L’Europa, e l’Italia fra tutti i 27, è partita in ritardo sulla rivoluzione elettrica dell’auto a causa del diesel. Ora per non perdere il treno occorre accelerare. Dalla sua diffusione, integrata, a rete, dipende anche il potenziamento dell’energia solare ed eolica. Continua il dibattito sulla mobilità sostenibile.
Come lo scorso decennio è stato scosso dalla rivoluzione della generazione di energia elettrica con l’irruzione delle fonti rinnovabili, così il decennio che si apre vedrà una profonda trasformazione nel settore trasporti.
Malgrado i tentativi di diversificazione rispetto ai veicoli a benzina e diesel con l’alimentazione a metano, in particolare in Italia dove circolano un milione di auto, e con l’opzione dell’idrogeno che vede in prima fila il Giappone, in realtà è sempre più chiaro che saranno i veicoli elettrici a batteria i veri vincitori della sfida. Il continuo abbattimento dei costi e l’aumento delle prestazioni garantiscono infatti una crescita irreversibile per i veicoli elettrici.
Pensiamo alle batterie al litio, i cui costi si sono ridotti dell’87% tra il 2010 e il 2019. E notevole è anche il vantaggio ambientale oltre che in termini di emissioni climalteranti.
Secondo l’Agenzia europea per l’Ambiente, analizzando l’intero ciclo di vita delle auto, i veicoli elettrici risultano del 17-30% meno emissivi rispetto ai veicoli diesel e a benzina. Questa analisi era stata effettuata con il mix elettrico europeo del 2018, ma più si diffonderanno le fonti rinnovabili più aumenterà il vantaggio delle auto elettriche.
I paesi nella gara dei veicoli elettrici
All’inizio di questo decennio la Cina si trova fortemente avvantaggiata grazie alla conquista di una leadership non solo nella produzione di auto elettriche, ma anche di autobus elettrici, con più di 400.000 veicoli in circolazione.
Gli Usa hanno finora un ruolo secondario e devono ringraziare l’eccezione di Tesla, che con 187 mila auto vendute nel 2019 ha coperto il 78% di quel mercato.
L’Europa è partita in grande ritardo, anche per la difesa della tecnologia del diesel, ma sta recuperando il tempo perso. Si può dire che la Germania ha avuto la sfortuna di un “dieselgate” scoppiato troppo tardi, nel 2015. Lo shock di questo scandalo ha determinato infatti una svolta verso l’elettrico che però inizierà a dare i suoi frutti solo nei prossimi anni.
Non in tempo per gli obbiettivi della Cina, che ha definito quote progressive di auto elettriche e punta ad avere un quarto delle vendite totali nel 2025, ma anche in ritardo con le norme europee, che prevedono un livello di emissioni di 95 grammi di CO2/km sulla media delle auto vendute nel 2021.
E’ interessante sottolineare la chiara scelta di campo della maggioranza dei gruppi automobilistici. Malgrado fino qualche mese fa la Volkswagen avesse annunciato ingenti risorse per lanciare diversi modelli a gas da affiancare ai 19 modelli attualmente in vendita, nel marzo 2020 la casa automobilistica tedesca ha deciso di abbandonare lo sviluppo di auto a metano per concentrare tutte le sue attenzioni sull’elettrico.
L’amministratore di VW, Herbert Diess, è stato chiaro: “Se prendiamo sul serio la rivoluzione della mobilità, dobbiamo concentrarci sui propulsori elettrici a batteria. Tutto il resto è uno spreco di energia“.
Secondo il “Long-Term Electric Vehicle Outlook” pubblicato nel maggio 2020 da BloombergNEF (BNEF), gli autoveicoli elettrici potrebbero coprire il 28% delle vendite mondiali nel 2030, e il 35% in Europa (fig. 1).
Figura 1. Scenari sulle evoluzioni dei mezzi di trasporto elaborati da BNEF 2020
L’Associazione Motus-e (che al suo interno vede alcune tra le principali case automobilistiche mondiali, come Fca, Nissan, Volkwagen, Volvo, Renault e Tesla), ritiene che nel 2030, in Italia, il numero di auto calerà, 32 milioni di veicoli dai 39 di oggi, e che circoleranno 4 milioni di auto elettriche.
Una stima coerente con la versione finale del Pniec che prevede un incremento progressivo di nuove immatricolazioni di auto elettriche pure per raggiungere l’obiettivo cumulato di circa 4 milioni di auto elettriche pure o EV al 2030, che se sommate alle auto ibride plug in, consentirebbero di arrivare a un valore complessivo di circa 6 milioni di auto elettriche al 2030.
Bisogna però accelerare.
Si consideri che nel 2019, pur con un incremento del 75% delle vendite, il mercato tedesco è stato di sole 63 mila auto a batteria, con un imbarazzante testa a testa con la piccola Norvegia. La Volkswagen non è quindi pronta per gli obbiettivi europei e rischia di pagare sanzioni per 1,8 miliardi di euro.
Addirittura penosa, la situazione dei FCA, in ritardo storico sull’elettrico, costretta a comprare da Tesla crediti di carbonio per 2 miliardi dollari fino al 2023. Esattamente la cifra che Tesla spenderà per realizzare a Berlino una nuova Giga-factory di batterie.
Fabbriche di batterie
La Cina guida oggi la tecnologia delle batterie agli ioni di litio, con il 73% della produzione globale. Ma almeno una dozzina di Giga-factories – proposte da consorzi europei e asiatici – sono in programma in Europa ed entro il 2023 dovrebbero essere disponibili almeno 131 GWh di capacità.
Per ultima anche l’Italia si inserisce nella corsa alle batterie con un impianto realizzato dal gruppo Seri/Faam nell’ex sito Whirlpool a Teverola che dovrebbe arrivare ad una capacità di 3 GWh entro il 2026 con investimenti di mezzo miliardo di euro e che prevede anche una linea per il riciclaggio delle batterie.
Riciclaggio delle batterie e criticità del cobalto
Uno degli elementi critici delle batterie è rappresentato dal cobalto.
Il 60% dell’estrazione di cobalto viene infatti dal Congo, dove le condizioni di lavoro sono spesso a rischio. In particolare, un quinto delle 90.000 tonnellate estratte lo scorso anno proveniva da lavorazioni artigianali, inquinanti e pericolose, con il coinvolgimento anche di 35.000 ragazzini.
Amnesty International sta monitorando la situazione e nel rapporto “Time to Recharge”, ha analizzato il comportamento di 28 grandi società utilizzatrici del cobalto ed evidenziando un miglioramento della tracciabilità delle lavorazioni per qualche società rispetto ad un precedente studio effettuato nel 2016. In generale, comunque, molte aziende stanno cercando di migliorare la tracciabilità delle varie fasi della produzione del minerale. Così, ad esempio, Apple vorrebbe acquistare direttamente il cobalto e IBM ha avviato, insieme a Ford, una piattaforma Blockchain per poter seguire tutte le operazioni di produzione, dall’estrazione al trasporto, alla lavorazione. Di fronte a queste criticità, si tende a ridurre il contenuto di cobalto nelle batterie ed è partita una frenetica attività di ricerca di materiali alternativi.
E veniamo al tema del riciclaggio.
Le batterie al litio durano ormai più di 15 anni e quindi i problemi di un loro recupero inizieranno ad essere rilevanti dopo il 2025.
In effetti, sul versante del riciclo, si stanno investendo notevoli risorse per migliorare i processi e nel 2018 si sono trattate 97.000 tonnellate di batterie, la metà degli accumuli giunti a fine vita. In qualche caso si riesce ormai a recuperare l’80% dei vari componenti.
In Cina la società GEM ha avviato 16 impianti di riciclaggio e, per ora, riesce a recuperare 5.000 tonnellate di cobalto l’anno.
Ma, come detto, si cerca di utilizzare quantità sempre inferiori di cobalto. Tesla, ad esempio, è riuscita a passare da 11 kg a 4,5 kg per veicolo e, per le auto che usciranno dal suo nuovo stabilimento di Shanghai eliminerà del tutto l’uso del cobalto passando a batterie LFP, litio-ferro-fosfato, che consentiranno anche di ridurre i costi delle auto.
Parco elettrico, rinnovabili e rete elettrica
La presenza di un ampio parco di auto elettriche consentirà anche di rendere più flessibile il sistema energetico riducendo i costi per i consumatori. La diffusione su larga scala delle vetture elettriche è considerata infatti fondamentale per la gestione di forti produzioni solari ed eoliche, fungendo da accumulo distribuito, in grado di interagire in modo “intelligente” con le reti, con il fine di stabilizzare il sistema e di rilasciare energia quando la domanda cresce.
* Gianni Silvestrini, Direttore scientifico Kyoto Club