Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto in positivo le previsioni della crescita del pil a livello mondiale. Restano problemi di fondo, tra cui la vertiginosa crescita delle disparità di reddito e di ricchezza
La crescita dell’economia mondiale e i suoi problemi
Come è noto, di recente il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto in positivo le previsioni della crescita del pil a livello mondiale; mentre lo sviluppo complessivo del pianeta aveva registrato un più 3,1% nel 2016, esso dovrebbe raggiungere, secondo il Fondo, il 3,6% nel 2017 e il 3,7% nel 2018.
Nell’ambito di questo andamento tutto sommato positivo, non manca chi mette comunque in rilievo la persistenza di alcuni importanti problemi di fondo che, se non bene affrontati, rischiano di mettere in seria difficoltà il quadro dello sviluppo futuro.
Così Martin Wolf (Wolf, 2017) ha in questi giorni sottolineato la persistenza di due questioni di peso. La prima appare in relazione al fatto che il livello degli investimenti è, in particolare nei paesi del G-7, piuttosto insoddisfacente e comunque si colloca a livelli inferiori a quelli di prima della crisi; la seconda fa riferimento alla constatazione della permanenza di una montagna di debiti a livello delle imprese, oltre che, qua e la, delle famiglie e degli Stati.
Noi aggiungeremmo alla lista di Wolf anche, se non soprattutto, la crescita in atto nelle diseguaglianza di reddito e di ricchezza, nonché, parallelamente, i gravi problemi presenti nel mondo del lavoro, generati, tra l’altro, anche dalle conseguenze dei non controllati processi di innovazione tecnologica e di globalizzazione.
Ambedue tali aspetti, del resto tra di loro correlati, potrebbero anche essi portare a delle gravi impasse l’economia.
E’ comunque, al di la dei problemi citati, la presenza di un quadro di sviluppo complessivamente ritenuto come positivo dell’economia mondiale uno dei fattori principali che spiegano l’ottimismo attuale degli investitori, che negli ultimi mesi stanno collocando fiumi di denaro anche su asset molto rischiosi, contribuendo, tra l’altro, a consolidare un processo di inflazione rilevante degli stessi asset.
L’allarme della Banca dei Regolamenti Internazionali
Di fronte all’ennesimo allarme lanciato da una istituzione o da un qualche economista di una certa autorevolezza (questa volta l’avvertimento viene dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) di Basilea, che in qualche modo, come è noto, funge da banca delle banche centrali) rispetto alla tenuta delle economie occidentali e ad un possibile ritorno della crisi si è ormai magari tentati da qualche parte di ricordare la favola del pastorello e del lupo, con la bestia che, nonostante le urla di allarme del ragazzo, non arrivava mai, salvo poi farsi viva quando ormai nessuno più credeva agli avvertimenti ripetuti.
Comunque, il segnale che ora arriva da Basilea appare serio e ben documentato.
E’ noto come i fattori finanziari, usciti fuori da ogni controllo, hanno giocato un ruolo molto importante, anche se certo non esclusivo, nello scoppio della crisi del subprime. E’ soprattutto concentrandosi su una situazione oggi apparentemente simile a quella di allora che la Banca dei Regolamenti Internazionali arriva ora a lanciare l’allarme, buon ultima per il momento, dopo che negli ultimi due-tre anni un analogo avvertimento è venuto da diverse altre fonti.
Dobbiamo a questo punto ricordare che da diversi anni le principali banche centrali del mondo occidentale, per far fronte ad una crisi dell’economia rispetto alla quale i vari governi non avevano preso provvedimenti adeguati, hanno avviato delle massicce politiche di quantitative easing e di forte abbassamento dei tassi di interesse, ricoprendo in qualche modo un ruolo di supplenza rispetto alle assenze della politica.
Ma tali strategie, mentre hanno prodotto alla lunga qualche positivo effetto concreto sull’economia reale, come appare chiaro ad esempio da una certa ripresa dell’economia della zona euro da attribuire in larga parte, in effetti, ai provvedimenti della BCE, non hanno mancato anche di sfociare in dei rilevanti inconvenienti, come avevamo anche ricordato in un articolo apparso su questo sito qualche settimana fa.
Tra di questi, va registrata la crescita delle diseguaglianze e il già accennato parallelo gonfiamento di molti asset.
Così la banca sottolinea come la situazione attuale sia per molti versi simile a quella di prima della crisi del 2008 quando gli investitori, alla ricerca di ritorni elevati, usavano prendere a prestito forti somme di denaro per investirlo in attività rischiose.
Come la BRI, peraltro anche alcuni fund manager stanno in questo momento sottolineando il pericolo insito nella situazione (Inman, 2017).
I bitcoin e il resto
Si pensi come caso limite a quello che sta succedendo al mercato delle criptocurrency, in particolare a quello del bitcoin, il cui valore unitario tende a raggiungere ormai vette vertiginose, gonfiato tra l’altro come è da una massa di capitali alla ricerca di impieghi remunerativi, anche se rischiosi, nonostante i molti avvertimenti contrari di economisti ed istituzioni varie. Rispetto ad un valore che si aggirava intorno ai 1000 dollari all’inizio dell’anno, il 6 dicembre del 2017 si era raggiunto quello di 14.000, una cifra quindi di quattordici volte superiore.
Ma il caso dei bitcoin è solo quello più vistoso di un fenomeno più generale che va in direzione di una lievitazione anche insensata dei valori.
Si guardi, così, alla borsa statunitense che cresce ininterrottamente da molto tempo, attirando sempre maggiori capitali, o quello che sta succedendo al mercato immobiliare di molte grandi città del mondo, compresa Londra, in quest’ultimo caso nonostante la Brexit e il possibile esodo dalla città di decine di migliaia di persone, se non di più, nei prossimi mesi ed anni.
Più in generale, tutte le attività stanno andando in direzione di un crescente livello di insostenibilità.
La BRI (Inman, 2017) sottolinea come più a lungo continua la presa di rischio maggiore diventa il pericolo. Peraltro le previsioni del fondo monetario internazionale incoraggiano l’ottimismo degli investitori.
Intanto appare vano segnalare magari il rilevante rischio del debito al consumo statunitense o quello del mercato dei prestiti agli studenti sempre nello stesso paese.
La corsa all’investimento rischioso appare anche alimentato, oltre che dalla positiva congiuntura e dall’abbondanza di denaro, per di più a buon mercato, anche dalle previsioni di molti analisti finanziari e società di investimento, che sostengono che il rally continuerà anche nel 2018 e consigliano i loro clienti in questo senso.
Intanto il nuovo piano fiscale di Trump fa ritrovare in un colpo solo nelle tasche della Apple altri 47 miliardi di dollari, somma di cui la stessa azienda non sentiva certo la necessità.
Il livello dei tassi di interesse sta moderatamente aumentando, ma la disponibilità di credito resta abbondante e sarebbero necessarie misure molto più drastiche di quelle attuali per cambiare il quadro, misure che potrebbero però, d’altro canto, danneggiare la crescita dell’economia.
Non resta che aspettare con un certo timore i prossimi sviluppi della situazione e il possibile arrivo dell’ennesimo Minsky moment.
Testi citati nell’articolo
-Inman Ph., Financial markets could be over-heating, warns central bank body, www.theguardian.com, 3 dicembre 2017
-Wolf M., Fix the roof while the sun shines on world economy, www.ft.com, 5 dicembre 2017