Sull’integrazione dei Rom la Commissione europea ha messo a disposizione fondi per una gestione complessiva e organica della questione. Un’occasione che il nostro paese non dovrebbe perdere
Mentre la questione Rom in Italia è affrontata in condizione di emergenza costante, la Commissione europea mette a disposizione fondi per una gestione complessiva e organica della questione, all’interno della Strategia Nazionale di Integrazione.
Per quanto riguarda le strategie attuali, sono esemplari i casi di due grandi città come Roma e Torino. Nella Capitale, tutti gli ultimi quattro Sindaci hanno predisposto dei “piani Rom”, centrati più sulla lotta al degrado (attraverso sgomberi forzati) anziché sull’integrazione. L’ultimo rapporto del Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite[1] cita proprio la Capitale, invitando l’amministrazione a «revocare tutte le misure di sicurezza restrittive imposte all’interno degli insediamenti rom, perché segreganti».
A Torino, lo scorso luglio il Comune ha presentato la bozza del nuovo regolamento per i campi Rom, anche in questo caso focalizzato soprattutto sulla bonifica e sulla rimozione dell’immondizia accumulata da anni.
I punti chiave del processo di integrazione
Quello che manca, dunque, sembra essere una visione sul “post-emergenza”, ovvero sull’integrazione. Gli obiettivi di fatto già esistono, e sono sintetizzati nella Strategia Nazionale del 2012, coordinata dall’UNAR.
La strategia italiana identifica tre questioni fondamentali, con l’obiettivo di compiere passi significativi entro il 2020. In primo luogo la questione abitativa: il sistema dei “campi”, peculiarità tutta italiana, ha dimostrato tutti i suoi limiti in termini di marginalizzazione ed esclusione sociale, alti costi e scarsa efficacia.
Le altre due questioni chiave sono scuola e lavoro. Sul primo punto, la valutazione effettuata nel 2016 dalla Commissione europea sull’attuazione delle Strategie nazionali sottolinea che le politiche di integrazione scolastica dei Rom sono ancora oggetto di un approccio poco organico, molto diversificate a seconda del contesto locale. Le misure sono piuttosto frammentarie, spesso inserite nei progetti nazionali in materia di integrazione degli studenti stranieri.
Per quanto riguarda l’inclusione lavorativa, nonostante siano state avviate numerose iniziative per favorire l’accesso al lavoro, la formazione professionale, l’inserimento in stage e tirocini, manca ancora un coordinamento delle politiche a livello nazionale, in grado di dare organicità ai singoli progetti. A questo proposito, si sta cercando di riprodurre in Italia il programma Acceder, attivo in Spagna già dal 2000, ovvero una agenzia per l’impiego che realizza attività di intermediazione occupazionale tra aziende e lavoratori (prevalentemente di origine Rom).
La gestione dei fondi europei
Anche le risorse per raggiungere tali obiettivi esistono già: tra il 2014 ed il 2020 l’Italia ha a disposizione 32 miliardi di euro in fondi (Fondo Sociale Europeo – FSE, e Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale – FESR).
All’interno del FSE, almeno il 20% dovrà essere destinato a promuovere l’inclusione sociale e combattere la povertà. In questa somma rientrano anche le misure relative all’integrazione Rom. La fase di pianificazione dei programmi finanziati dal FSE e dal FESR ha richiesto circa due anni a livello nazionale, compresi i negoziati tra il Ministero dello Sviluppo Economico e le Autorità Regionali di Gestione.
Il programma operativo nazionale per le “città metropolitane” (PON METRO) comprende linee di bilancio specifiche per investimenti sull’inclusione sociale di Rom, Sinti e Caminanti. Il PON METRO sarà attuato in dodici aree metropolitane, tra cui le città in cui vivono le comunità Rom più numerose. Analizzando gli eventi degli ultimi anni esiste un reale rischio che i fondi PON Metro destinati all’inclusione Rom non vengano utilizzati in maniera corretta, ma vadano a rafforzare le politiche di segregazione o gli sgomberi forzati. Manca quasi ovunque, ad esempio, un processo partecipativo che preveda il coinvolgimento dei beneficiari nella pianificazione e nel monitoraggio delle attività.
Conclusioni
In alcuni Paesi europei, l’utilizzo dei fondi europei ha portato risultati effettivi che possono essere considerati buone pratiche. Ad esempio, il rapporto della Commissione sulla Strategia di integrazione evidenzia che la Finlandia è riuscita a portare un aumento della frequenza della scuola materna dal 2% al 60%, mentre in Irlanda sono stati istituiti degli “insegnanti itineranti” che si spostano seguendo le comunità Rom per garantire la formazione scolastica ai bambini. Sul fronte occupazionale, paesi come Austria, Spagna e Finlandia hanno formato degli operatori specializzati per assistere i Rom in cerca di lavoro.
Pur sottolineando che ciascun contesto nazionale è diverso dagli altri e che non tutte le buone pratiche sono replicabili in maniera efficace in qualsiasi contesto, le esperienze virtuose maturate in Europa possono rappresentare un esempio e uno stimolo per colmare il gap rispetto agli obiettivi fissati.
Sul fronte dell’inclusione scolastica e lavorativa, nel biennio 2016/2017 la Commissione europea ha finanziato il progetto PAL, coordinato dall’Università di Leuven (Belgio) e articolato in 12 paesi Ue (in Italia vi partecipano Fondazione Leone Moressa, Comune di Reggio Emilia e Consorzio Innopolis), finalizzato proprio a favorire l’analisi, lo scambio di buone pratiche e l’attuazione di campagne di sensibilizzazione in ambito educativo e lavorativo. Indubbiamente in Italia c’è ancora molto da fare, ma per una effettiva inclusione sarà necessario definire un quadro organico di finalità e individuare i soggetti in grado di perseguirle, possibilmente in collaborazione attiva con i beneficiari.
[1] CCPR – International Covenant on Civil and Political Rights – 119 Session (06 Mar 2017 – 29 Mar 2017)
Gli autori
Enrico Di Pasquale è ricercatore della Fondazione Leone Moressa. Esperto di immigrazione e di euro-progettazione. Ha collaborato in diversi progetti sui seguenti temi: integrazione socio-economica, associazionismo, formazione e comunicazione. Dal 2013 collabora alla realizzazione del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione. Collabora con “Lavoce.info”, “Il Mulino”, “Neodemos.it”.
Andrea Stuppini è dirigente della Regione Emilia-Romagna. Si occupa prevalentemente di welfare, esclusione sociale ed immigrazione. Negli anni novanta ha diretto l’Agenzia regionale per l’impiego dell’ER. Rappresentante delle regioni nel Comitato tecnico nazionale sull’immigrazione. Annualmente redige per il Dossier Immigrazione di Caritas-Migrantes. Fa parte del comitato editoriale della rivista ‘Autonomie locali e servizi sociali’.
Chiara Tronchin è ricercatrice della Fondazione Leone Moressa. Esperta di statistica, analisi quantitativa e qualitativa. Partecipa alla realizzazione del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione dal 2014. Collabora con “Lavoce.info”, “Il Mulino”, “Neodemos.it”. Nel 2015 ha partecipato alla commissione di studio del Ministero dell’Interno che ha portato alla redazione del Rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia.