A Tunisi 60 mila attivisti e 4.500 organizzazioni di fronte alla minaccia del terrorismo globale. Un forum, che era nato quindici anni fa con l’obiettivo di costituire un’alternativa alla globalizzazione, si scontra oggi con un’altra sfida: il terrorismo globalizzato, quello che ha colpito anche la Tunisia.
Un forum, che era nato quindici anni fa con l’obiettivo di costituire un’alternativa alla globalizzazione, si scontra oggi con un’altra sfida: il terrorismo globalizzato, quello che ha colpito anche la Tunisia. Quest’attacco ha fatto crescere la sensibilità sulla questione del terrorismo islamico che non risparmia nemmeno un paese che dopo una rivoluzione non violenta aveva intrapreso una transizione alla democrazia senza imposizioni traumatiche e drammatiche. La Tunisia quindi rappresentava un luogo privilegiato per seguire quello che resta delle rivoluzioni o rivolte che hanno coinvolto il mondo arabo.
I 60.000 partecipanti al Forum non sembrano arrivati solo per seguire le centinaia di dibattiti organizzati dalle 4395 associazioni e organizzazioni presenti, ma anche per esprimere la propria solidarietà con i democratici tunisini.
La ricchezza di questo appuntamento è rappresentata dalla pluralità di presenze, compresi spezzoni di movimenti – ecologista, pacifista, sindacalista, delle donne – che però difficilmente usciranno dal campus del Manar come un movimento unico forte da imporsi sulla scena mondiale. Questi protagonisti continueranno la loro attività, chi in un campo più strettamente politico, chi a livello di cooperazione e solidarietà, chi in campo economico o culturale. Del resto è difficile immaginare che da questo mondo eterogeneo possa nascere una piattaforma condivisa da portare avanti insieme. Le divisioni esistono – lo si è visto anche nella sessione di apertura delle donne – e non possono essere cancellate ma possono certamente coesistere. Esistono anche obiettivi condivisi, come sulla Palestina, per fare solo l’esempio più evidente e importante.
Però la strada per realizzare quell’altro mondo possibile – che è lo slogan del forum – all’insegna della dignità e dei diritti è ancora da individuare. Con la necessità di coinvolgere nuove generazioni – l’eterno problema – che a Tunisi sono presenti, come lo sono i vecchi militanti, non solo europei e mediterranei. Però forse oggi i giovani sono più attratti dal movimento Occupy, declinato a seconda delle occasioni, su singoli obiettivi. Obiettivi che rispondono all’esigenza di abbattere quelle barriere che ci dovrebbero permettere di costruire un mondo basato sulla giustizia sociale.
Anche a Tunisi peraltro i gruppi di lavoro sono prevalentemente su singoli problemi o obiettivi – a prevalere, anche come partecipazione, sono le questioni sociali – e spesso manca una loro contestualizzazione in ambito se non mondiale almeno regionale. È come se si avvertisse un gap tra l’organizzazione concreta di «piccole» battaglie e i «grandi» discorsi contro il capitalismo, l’imperialismo e il neoliberismo, che restano slogan. Si vuole cambiare il sistema ma non si dice come.
Se alle prime edizioni del Forum avevano partecipato – a volte provocando imbarazzo – politici di rilievo, qui manca la possibilità di confronto con chi ha responsabilità a livello politico o istituzionale. Del resto questo Forum non ha leader e quello che potrebbe essere un vantaggio per evitare personalismi, in alcuni casi penalizza la visibilità e la possibilità di «identificarsi». In questo contesto – anche la rivoluzione tunisina e le rivolte arabe non hanno avuto leader – viene da pensare quale effetto avrebbe provocato la presenza di Tsipras o di Iglesias. Da qui la Grecia appare lontana, più di quanto non sia fisicamente, a parte essere stata il tema di uno dei tanti dibattiti della prima giornata.
Mancano i politici – e questo forse è un bene – ma mancano anche esperti, intellettuali e leader di movimenti con cui confrontarsi. L’impressione è che sia venuto un po’ meno il valore del gruppo di lavoro che permette l’approfondimento dei temi: non è questo il luogo dove si viene per prendere appunti sul taccuino, che ormai anche qui è sostituito dall’Ipad. Eppure sono arrivati anche gruppi di studenti universitari, alcuni di loro arrivano da un’università per studi orientali di Londra, in maggior parte sono ragazze e italiane!
Un Forum come questo serve soprattutto a incontrare persone che altri menti non si sarebbero mai incontrate, a scambiare indirizzi e costruire reti sperando che durino nel tempo. E che possano servire alle nuove generazioni. Anche il Forum sembra essere in una fase di transizione come quella che vive la Tunisia, con tutte le difficoltà e le incertezze del domani.
Il fermo immagine è quello di una grande Fiera (nel senso buono del termine) dove associazione e ong espongono i loro progetti e i risultati ottenuti. I più attivi sul piano politico sono i palestinesi e i sahrawi, ma domani sarà in scena la Siria e vedremo se si riproporranno gli scontri verificatisi nella scorsa edizione del Forum – con bandiere date alle fiamme – tra i sostenitori di Assad e gli oppositori armati, anche se ora la situazione è estremamente più complicata con l’affermarsi sulla scena dell’Isis e il suo progetto di Califfato. La stessa sigla che ha rivendicato l’attentato al Bardo.