Il destino della democrazia: un volume appena pubblicato da ETS, a cura di Emanuele Profumi e Alfonso M. Iacono, raccoglie interventi di filosofi, sociologi e antropologi che si interrogano su come re-immaginare la politica per ricreare la società di fronte alle macerie del neoliberismo.
Politica, possibile, alterità. Tre termini che possono guidarci oggi nel ripensare l’alternativa, nella riformulazione di un progetto politico capace di proiettare il presente nel tempo aperto del futuro, del possibile-divenire. Tutti i contributi ospitati nel volume riescono infatti a tenere insieme l’analisi del tempo presente e la prefigurazione di un ordine alternativo rispetto a quello neoliberista, offrendo materiali preziosi per sottrarci a ciò che più costituisce la cifra del nostro vivere: un imperante presentismo in cui il tempo del neoliberalismo ci continua a schiacciare, sancendo l’impossibilità della dimensione progettuale[1].
Le tre domande dalle quali parte l’introduzione di uno dei curatori – Emanuele Profumi – sono allora: quale società desideriamo, come possiamo cambiare quella che abbiamo ereditato? E da qui, come ripensare la politica, strumento necessario del cambiamento comune, consapevole e possibile? Come riarticolare il nesso tra «la politica e la (ri)creazione della società», tra politica e democrazia?
Per far ciò è innanzitutto necessario porsi due altrettanto basilari interrogativi: a che punto siamo arrivati, in quale stato di malessere ci troviamo e dove vogliamo andare, che cambiamenti immaginiamo e progettiamo?
Rispetto alla prima questione, molti contributi offrono spunti di rilievo per ricordarci, sulla scorta di una letteratura sempre più corposa in tema, le caratteristiche fondamentali del presente. Vale la pena ripercorrere alcune di queste caratteristiche, nella consapevolezza che è proprio questa disamina a rendere possibile un ripensamento della politica, a fronte del suo svuotamento, del suo impoverimento e neutralizzazione, a fronte di una politica ridotta a mezzo fine a se stesso.
Molti saggi (Iacono, Profumi, Fadini, Galanti, Sintomer, Santoro, Pla) ci consentono di fotografare la situazione attuale, la crisi della democrazia, della rappresentanza politica, del costituzionalismo, della mediazione dei grandi soggetti collettivi, degli stessi fondamenti delle costituzioni del Novecento. Ci consentono altresì di cogliere le trasformazioni attraversate dal capitalismo negli ultimi quaranta anni rispetto alla fase precedente (ai Trenta gloriosi), sintetizzando i più noti elementi qualificanti il passaggio dal modello del cosiddetto capitalismo storico all’attuale neoliberalismo, o «capitalismo assoluto post-coloniale e post-socialista»[2].
Tra gli aspetti strutturali di queste trasformazioni, vanno ricordate le analisi intente a leggere il neoliberalismo come un modo di ottimizzazione politica, capace di riconfigurare il rapporto tra governati e governanti, tra sapere e potere, tra sovranità e territorio[3]. Studi che hanno consentito di individuare alcuni tratti fondamentali di questa nuova tecnica di governo, permettendo di osservare le inedite combinazioni emergenti. Combinazioni «di forme diverse di potere sovrano, disciplinare e di biopotere in formazioni determinate e situate». Combinazioni che consentono di cogliere la disaggregazione di poteri prima incardinati nello Stato-nazione, ora riconfigurati in assemblaggi specializzati. A partire da questi studi e proseguendo con altri dedicati alla logistica emerge la centralità di una riorganizzazione del territorio la cui funzione è di servire efficacemente le catene globali del valore. La globalizzazione è stata così indagata nelle sue tensioni, nei suoi molteplici attori, nelle sue diverse scale, nei diversi spazi latitudinali, nei quali il rapporto tra sovranità e capitale è continuamente rimodellato in forme nuove[4]. È stata, tra gli altri, Sassen ad aver illustrato le conseguenze politiche della globalizzazione, evidenziando come gli Stati lungi dallo scomparire hanno avuto un ruolo dirimente nei processi globali. Lo Stato è coinvolto all’interno di dinamiche di negoziazione del proprio potere con altri attori e fonti del diritto, mentre aumentano processi di deregolamentazione e di privatizzazione della produzione del diritto. Si dispiega così una governamentalità imprenditoriale, in cui i «mercati globali contribuiscono tanto» a rafforzare quanto a indebolire lo Stato e le sue attività, modellando «la sua capacità di fare i conti con le agenzie globali»[5], il FMI in primis. D’altra parte, la frammentazione dello spazio nazionale si combina sempre più con la regolazione differenziale di popolazioni e di flussi di capitale, nonché con il dispositivo dell’inclusione differenziale[6].
Questi approcci analitici consentono di far luce su quanto avviene in contesti specifici nella loro interazione con la dimensione globale e al contempo permettono di focalizzare l’attenzione su quanto avviene a livello soggettivo, su cui non meno si soffermano vari saggi ospitati nel volume. Nelle profonde trasformazioni che hanno investito il rapporto tra cittadinanza e sovranità, è la stessa figura del cittadino classico a essere messa in discussione, così come quella del soggetto nel suo rapporto con i molteplici ambiti dell’esistenza. La logica neoliberale prevede infatti un individuo capace di auto-amministrarsi, di farsi imprenditore di se stesso in varie sfere della vita quotidiana. Come da tempo osservato da Brown, la modalità governamentale propria del neoliberismo comprende l’insieme delle tecniche di governo che oltrepassano l’azione statale in senso stretto e organizzano il modo di gestire se stessi degli individui (è contemporaneamente il governo del sé e degli altri). Su ciò non ci si dilungherà essendo stato questo ambito l’oggetto di una vasta letteratura, riassumibile nella formula thatcheriana: The object is to change the soul (è il disciplinamento e la cattura dell’anima di un individuo messo a valore in ogni aspetto del suo essere, costretto a essere imprenditore di sé, esperto di se stesso, conforme all’etica dell’impresa, della concorrenza, della valutazione, della performance, della prestazione, dell’autovalorizzazione). In sintesi si tratta della presa esercitata dal sistema su corpi, psiche, emozioni messi al lavoro; dell’estrazione di valore dalla vita[7], di un’origine del valore situata nell’esperienza umana, che diviene quindi oggetto dei processi produttivi e al contempo di una sofisticata sorveglianza interna funzionale al controllo esterno (Fadini). Si tratta non meno dello sviluppo di un processo nel quale la valorizzazione ha catturato un ambito dopo l’altro della vita e delle attività umane e, in particolare dopo la produzione, l’ambito della riproduzione.
Da un punto di vista storico vi sono senza dubbio caratteristiche comuni all’attuale forma di capitalismo. Tra esse la più rilevante è quella della finanziarizzazione, senza dimenticare – come Arrighi ha insegnato – che l’espansione finanziaria è stata da sempre uno dei tratti tipici dei cicli storici di accumulazione, alternata all’espansione produttiva. Tuttavia, come si è messo in luce, «l’economia finanziaria è oggi pervasiva, si spalma cioè lungo tutto il ciclo economico, lo accompagna dall’inizio alla fine». I nuovi dispositivi di estrazione del valore creano una quantità enorme di plusvalore e si basano sulla «riduzione del lavoro socialmente necessario con sistemi aziendali flessibili e reticolari (precarizzazione, occupazione intermittente)», nonché «sulla intensificazione del lavoro cognitivo», sulla «creazione di un bacino sempre più vasto di lavoro gratuito», sulla «compressione del salario diretto e indiretto»[8].
Come noto, rispetto alle trasformazioni che hanno investito il modo di produzione capitalistico, centrale è la crisi degli anni Settanta. Da quel momento il precedente patto sociale ha iniziato a sfaldarsi, a fronte di un acceso conflitto sociale, di un eccessivo “peso” della forza lavoro organizzata, del pericolo di un’alternativa non capitalistica alla stessa riorganizzazione produttiva, a fronte al contempo di una grave crisi di accumulazione di capitale, ma anche a fronte del fallimento dei tentativi di integrare all’interno del tradizionale compromesso tra capitale e lavoro le nuove istanze delle “eccedenti” soggettività politiche emergenti. A questo punto la formula del capitalismo addomesticato in senso keynesiano, nata dalle ceneri della seconda guerra mondiale e della grande depressione degli anni Trenta, comincia a entrare in crisi, a partire dalla stessa necessità per il capitale di ricreare le condizioni ottimali di una efficace accumulazione.
In questa ottica la neoliberalizzione – nata come controffensiva a quanto agito da soggetti e movimenti in grado di agire sul terreno dell’alternativa – appare come un vero e proprio progetto politico teso a ristabilire le condizioni necessarie all’accumulazione di capitale; un progetto mirante alla restaurazione del potere di classe.
È chiaro che come razionalità di governo non solo economica ma anche politica, il neoliberalismo ha richiesto la costruzione di un consenso volto a presentare come naturale una chiara costruzione sociale, politica ed economica (Harvey, 2007), fondata sul presentismo, sulla distopia, sulla profonda rassegnazione politica, sull’azzeramento delle alternative (riassumibile nell’efficace acronimo thatcheriano TINA). Fondata altresì su un mix di organicismo e individualismo, sul rovesciamento del senso dell’autonomia e della libertà, nonché fondata sullo svuotamento della democrazia, sullo stesso ricorso al discorso populista e sovranista, su una sostanziale spoliticizzzazione.
Negli ultimi anni molti dei citati studi volti ad analizzare il funzionamento del motore economico e politico del capitalismo globale, hanno sottolineato la centralità di processi di valorizzazione e accumulazione del capitale fondati sulla logica e i dispositivi dello spossessamento, dell’esproprio/espropriazione e dello sfruttamento in un loro mix. Processi di accumulazione che sono segnati da alcune caratteristiche quali la già ricordata finanziarizzazione, privatizzazione e mercificazione; ruolo ridistributivo dello Stato al contrario (dal basso verso l’alto), diseguaglianze abnormi.
La odierna finanziarizzazione dilagante e onnivora ha così comportato crescenti processi di distruzione, spoliazione, «espulsione». Il prevalere di una logica estrattiva in ambiti prima sconosciuti e in aree più estese per farlo cambiano sempre più il paesaggio umano e naturale. Attraverso la leva del regime debitorio lo stesso modello sociale europeo è entrato in una grave crisi: tagliati i salari, ridotte le prestazioni dello Stato sociale, privatizzate le public utilities e i beni comuni, la realtà è quella di tassi di povertà dilagante, di deperimento delle democrazie nate nel secondo dopoguerra, di trasformazione dei paesi del Sud in protettorati e “zone economiche speciali”, privi di diritti politici e sociali[9].
In questo quadro complessivo, si situa lo svuotamento della democrazia (motivo presente nell’insieme dei saggi del volume), ossia quell’oramai noto processo di regressione oligarchica della democrazia, di de-democratizzazione. Proprio il disagio per la cosiddetta deriva post democratica è uno dei motivi ispiratori del volume in questione, a partire dall’analisi delle trasformazioni radicali che hanno investito il sistema della rappresentanza politica e i suoi tradizionali soggetti di riferimento (eletti/partiti/elettori). In particolare, alcuni saggi si soffermano tanto sui nuovi meccanismi di formazione del consenso politico, denunciandone forme sempre più aggregate, dirette e polarizzate (Santoro); quanto sull’involuzione dei partiti, sempre più omologati, privi di una visione del mondo alternativa (Galanti), incapaci di porsi a capo dei processi storici, garantendo al diviso corpo sociale di partecipare per il loro tramite alla determinazione delle scelte politiche generali. La perdita della legittimazione sociale dei partiti si colloca nella crisi complessiva dei corpi intermedi, nella crisi della rappresentanza politica e democratica, in quella delle istituzioni pubbliche, nello iato tra governati e governanti in cui il populismo contemporaneo trova il proprio consenso in modalità plebiscitarie, polarizzate, proprie del discorso antipolitico (Pla).
Se questo è il quadro, il volume non si ferma certo qui. Esso infatti è capace di fornirci strumenti preziosi per ripensare la politica nella sua alterità ed eccedenza, per rifoggiare un immaginario del possibile (Profumi). In tal senso i saggi condividono un orizzonte comune di critica e profonde istanze di superamento dell’esistente. Il richiamo è allora sia ad alcuni principi e “concetti” che possono rifondare l’esistente; sia al protagonismo di quelle soggettività politiche capaci di muoversi sulla scia di una logica socializzante dello sviluppo delle forze produttive (per dirla con Marx e Luxemburg); sia ad alcune esperienze (di movimento) del passato più lontano e più vicino; sia in termini più complessivi ad una “concreta utopia” capace di riarticolare i nessi tra passato, presente e futuro e di fornire materiali di appiglio per la progettazione di un mondo altro.
Prendere posizione, pensare e agire in una dimensione prospettica, essere consapevoli della complessità dei problemi attuali, è la sfida di molti degli scritti presenti nel volume, nell’orizzonte di una responsabilità condivisa, quale principio fondamentale rispetto ai dilemmi posti dall’età globale e alle difficili sfide di un nuovo patto politico che non può non essere cosmopolitico (Petrucciani). Il richiamo è anche alla forza di un principio (che è anche una pratica) come quello dell’uguaglianza, riconnesso tuttavia alla valorizzazione della differenza/e (Iacono). Così come lo è al concetto dell’autonomia (solidale), dinnanzi ad un assetto di potere autoreferenziale e gerarchico come quello attuale (Profumi).
Lavorare sulle crepe, sulle fratture presenti nel panorama odierno diventa allora indispensabile: saper vedere la forza del capitalismo e al contempo cogliere sia i punti di crisi della sua egemonia, sia le istanze emergenti dalle molteplici soggettività, dai nuovi bisogni, dalle nuove potenzialità produttive a livello sociale, dalle stesse forme sociali della cooperazione (Fadini, Iacono).
Più saggi si richiamano alle esperienze sperimentate dai movimenti – in specie degli anni Settanta, ma anche degli inizi del XXI secolo – facendo riferimento a principi e pratiche innovativi, democratici, autonomi, espressisi nelle lotte di coloro che esigono essere direttamente artefici delle proprie vite. Fondamentali il percorso e le istanze di quei movimenti del post ’68, in specie del movimento femminista (Galanti), nel loro essere una pratica politica di rottura con l’esistente e di trasformazione complessiva, capaci di investire le costruzioni dicotomiche storicamente date e socialmente costruite, di riportare ad unità dialettica la scissione tra sfera pubblica e sfera privata, tra ambito personale e ambito politico, di “colpire” al cuore dei rapporti di potere, di fare della/e relazione/i il centro dell’agire politico. Le stesse pratiche che si delineano nei movimenti a noi più vicini nel tempo, hanno molto a che vedere con un ripensamento tanto delle forme della partecipazione ai processi costitutivi della cittadinanza stessa; quanto di quella “antropologia politica” implicita nel moderno discorso della cittadinanza. A essere indagati sono il movimento altermondialista del 2001 e quello più vicino, cosiddetto delle piazze, dei quali si rintraccia l’implicita eredità dei movimenti precedenti, in specie rispetto ai processi di «sostituzione delle istituzioni e dell’immaginario» e alle pratiche di cooperazione, democrazia diretta, reale e partecipativa (Profumi, Klimis).
A nuove istituzioni democratiche innervate da questi principi e forme della politica, espressione dell’autogoverno del corpo sociale, così come a una nuova rivoluzione democratica si richiamano più saggi, nella consapevolezza che lavorare in questa prospettiva, capire come potrebbero essere i nuovi modelli democratici, sia l’impegno più importante per ciascuno, da cittadino/a e studioso/a.
Contro le retoriche vuote del populismo/i e i loro assunti naturalistici, fusionali, corporativi e organicisti, ciò che dovremmo allora riprenderci in carico è quanto attiene al rapporto tra governati e governanti (come Santoro sottolinea criticando duramente il “populismo digitale”), di fronte a una politica ridotta a dar voce alle pulsioni degli individui, specchio piatto della società e dei suoi umori, incapace di esprimere un progetto di vita comune.
Il portato di alcuni tratti e istanze provenienti da più movimenti politici e sociali del passato e del presente possono dunque offrirci spunti rispetto ai problemi che affliggono la democrazia, rispetto a una risignificazione della politica democratica.
Nella congiuntura attuale a imporsi sempre più è l’urgenza di riproporre un carattere insorgente della democrazia, il suo contenuto processuale, la sua dimensione sostanziale. Come ci suggerisce questo libro, le possibilità di trasformare il mondo in cui viviamo provengono da questa capacità di espandere la democrazia, di re-immaginare e riarticolare il nesso tra libertà/uguaglianza, tra universalismo e differenza; provengono dalle potenzialità del conflitto, dall’agire stesso dei soggetti immersi in una logica dinamica del cambiamento, all’insegna di un futuro che è già presente.
[1] Traverso, Malinconia di sinistra. Una tradizione nascosta, Milano, 2016.
[2] Balibar, Con Marx dopo il marxismo: la questione del capitalismo assoluto, in C. Giorgi (a cura di), Rileggere il Capitale, Roma, 2018.
[3] Ong, Neoliberalismo come eccezione, cittadinanza e sovranità in mutazione, a cura di M. Spanò, Firenze-Lucca, 2013.
[4] Mezzadra e Neilson, Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale, Bologna, 2014, p. 248.
[5] Ong, cit., p. 109.
[6] Mezzadra, Neilson, cit., pp. 201 ss.
[7] Fumagalli-Morini, La vita messa al lavoro: verso una teoria del valore-vita. Il caso del valore affetto, in «Sociologia del lavoro», 115, 2009.
[8] Marazzi, La violenza del capitalismo finanziario, in Fumagalli e Mezzadra (a cura di), Crisi dell’economia globale. Mercati finanziari, lotte sociali e nuovi scenari politici, Verona, 2009, pp. 17-50.
[9] Sassen, Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale, Bologna, 2015.