La manovra tratteggiata appare piccola nei volumi e fragile nelle modalità. Senza interventi di ampia progettualità, basata sulla flessibilità chiesta alla Ue e su una lotta all’evasione di piccolo cabotaggio.
1 ottobre 2019
Il presidente Conte e il ministro Gualtieri hanno presentato ieri la Nota di Aggiornamento al DEF 2019 (NADEF), atto iniziale delle sessione autunnale di bilancio che si concluderà con l’approvazione, a fine anno, della legge di bilancio per il 2020. Il governo è giovane ed è comunque normale che, al di là della fissazione degli obiettivi di finanza pubblica, i contenuti della manovra siano espressi in termini generici. Solo più in là le misure annunciate, insieme a quelle che si aggiungeranno in corso d’opera, verranno precisate nei dettagli.
Che la manovra si gonfierà nel corso dell’autunno è una certezza, anche se impossibile prevedere di quanto. Per adesso il primo aggettivo utile a descriverla è piccola. Vero, essa cuba 29 miliardi, ma 23 di questi sono destinati alla neutralizzazione delle clausole di salvaguardia, che avrebbero portato all’aumento di 3 punti dell’IVA a partire dal prossimo 1 gennaio. La scelta di evitare l’aumento, anche parziale, dell’IVA è condivisibile, perché altrimenti vi sarebbero state conseguenze fortemente negative sull’economia e in particolare sui ceti più deboli. Ciò fatto, però, rimane poco e colpisce quante poche risorse la NADEF destini agli interventi che dovrebbero caratterizzare l’azione governativa: dei rimanenti 6 miliardi, 2 andranno a rifinanziare interventi già in essere, una cifra imprecisata a confermare interventi in scadenza, altri 2,5 a ridurre il cuneo fiscale. Null’altro, per ora.
Manovra piccola, ma rivelatrice della crescente fragilità della finanza pubblica italiana, cui non sembra corrispondere, al momento, una sufficiente determinazione a invertire lo stato delle cose.
Fragilità che si evidenzia, innanzitutto, nelle modalità di finanziamento, caratterizzate dall’assenza di interventi di ampio respiro. Dei 29 miliardi, la metà sono finanziati in deficit, chiedendo alla UE di accettare per il 2020 un deficit in linea con quello del 2019 (2,2%), a tal fine utilizzando tutta la possibile “flessibilità” concessa dalla normativa europea; salvo improbabili nuovi tentativi di rottura del quadro regolamentare europeo da parte dell’Italia, sono così esauriti tutti i margini sui saldi di bilancio.
L’altra metà della manovra dovrebbe essere finanziata dalla lotta all’evasione (oltre 7 miliardi), da risparmi di spesa (2 miliardi), da tagli alle agevolazioni fiscali (2 miliardi) e dalle privatizzazioni (3,6 miliardi); si tratta di proposte sempre-verdi che, al momento, sembrano utili più a far quadrare i conti che a rivelare precisi obiettivi strategici.
Fragilità che si palesa anche in stime eccessivamente ottimistiche di alcune variabili, in particolare quelle relative alla spesa per interessi sul debito pubblico. I conti 2020 quadrano anche grazie al calo di oltre 6 miliardi della spesa per interessi rispetto alle previsioni dello scorso aprile, da 65,8 a 59,2 miliardi. Una “correzione” delle previsioni che nel 2022 varrebbe ben 17 miliardi (corrispondenti ad una spesa di 56 miliardi, anziché di 72,9 miliardi, come indicato nel DEF 6 mesi fa). Previsioni di spesa così basse, con un debito pubblico al 135% del PIL, rischiano di esporre eccessivamente la finanza pubblica italiana a un eventuale ritorno dei tassi di interesse reali su livelli appena 10 anni fa considerati “normali” o ad un aumento dello spread, ambedue le cose potrebbero accadere senza avvisaglie e in un intervallo di tempo ristretto.
Per andare oltre una manovra così piccola e fragile serve una progettualità di più ampio respiro, tanto sul lato delle entrate che su quello della spesa pubblica.
Prendiamo la lotta all’evasione fiscale, indicata nella NADEF come elemento centrale dell’azione governativa. Si è parlato di lotteria degli scontrini, di incentivo all’uso della moneta elettronica. Sono interventi che possono avere una qualche efficacia sull’evasione spicciola, ma che non toccano la grande evasione. Questa si può affrontare già oggi incrociando le basi dati e rendendo tempestivo l’accertamento ed efficace la riscossione. Si tratta di interventi con ben altro impatto sul bilancio dello Stato, che ci aspettiamo il governo prima o poi realizzi.
Ma anche questi serviranno a poco senza un intervento più complessivo, che non può che articolarsi in due direzioni: a) una decisa lotta, coordinata a livello europeo, all’elusione fiscale, in particolare quella originata dallo spostamento all’estero della sede fiscale e quella che caratterizza tutte le attività dei colossi dell’informatica e le imprese della gig economy; b) una riforma fiscale organica e coerente coi principi costituzionali della valutazione della capacità contributiva complessiva e della progressività dell’imposizione. Si tratta di invertire la tendenza degli ultimi anni all’erosione della base imponibile, andando a valutare tutti i tipi di reddito e tutte le tipologie di patrimonio ai fini dell’assoggettamento ad imposte progressive.
Quanto alle progettualità sul lato della spesa, va solo evidenziato come quei capisaldi che la stessa NADEF e il programma di governo indicano molto genericamente (investimenti pubblici, istruzione, sanità, politica industriale, welfare,…) devono essere al più presto precisati e prioritizzati, senza disperdere in mille rivoli le risorse.
Le condizioni della finanza pubblica in Italia sono sempre più fragili e la NADEF lo evidenzia. Possiamo, certo, sperare nell’aiuto esterno, in una politica più espansiva da parte degli altri paesi europei, Germania in testa, che ci traini. Ma senza una progettualità precisa, un progetto riformatore alto, che è innanzitutto nostra responsabilità, non potremo che continuare ad avvitarci nell’attuale condizione di recessione strutturale, con sempre meno margini, sempre più esposti ai venti della congiuntura.