La crisi economica, la sfida democratica, le migrazioni, la disoccupazione giovanile e il Trattato transatlantico. Un’analisi a tutto campo delle crisi che attraversano l’Unione
La ripresa economica in Europa è debole e fragile, le prospettive continuano a essere quelle di una crescita molto lenta con elevati tassi di disoccupazione. Anche se nella maggior parte dei paesi la produzione ha ripreso a crescere, in molti stati membri dell’Europa orientale e meridionale essa rimane ancora sotto il livello del 2007. Serve un forte stimolo macroeconomico, che rilanci la crescita e l’occupazione. La politica monetaria è stata rafforzata in senso espansivo attraverso il quantitative easing; tuttavia, nell’attuale contesto macroeconomico segnato da basse aspettative e domanda debole, ciò non basterà a favorire la ripresa. Il cosiddetto Piano Juncker, per le stesse ragioni, non fornirà lo stimolo necessario all’economia, mentre la nuova interpretazione del Patto di Stabilità e Crescita, che pur porta un qualche progresso, si tradurrà solo nella riduzione della pressione fiscale nei paesi in crisi, anziché generare un sostanzioso impulso fiscale.
È necessaria un’espansione economica coordinata, incentrata sul rilancio dell’occupazione attraverso la realizzazione di investimenti che promuovano l’ambiente, attenti all’ottica di genere; l’attacco alla spesa sociale deve finire. La moneta unica deve essere integrata con una politica fiscale a livello federale, che sia in grado di operare efficacemente in chiave di stabilizzazione anticiclica a livello regionale, nazionale e federale e, al tempo stesso, di operare trasferimenti di risorse tra le regioni più ricche e quelle più povere. La politica fiscale dovrebbe essere fortemente progressiva ed integrata da un’assicurazione europea contro la disoccupazione, che operi quale fondamentale stabilizzatore automatico. Le politiche strutturali e regionali della UE dovrebbero essere rafforzate ed estese, soprattutto mediante un grande programma di investimenti pubblici e privati, finanziato dalla Banca Europea degli Investimenti e incentrato, in particolare, sui paesi in deficit e su quelli a basso reddito.
La sfida democratica
A gennaio 2015, dopo aver sperimentato l’impatto devastante sulla produzione e sull’occupazione di ripetuti programmi di austerità, gli elettori greci hanno eletto un nuovo governo guidato da Syryza. Il nuovo esecutivo ha cercato di raggiungere un compromesso onorevole con le istituzioni europee; tuttavia, man mano che proseguivano le trattative, la posizione comunitaria si è irrigidita sulle condizioni fortemente restrittive già stipulate nei precedenti memorandum.
A luglio, il premier Tsipras è stato costretto ad accettare condizioni particolarmente restrittive per ottenere un nuovo prestito e, nonostante l’opposizione di molti parlamentari di Syryza, il partito ha conservato la maggior parte dei suoi seggi nelle successive elezioni politiche di settembre. Se i termini del Memorandum difficilmente potranno essere soddisfatti, le rigide condizioni imposte alla Grecia fungono da monito per tutti gli altri paesi a non sfidare l’ordine neoliberale.
Le vicende della Grecia evidenziano il crescente deficit democratico all’interno della UE e il modo in cui si cerca di costituzionalizzare la politica economica, sottraendola alla deliberazione democratica e ai legittimi meccanismi di scelta sociale. La narrazione dello “stato di emergenza” è stata usata per promuovere atti giuridici che violano il diritto costituzionale degli stati della periferia dell’eurozona e rafforzano le istituzioni europee meno rappresentative, la Banca Centrale Europea, i vertici dell’Eurozona e i consigli dell’Eurogruppo che operano secondo regole non scritte. Il Rapporto dei Cinque Presidenti afferma di voler promuovere maggiore prosperità e solidarietà in Europa ma, in realtà, le proposte ivi contenute serviranno a consolidare il carattere tecnocratico della governance UE.
La spinta a costituzionalizzare la politica economica testimonia il profondo timore della democrazia da parte delle classi dominanti della UE. Per la stragrande maggioranza di cittadini, tuttavia, la democrazia non rappresenta solo un valore politico in sé, ma anche una forza economica propulsiva. Il consenso democratico costituisce un potente collante che riduce l’incertezza economica. Gli investimenti pubblici sono necessari per dimostrare l’impegno politico nel promuovere priorità democratiche e per influenzare le aspettative degli operatori economici. Due esempi di tali priorità democratiche immediate sono la transizione a un’economia a basse emissioni di carbonio e la convergenza economica degli stati membri a basso reddito verso gli standard comunitari.
Migrazioni, mercato del lavoro e cambiamento demografico nella UE
Le drammatiche immagini delle migliaia di migranti che tentano di entrare nella UE ha scosso i cittadini europei e diviso i paesi sul modo in cui la situazione va affrontata. Gli attuali flussi migratori hanno sollevato, ancora una volta, dubbi circa l’effettiva necessità da parte del sistema economico dell’utilizzo di lavoratori migranti. I dati mostrano chiaramente il positivo contributo dei lavoratori migranti, oltre che al miglioramento delle loro stesse condizioni, all’economia dei paese ospitanti.
Le politiche migratorie europee sono dettate principalmente da considerazioni relative al mercato del lavoro, nell’ottica del progetto del Mercato Unico. Il principio della “libera circolazione” contenuto nel Trattato di Maastricht è divenuto lo strumento strategico per il controllo e la gestione della migrazione e degli spostamenti sia dei cittadini UE che di quelli di paesi terzi. La “libertà di circolazione” e il concetto di “parità di trattamento” sono principi cardine nel Funzionamento dell’Unione Europea ma le direttive comunitarie li hanno subordinati alla condizione che i cittadini migranti non diventano un “peso” per il paese ospitante.L’attuale dibattito sul diritto alla protezione sociale dei migranti in tutti i paesi UE riguarda la solidarietà e la ridefinizione delle frontiere di una comunità sociale europea. Il progetto di moneta unica, privo di solidarietà e unione fiscale, ha rivelato la fragilità dell’unione di paesi aventi una moneta unica ma strutture economiche differenti – la persistente crisi in Grecia è solo un esempio di queste contraddizioni. La solidarietà fiscale, per dare sostegno ai cittadini migranti della UE, potrebbe aiutare l’Unione a superare la sua crisi attuale. Un’Europa solidale (anziché caratterizzata dall’austerità) crea un contesto migliore per tendere la mano alle centinaia di migliaia di persone che scappano dalle guerre in Africa e in Medio Oriente, senza dar luogo a derive populiste contro l’immigrazione. La UE deve assolutamente sostenere il principio della “libera circolazione”, forse l’unica area che tocca direttamente i cittadini europei, i quali sperimentano la diversità culturale e la cittadinanza di un’Europa, auspicabilmente, inclusiva e solidale.
La disoccupazione giovanile nella UE
Anche se la crisi sociale nella UE è complessiva, interessando tutti gli aspetti dei rapporti di lavoro e tutte le forme di prestazione sociale, EuroMemorandum quest’anno si concentra sulla disoccupazione giovanile, uno dei più gravi problemi che la UE si trova ad affrontare, che mostra con tutta evidenza il fallimento delle classi dirigenti europee nel tutelare il futuro dell’Unione. Anche se la disoccupazione giovanile è aumentata in tutta la UE (con la sola eccezione della Germania), i tassi maggiori si sono registrati nei paesi soggetti alle clausole imposte dalla Troika. Il rapido aumento dei NEET (giovani che non studiano, non lavorano e non stano svolgendo attività di formazione professionale) mostra che, oltre ai disoccupati, ci sono milioni di giovani economicamente inattivi, con pochi o nessun collegamento con il mondo del lavoro, e che il problema è ancora più serio per la fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni rispetto a quella tra i 16 e i 24 anni. L’avvio del programma comunitario Garanzia giovani ha costituito un elemento positivo ma eccezionale nella politica sociale UE, inoltre il suo finanziamento è del tutto inadeguato nei paesi maggiormente colpiti. Quello di cui c’è bisogno, sia nel caso della disoccupazione giovanile che nel più vasto ambito delle politiche sociali, è un capovolgimento delle priorità, in modo tale che le norme in materia di concorrenza e di finanza pubblica siano subordinate agli obiettivi sociali e saldamente ancorate ai diritti sociali.
La sfida del TTIP e il Partenariato Orientale
Il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP) nella sostanza non tratta di commercio, ma di regolamentazione, andando a intervenire sulla sfera delle scelte sociali e delle preferenze collettive. Andrebbe ad incidere sul sistema di regole a tutti i livelli, offrendo agli investitori stranieri privilegi speciali attraverso il meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitori e stati (ISDS). Il modo antidemocratico adottato nelle procedure negoziali, la permeabilità a lobby e interessi speciali, la mancanza di trasparenza, hanno originato una forte opposizione. La risposta della Commissione è stata ambigua, la proposta di un meccanismo ISDS solo apparentemente rivisto, che non risolve i reali problemi sottostanti, e un nuovo documento di politica commerciale che promette un nuovo sistema valoriale solo a parole, risultando invece incentrato sulla spinta all’ulteriore estensione di quell’approccio, noto come coalizione dei volenterosi, attraverso il quale i paesi ricchi intendono imporre agli altri la liberalizzazione spinta e la deregolamentazione. In combinazione con il piano comunitario “Better Regulation Package” del 2015, il TTIP sarebbe in grado di distorcere, ritardare e bloccare i progetti di regolamentazione ancor prima che raggiungano il Parlamento Europeo e il Consiglio. La regolamentazione è vista solo come un costo per le imprese, tralasciando i benefici, che in realtà sono un multiplo dei costi. Da questo punto di vista, l’accordo Comprehensive Trade and Economic Agreement (CETA) raggiunto fra Europa e Canada va anche oltre il TTIP in ambiti chiave e non deve essere ratificato. Tra le più gravi previsioni di entrambi i trattati sono la blindatura del processo di privatizzazione dei servizi pubblici e il divieto di acquisti pubblici orientati allo sviluppo locale. Il TTIP potrebbe portare un colpo fatale all’integrazione europea: il mercato unico sarebbe diluito in un mercato transatlantico e la prospettiva di approfondire l’integrazione economica europea verrebbe continuamente rimessa in discussione.
L’approccio alternativo alla politica commerciale UE qui proposto darebbe un contributo positivo sia al modello sociale UE sia alla costruzione di un ordine economico internazionale basato sul rispetto reciproco e sulla cooperazione. In tal senso, EuroMemorandum individua “buone pratiche regolatorie” alternative. IL Partenariato Orientale (PO) sta inducendo rapporti sempre più asimmetrici con la UE, processi di deindustrializzazione dei paesi dell’Europa orientale, l’allargamento delle divisioni interne all’Europa e alla UE. I connessi accordi di associazione colpiscono direttamente la Russia, e potrebbero innescare reazioni dalle conseguenze imprevedibili. È urgente la messa in campo di una politica alternativa di partenariato, che contribuisca a uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile e che inneschi forti dinamiche di crescita regionale.
Il testo pubblicato costituisce il sommario del rapporto Euromemorandum 2016.
Il Rapporto completo, tradotto in italiano, è scaricabile qui: pdf a pagine affiancate, pdf a singole pagine