Il discorso pubblico sembra monopolizzato dal ministro delle ruspe. La sua propaganda non è nuova ma questa volta sembra avere un consenso maggioritario nel Paese. Controbattere online ogni Twitter e battuta non ha senso, l’unica via è ribaltare l’agenda. Indispensabile è radunare le forze dell’opposizione sociale democratica delle varie città, fare rete e ribaltare l’ordine […]
Lo abbiamo saputo solo oggi. L’11 giugno un’altro attacco razzista ha colpito aCaserta due richiedenti asilo maliani: da una Panda nera sono stati sparati colpi di fucile a salve che per fortuna hanno colpito in modo non grave solo uno dei due ragazzi. A Carmagnola, invece, una sindaca ha deciso di abbattere la baracca di una famiglia rom con una ruspa.
Sono notizie di oggi e ormai non riusciamo neanche più a denunciare tutto quello che succede. I fatti parlano, o meglio parlerebbero, da soli e richiederebbero una reazione della società civile e una responsabilità delle istituzioni e del mondo politico che stentiamo a intravedere. Non abbiamo la forza di costringere il ministro degli interni a cambiare il registro della sua propaganda politica. Non abbiamo il potere di riorientare gli indirizzi di quello che è stato definito un “contratto” di governo, senza che nessuno (o quasi) facesse notare che governare un paese è un atto pubblico e non può essere definito in un documento di diritto privato.
L’asimmetria di risorse e di potere è talmente grande che non possiamo neanche immaginare di combattere a colpi di Twitter, di post su Facebook, o di articoli che sono letti solo da chi già la pensa come noi, il delirante consenso alle politiche del rifiuto che ci riportano indietro esattamente di 10 anni, all’epoca di un altro ministro dell’interno leghista, autore del pacchetto sicurezza 2008-2009. Tutto quello che vediamo oggi l’abbiamo già visto: 10 anni fa e, con una retorica meno sfacciata, con il governo precedente.
La differenza è che populismo, razzismo e xenofobia sono diventati cultura maggioritaria nel Belpaese: questa è la vera novità sancita dal voto e confermata dai vari sondaggi politici e sociali condotti dopo il 4 marzo. Prova ne sono le violenze razziste quotidiane che siamo costretti a raccontare, le “chiacchere da bar” che ormai riecheggiano in qualsiasi luogo pubblico, i se e i ma che intercalano sempre più spesso anche in ciò che resta dell’elettorato democratico e di sinistra, tra compagni e amici.
Non è sulla rete e, soprattutto, non è individualmente o nei nostri orti associativi, di movimento o sindacali che potremo contrastare questa deriva.
Ci troviamo in una situazione straordinaria che richiede risposte straordinarie. Serve uno sforzo collettivo di unire le forze sociali democratiche, antifasciste e antirazziste in una opposizione sociale di lungo respiro il cui obiettivo primario dovrebbe essere quello di ribaltare l’ordine del discorso e di cambiare l’agenda del dibattito pubblico. Qualche idea in pillole (non abbiamo ricette, nessuno le ha e per questo serve ritrovarsi).
- Intanto potrebbe essere una buona idea cessare di commentare ogni frase pronunciata dal ministro dell’Interno e smettere di dedicare centinaia di articoli alle sue esternazioni. L’invito è rivolto tanto agli amici online che agli operatori della stampa:smettiamo di occuparci delle parole, torniamo a raccontare i fatti.
- Quella della comunicazione è sicuramente una sfida che non possiamo ignorare, ma per avere la possibilità di influenzare anche minimamente l’opinione pubblica, dobbiamo affrontarla con grande attenzione, professionalmente e cercando alleati. Giornalisti mainstream, agenzie di comunicazione, esponenti del mondo della cultura, personaggi sportivi: DATECI UNA MANO.
- La tendenza in atto non potrà essere invertita in un batter di baleno perché è il risultato di una sedimentazione che almeno noi abbiamo raccontato in modo incessante da almeno dieci anni. Per questo è indispensabile organizzarsi unendo energie, idee, risorse e mezzi. Serve una rete trasversale di soggetti sociali che concordi almeno su un unico obiettivo, quello di riportare in agenda i problemi veri: politiche economiche e sociali che in questi anni ci hanno massacrato e sono riuscite a dividere il paese in tanti universi polarizzati e contrapposti. Non otterremo politiche migratorie, di accoglienza, di cittadinanza sostanziale più giuste se non riusciremo a rimuovere le migrazioni dalla centralità del dibattito pubblico. La prima cosa intelligente da fare sarebbe quella di incontrarci come si fece nel 2001, quando una due giorni a Firenze dette il via al movimento dei forum sociali. Erano altri tempi, ma oggi non c’è più tempo da perdere.
- Vediamoci a metà luglio, in un incontro nazionale dopo aver avviato un percorso nelle nostre città, intrecciando le reti che già esistono. A Roma abbiamo già iniziato ieri a parlarne in un incontro organizzato da Adif alla Casa internazionale delle donne. Chi ci sta, batta un colpo.