati. Oggi è sufficiente la ricchezza di 80 miliardari per pareggiare sui piatti della bilancia globale il peso di mezzo mondo, e non per modo di dire, ma facendo riferimento proprio a 3,5 miliardi di esseri umani.