Il 7 aprile sarà la Giornata Mondiale della Salute. Fondamentale oggi il ricordo dei giorni del 1948 quando si ridisegnò il mondo con l’idea del “never again”, ispirato alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Da “la Repubblica”.
Il 7 aprile celebra la Giornata Mondiale della Salute, e mai come quest’anno è giusto e necessario ricordarla, con una memoria di mobilitazione. Corrisponde alla data del 7 aprile 1948, il giorno in cui entrò in vigore il trattato costitutivo dell’Organizzazione Mondiale della sanità (Oms) e il diritto alla salute come oggi noi lo conosciamo. L’Oms, la prima agenzia tecnica creata in seno alle Nazioni Unite, fu dunque apripista nella definizione del diritto internazionale. A conclusione di un itinerario negoziale non banale, mentre era in corso la parallela costruzione del diritto alla salute nelle costituzioni antifasciste europee, l’Oms prese il largo con la ratifica di 26 stati, tra cui anche l’Italia. La comunità internazionale di allora era molto più ristretta – 61 stati, di cui 51 già membri dell’ONU – ma agitata dentro dall’angoscia degli orrori di due conflitti mondiali.
Un diritto ispirato all’urgenza della ricostruzione. Così si muoveva con capacità di visione, incalzata dalla responsabilità di ridisegnare gli assetti del mondo seguendo la traccia del “never again”, quel “mai più” che ha ispirato l’impalcatura del diritto internazionale, inclusa la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, alla fine dello stesso anno. Formidabile quel tempo, perché ancora sgualcito dal senso di devastazione prodotto dal nazismo e dalla guerra. Formidabile perché prodigioso, abitato dal senso di urgenza che spingeva alla ricostruzione, oltre le macerie tutt’intorno.
L’accumulazione scriteriata dei capitali. E’ un tempo che viene richiamato spesso in queste settimane di pandemia che hanno sconvolto il mondo. Un decennio dopo la prima crisi finanziaria planetaria, questa nuova onda d’urto multidimensionale scatenata da Covid19 porta al pettine tutti i nodi di una globalizzazione senza regole che si nutre della progressiva distruzione dell’ambiente, della precarietà del lavoro, di un virus assai peggiore di SARS-CoV2, il virus della disuguaglianza, della accumulazione scriteriata dei capitali. Un retaggio di macerie prodotte da un sistema economico e di governance che ha tradito la aspirazione ai diritti universali del dopoguerra.
Il dopovirus sarà come il dopoguerra. Lo si sente dire con frequenza. E di certo nulla sarà come prima, per vie diverse questa crisi ricorda in effetti le sfide del dopoguerra. Come allora, le decisioni che i cittadini e i governi prenderanno nei mesi a venire definiranno il futuro del mondo. Non solo i sistemi sanitari, ma anche la politica, la cultura, l’economia del futuro. Quindi è necessario mobilitarsi da subito, dalla prospettiva di chi sta dentro la crisi, per sollecitare con forza decisioni urgenti e alternative che, oltre l’urgenza del momento, pongano le basi per un mondo differente. Come ci insegna il dopoguerra, si può prendere il largo dalla salute per costruire un mondo nuovo.