Da 20 anni Sbilanciamoci! chiede di sostenere la sanità pubblica. Se quelle proposte fossero state ascoltate avremmo oggi una spesa sanitaria dell’8,4% del Pil, solo un punto in meno di Parigi e Berlino. E con una sanità più forte saremmo più in grado di affrontare l’epidemia e limitare i danni economici.
Il 25 marzo 2020 il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha giustificato in Parlamento gli errori iniziali del governo con la nota frase: “del senno di poi sono piene le fosse”. Ci permettiamo di ricordare qui che c’è stato anche un “senno di prima” dell’epidemia, quello di chi chiedeva più risorse per la salute degli italiani. Tra questi c’è, da vent’anni, la Campagna Sbilanciamoci!, che ogni anno propone, nelle sue “Controfinanziarie”, priorità diverse per la spesa pubblica.
Abbiamo messo in fila vent’anni di Controfinanziarie e siamo andati a rileggere le nostre proposte. Erano idee condivise tra le circa 50 associazioni che fanno parte della campagna, con un contributo importante di quelle che più lavorano sui temi della salute come Cittadinazattiva, discusse ogni anno con economisti ed esperti. Erano ragionevoli proposte di aumenti progressivi della spesa sanitaria, compensati da tagli alle spese “sbagliate” – come quelle per le armi e gli F-35 – e da maggiori imposte sui più ricchi, in modo da lasciare immutato il saldo dei conti pubblici deciso dai governi che si succedevano ogni anno.
Abbiamo rifatto i conti della spesa pubblica per la sanità – usando i dati Ocse – a prezzi correnti, trascurando così l’erosione della spesa avvenuta in vent’anni per effetto dell’inflazione. La figura 1 mette a confronto la spesa effettuata dai governi e quella che avremmo avuto se le proposte di Sbilanciamoci! fossero state accettate.
Nel 2001 si partiva da 75 miliardi di euro, e Sbilanciamoci! chiedeva un miliardo in più, 76. Nel 2002 si chiedevano 500 milioni in più, in un paio di occasioni la richiesta è stata di 3 miliardi in più. Per farci cosa? Per evitare i tagli al Fondo sanitario nazionale, per lo sblocco del turnover del personale medico e infermieristico, per il potenziamento dei servizi di cura domiciliari e territoriali. Tra le proposte di Sbilanciamoci! c’era il finanziamento di centinaia di unità di rianimazione e di cura di patologie croniche e per malati terminali, anche in relazione all’invecchiamento della popolazione.
Rileggiamo quello che chiedeva la Controfinanziaria del 2008: “È necessario mettere termine all’incertezza sulle risorse, definire le linee di azione per una redistribuzione della spesa a favore della medicina di base, della prevenzione e di forme di assistenza domiciliare, razionalizzare le strutture ospedaliere, diminuire la spesa farmaceutica, individuare sprechi e situazioni di cattiva gestione e di illegalità, garantire il pieno utilizzo delle strutture pubbliche limitando il ricorso a quelle private, privilegiare il rapporto esclusivo da parte del personale medico. Sono questi i punti principali di un rilancio della sanità pubblica quale indispensabile elemento di sostegno di una società avanzata e fondamentale indicatore di civiltà”. E si chiedeva “il riordino delle convenzioni con le strutture sanitarie private, che producono sovrapposizioni e sprechi specialmente in Lombardia”, la regione che, dodici anni dopo, con una sanità pubblica ridimensionata, si è trovata impreparata ad affrontare l’epidemia di coronavirus.
Che cosa hanno fatto i governi? L’antefatto, tra il 1992 e il 1995, è stata la prima pesante riduzione della spesa sanitaria pubblica ad opera del governo presieduto da Giuliano Amato, con Francesco De Lorenzo ministro della Sanità (poi condannato per corruzione): in quel triennio la riduzione fu del 14%, con tagli al prontuario farmaceutico, riduzione di prestazioni, blocco del turnover del personale sanitario, aziendalizzazione delle Usl, margini d’azione incontrollata alle Regioni, spazio alla sanità privata.
Dal 2001 al 2006 la spesa sanitaria (a prezzi correnti) sale progressivamente, scivola nel 2007, risale nel 2008, poi con la crisi diminuisce fino al 2013, si stabilizza e registra un lieve aumento, fino a 116 miliardi di euro, negli ultimi anni. I tagli peggiori vennero a partire dal 2010 con il governo Berlusconi: 5 miliardi di euro in meno in tre anni al Fondo sanitario nazionale, poi qualche rifinanziamento e il commissariamento delle Regioni che avevano accumulato debiti troppo elevati per coprire le spese sanitarie, spesso per pagare onerose convenzioni a ospedali e case di cura private. Proprio nel 2010 Sbilanciamoci! chiedeva di evitare i tagli e lasciare 3 miliardi di euro alla spesa per la salute.
Se facciamo le somme, in vent’anni le richieste di maggiori spese (o minori tagli) avanzate da Sbilanciamoci! arrivano a 34 miliardi di euro: avremmo oggi una spesa pubblica per la salute di 150 miliardi di euro. Per una parte significativa tale spesa avrebbe sostituito la spesa privata, con un ridotto carico aggiuntivo sull’economia.
Ma era fattibile, questa “Italia di Sbilanciamoci!”, a confronto con l’Italia dei tagli alla sanità, delle privatizzazioni, dell’austerità, dell’evasione fiscale? Guardiamo a Francia e Germania negli stessi anni: i dati, sempre Ocse, sono nella Figura 2, in termini di spesa pubblica sanitaria in percentuale del Prodotto interno lordo. Vent’anni fa l’Italia aveva un serio ritardo, spendeva il 5,8% del Pil contro il 7,7 dei due paesi, due punti percentuali di Pil in meno. Per un decennio c’è stato un lieve avvicinamento, poi dal 2010 la divergenza diventa nettissima e oggi il nostro ritardo si è allargato a tre punti di Pil: 6,5% in Italia e 9,3-9,5% in Francia e Germania.
Come sarebbe oggi l’“Italia di Sbilanciamoci”? Saremmo più vicini al resto d’Europa, con una spesa dell’8,4% del Pil, solo un punto in meno di Parigi e Berlino. Con una sanità pubblica più forte saremmo stati più in grado di affrontare l’epidemia, ridurre le vittime, limitare i danni economici e sociali. È il momento di imparare la lezione del coronavirus, tornare alle proposte di Sbilanciamoci! di aumento della spesa sanitaria, sociale e ambientale, cambiare strada nello sviluppo del paese.