Top menu

L’aria pesante di Katowice

Alla conferenza sul clima di Katowice in Polonia tirava una brutta aria. Anche per paura che la Conferenza traesse le dovute conclusioni dal Report Speciale IPCC su 1,5°C. Ora sulla questione cruciale nel mercato volontario del carbonio tutto è rinviata alla prossima Conferenza in Cile.

Quando la coordinatrice della vostra redazione mi ha chiesto questo articolo, ha suggerito di non limitarsi ai contenuti “scientifico-catastrofisti”. In pratica, mi ha scherzosamente provocata! Ebbene, cari lettori, in questo breve scritto troverete motivi per aver paura, ma anche motivi per sperare, specie se darete alla speranza un senso attivo e non passivo. Insomma, se vi darete da fare.

Cominciamo da una infografica animata.

https://cdn-images-1.medium.com/max/1600/1*pMWNGA2psTIxnzzrKdeOFg.gif

In questi pochi dati, tratti dal rapporto dell’IPCC (il Panel scientifico delle Nazioni Unite sul clima) potete trovare tutto il senso dell’impegno nostro e di tante altre associazioni e organizzazioni, ambientaliste e non, non ultima quella dei ragazzi adolescenti che si battono contro la propria estinzione, come Greta Thunberg: ma su questo torneremo. Il rapporto speciale dell’IPCC su 1,5°C richiesto contestualmente all’Accordo di Parigi, infatti, sottolinea che ogni mezzo grado in più di riscaldamento globale fa la differenza. Non che 1,5°C non comporti alcuna sofferenza: purtroppo con le nostre emissioni di carbonio provocate riportando in superficie e bruciando, quindi disperdendo nell’atmosfera, il carbonio depositato nei combustibili fossili, il danno lo abbiamo fatto e noi stessi, soprattutto le persone più giovani e le generazioni future, ne subiremo le conseguenze. Ma c’è molta, moltissima differenza sia in termini di probabilità, di frequenza e intensità di eventi, di persone coinvolte. L’IPCC ha detto un’altra cosa importante e non scontata: limitare l’aumento medio della temperatura globale si può, ma per farlo bisogna andare molto più veloci ed essere più radicali nei cambiamenti. Perché, ricordiamocelo, abbiamo cincischiato tra stop and go per oltre 25 anni da quando la Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico (UNFCCC) fu approvata al Summit per la Terra di Rio de Janeiro nel 1992.

Del resto, quel che pensa l’IPCC è ben riassunto in questo meme:

E tanto per essere ancora più chiari, in questa slide:

Se posso fare una battuta parlando di questioni così serie, già il fatto che l’IPCC abbia imparato a farsi capire è una ottima notizia. Ma veniamo a Katowice.

C’era una brutta aria, e non solo per effetto delle emissioni di CO2 e altri pericolosi inquinanti di non so quante centrali a carbone che potevamo vedere ogni giorno percorrendo i 35 chilometri dal nostro albergo, in mezzo a un’autostrada –Katowice è grande quanto il municipio Appio Tuscolano di Roma e non aveva assolutamente la disponibilità di posti letto per circa 30 mila persone- alla sede della conferenza, enorme, dove solo per lasciare il cappotto si percorreva mezzo chilometro.

Per dare un po’ l’atmosfera, bisogna dire che nelle aree A, B e C quando sono arrivata non c’era moltissima gente, poi ho capito perché: non c’era da sedersi. Forse un’ossessione di decoro, ma molto, molto scomoda per persone che dovevano fare decine di chilometri avanti e dietro ogni giorno: ossessione giunta al limite di non aprire le sale per le plenaria nelle ore estenuanti di attesa del testo della Presidenza. Questo convogliava la maggior parte delle persone non direttamente impegnate nei negoziati verso i padiglioni di Governi e società civile che offrivano al solito un ricco programma di eventi collaterali, tranne l’ultimo giorno, perché si è sforato di oltre 24 ore e quindi si camminava tra addetti che smontavano tutto. In compenso, negli ultimi due giorni sono comparsi alcuni sedili e poltroncine, diciamo per una 50ina di persone al massimo, un segno di buona volontà.

Chi c’era a Katowice: ovviamente i negoziatori, funzionari di ministeri e agenzie governative; ovviamente i ministri, che hanno anche dovuto negoziare in prima persona; ovviamente i rappresentanti delle istituzioni regionali e locali nonché quelli delle varie istanze della società civile, dalle organizzazioni non governative ai giovani e adolescenti, dai sindacati ai rappresentanti delle aziende. Mai come sul clima non tutte le aziende sono uguali: c’è chi ha colto il rischio, anche economico, e le opportunità; c’è chi difende posizioni dominanti. Ho avuto l’impressione che i rappresentanti dei settori fossili fossero molto numerosi, questa volta, a parte la “simpatica” circostanza che tra gli sponsor della conferenza ci fossero anche le aziende del carbone. C’erano gli scienziati, sempre più preoccupati, sempre più capaci di far capire a tutti la loro preoccupazione.

Dicevo che tirava una brutta aria: appena arrivata ho cominciato a sentire voci di fallimento. Non ci sarebbe stato nulla di meglio per fermare “violentemente” l’Accordo di Parigi che impedire l’emanazione delle regole per la sua applicazione, e qualcuno ha certamente tentato il colpaccio. Anche per paura che la Conferenza traesse le dovute conclusioni dal Report Speciale IPCC su 1,5°C, vale a dire ponesse da subito ai Paesi, che hanno presentato i propri impegni di riduzione prima che venisse concluso il trattato, l’esigenza di aumentare l’ambizione, cioè di aumentare i propri target per renderli davvero adeguati all’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, e comunque a tenerlo ben al di sotto di 2°C, come è scritto nell’Accordo di Parigi. Con gli impegni attuali, sicuramente sorpasseremo i 2°C per arrivare a 3-4°C: decisamente molto oltre ogni soglia pensabile e affrontabile. Per questo avete sentito diverse sfumature nelle dichiarazioni delle organizzazioni ambientaliste, certamente coscienti del pericolo corso, ma sempre più insofferenti verso una politica incapace di agire con la determinazione e la velocità necessarie. Al di là dei diversi toni, certamente tutti condividiamo la necessità che si esca dai lenti rituali e si imprima un’accelerazione, un’intensità e una radicalità nuove nell’azione sul clima.

Sulla questione Report Speciale IPCC, come molti avranno letto, è scoppiato il primo vero “caso” della Conferenza, perché quattro paesi – Stati Uniti, Arabia Saudita, Russia e Kuwait, i “soliti sospetti” – hanno ritardato la conclusione di una plenaria tecnica (SBSTA) rifiutandosi di “accogliere” la studio, peraltro chiesto agli scienziati contestualmente all’approvazione dell’Accordo di Parigi. Proponevano di “prenderlo in considerazione” soltanto. In realtà la COP, che è organo superiore a quello tecnico, ha risolto la questione accogliendo con favore il “completamento tempestivo” del report IPCC e ha “invitato” i paesi a utilizzarlo nelle discussioni successive: questo era l’aspetto fondamentale, l’aggancio al report per le future azioni.

Al centro dei negoziati è stato il “manuale operativo” dettagliato, necessario per l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi nel 2020. Il regolamento ricopre tantissime questioni, solo all’apparenza tecniche, per esempio il modo in cui i paesi dovrebbero contabilizzare le loro emissioni di gas serra, come devono contribuire al fondo per il clima, quali regole applicare ai meccanismi di mercato del carbonio. Trasversali alcune questioni di fondo, per esempio se concordare un unico insieme di regole per tutti i paesi – con flessibilità per coloro che ne avessero bisogno. E poi la solita “magagna”: i finanziamenti promessi già a Copenaghen e forniti in modo insufficiente per aiutare le nazioni in via di sviluppo ad adattarsi agli impatti del riscaldamento globale, mitigare le loro emissioni e partecipare pienamente al processo di Parigi.

Il testo all’inizio dei negoziati aveva circa 3000 parentesi, vale a dire parti di testo da negoziare. Nel complesso, l’accordo tende a una serie di regole per tutti i paesi, con ampia libertà per coloro che non hanno la capacità di soddisfarle. Per quanto riguarda la finanza, le regole sono relativamente permissive, dando flessibilità alle nazioni ricche sulle modalità di reporting dei loro contributi economici.

La COP è stata lungamente tenuta in “sospeso” dal Brasile, che non voleva l’approvazione di regole che impedissero di contabilizzare due volte le emissioni risparmiate, da parte del Paese che ha finanziato l’intervento e da parte di quello che ne ha beneficiato, nel mercato volontario del carbonio. Alla fine, la questione è stata rinviata alla prossima Conferenza delle Parti, che si terrà in Cile.

Importanti altri documenti approvati, in primis quello scaturito dal dialogo facilitativo detto “Talanoa Dialogue” che qui e lì richiama alla necessità di incrementare gli impegni di riduzione delle emissioni dei Paesi, ma non lo fa in un unico testo forte e chiaro, purtroppo. Vorrei anche sottolineare la “Solidarity and Just Transition Silesia Declaration” sulla Giusta transizione, cioè alla necessità di integrare gli aspetti ambientali con quelli sociali della transizione, sottoscritta anche dall’Italia, a quanto ci ha detto il Ministro Costa (sul sito non compare ancora la firma).

Fondamentale per la tenuta di Katowice è stata la “High Ambition Coalition”: una coalizione che comprende le Isole Marshall, Fiji, Etiopia, Unione Europea (inclusa l’Italia), Norvegia, Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda, Messico e Colombia, e che si è impegnata a migliorare i piani climatici nazionali prima del 2020 e a incrementare l’azione sul clima a breve e lungo termine. Siamo davvero contenti ci sia anche l’Italia, il Piano Energia Clima da presentare in bozza entro l’anno sarà la prima occasione per dimostrare un vero cambio di passo, a cominciare dalla effettiva operatività dell’uscita dal carbone entro il 2025, annunciata dal Ministro in plenaria.

Per concludere questo rapidissimo volo sugli esiti della Conferenza sul Clima di Katowice  vorrei sottolineare due segnali di speranza.

La COP 24 è stata la prima Conferenza degli adolescenti: li si vedeva dappertutto, alcune volte scherzavano e si davano le spinte come bambini e poi iniziavano a parlare, come Greta Thunberg nel suo discorso ufficiale, qui sottotitolato in parte in italiano da Lifegate:

https://www.facebook.com/lifegate/videos/858079894532592/

oppure a cantare, strappandoti letteralmente il cuore dal petto:

https://twitter.com/MgMidu/status/1073517128295297024

Posso solo dire che in persone come Greta e tanti suoi coetanei si percepiva, insieme, una determinazione forte e, come mi faceva notare una collega, una visione di futuro. Insomma, in pochi mesi sono passati da proteste solitarie a incontrare il segretario generale dell’ONU e dibattere con lui: sono qui, ai Summit globali come davanti ai Parlamenti di tutto il mondo, per restare.

Davvero ultima annotazione: ho preso una sola volta il taxi, tornando dalla conferenza il sabato delle conclusioni. Il tassista mi ha detto: “Il presidente polacco che vuole continuare a usare il carbone per altri 20 anni è matto”. Ecco, se nella regione carbonifera per eccellenza si pensa che continuare a usare il carbone è da pazzi, forse vuol dire che possiamo farcela.

* responsabile Clima ed Energia del WWF Italia