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Verso il fallimento nella culla della politica industriale Ue

Di recente il clima politico a Bruxelles sembra molto cambiato. E’ caduto, almeno in parte, l’anatema verso la politica industriale a livello europeo. Ma il salto in avanti adeguato per un’Europa in grado di riprogettarsi ancora non si vede.

Per moltissimo tempo la stessa espressione di politica industriale non ha avuto diritto di circolazione a Bruxelles e dintorni. I fanatici del neoliberismo a livello di Unione Europea, con l’appoggio in particolare, tra l’altro, ma non solo, di un paese come la Germania e dei suoi ordoliberisti, erano riusciti molto a lungo a evitare di far varare, o anche solo di appoggiare, qualsiasi potenziale iniziativa che si occupasse, anche alla lontana, di tale questione ed erano riusciti inoltre ad evitare che anche i singoli paesi prendessero delle iniziative di qualche rilievo al riguardo.

Ma da qualche tempo il clima sembra parecchio cambiato, a Bruxelles come a Berlino e a Parigi. Tra l’altro, le difficoltà crescenti delle economie europee, a cominciare da quelle della stessa Germania, il rallentamento di quella mondiale, la sensazione di grave perdita di posizioni nel campo delle tecnologie avanzate a favore di Cina e Stati Uniti, in particolare anche una sorta di specifico sentimento anticinese che sembra emergere dalle dichiarazioni ufficiali, incoraggiato peraltro dagli Stati Uniti – paese comunque con Trump anch’esso alla radice delle preoccupazioni nel nostro continente-, stanno spingendo da qualche tempo i politici tedeschi e francesi, e quindi l’Unione Europea, a cercare di fare qualcosa.

Le iniziative, in particolare in direzione della promozione di alcuni specifici settori o prodotti,  si vanno di recente moltiplicando. Tra di queste, bisogna ricordare il cosiddetto Green new deal, le iniziative nel campo delle batterie per i veicoli, dell’intelligenza artificiale, dei droni, dei nuovi aerei militari e carri armati (iniziative queste due ultime non strettamente riconducibili a livello di politica dell’UE).

Si potrebbe a questo punto dire “meglio tardi che mai”, ma per come si stanno avviando le cose è difficile trattenere una sensazione di potenziale fallimento complessivo della macchina che si sta peraltro molto faticosamente mettendo in moto.

In queste note, cerchiamo di passare in rassegna la situazione di alcune delle iniziative oggi all’attenzione dell’Unione, anche se in diversa fase di avanzamento.

Alcune osservazioni generali

Tra i problemi generali che sembrano ostacolare uno sviluppo adeguato dei vari progetti considerati da Bruxelles c’è intanto la voglia evidente di Francia e Germania ad egemonizzare la situazione, tendendo a spingere la partecipazione degli altri paesi verso un ruolo relativamente marginale. Peraltro i due paesi, lungi dal muoversi d’accordo sui vari punti, spesso sono in conflitto tra di loro sulle scelte concrete da portare avanti.

Non sembra poi giovare l’impostazione ideologica di base delle politiche che si stanno mettendo a fuoco; esse mirano a mettere al centro di tutto le imprese private, riducendo il peso dell’attore pubblico ad un ruolo finanziariamente limitato. Più in generale, ci sembra che le risorse messe in campo,considerando anche quelle solo sperate, siano comunque largamente insufficienti alla bisogna.

Per altro verso, sarà interessante vedere i funzionari di Bruxelles, entusiasti  neoliberisti, trasformarsi ora all’improvviso in ferventi programmatori. 

Infine, non manca la netta sensazione che, soprattutto in alcuni settori, l’Unione si sia svegliata molto tardi e che  forse ormai ci sia poco da fare per giocare un ruolo adeguato sul campo.

Il settore militare

Francia e Germania hanno nel 2017 lanciato il progetto di un nuovo aereo militare, noto con la sigla SCAF; a tale iniziativa è collegata anche quella di un nuovo carro armato. 

Almeno nella prima fase dello sviluppo, i due paesi hanno escluso la partecipazione di altri Stati, prevista semmai in un periodo successivo, ma in una posizione subordinata ai due capofila. Comunque la Spagna ha poi in qualche modo aderito al progetto. 

La Gran Bretagna, sentendosi esclusa dall’iniziativa, ne ha varata nel 2019 una alternativa, dal “suggestivo” nome Tempest, cui hanno aderito  l’Italia, con Leonardo, nonché la Svezia, che conta una importante esperienza nel settore.

Così, se le cose non cambiano, alla fine avremo due progetti concorrenti e non ci sarà presumibilmente un adeguato spazio di mercato per nessuno dei due avveniristici velivoli, che dovranno così rassegnarsi ad  una vita grama.

Intanto, nel 2015 i ministri della difesa italiano, francese, tedesco, questa volta insieme e nell’ambito delle politiche Ue, hanno firmato una lettera d’intenti per sviluppare in comune un drone militare a lunga gittata; il progetto dovrebbe essere portato avanti  attraverso le loro imprese Leonardo, Airbus e Dassault. Anche la Spagna, l’allievo docile, dovrebbe di nuovo partecipare in qualche modo. 

L’iniziativa avrebbe dovuto essere lanciata operativamente alla fine del 2019 e godere tra l’altro dei finanziamenti del fondo europeo per la difesa creato nel 2017. Ma i contrasti sulle questioni concrete, in particolare tra francesi e tedeschi, che vogliono comunque come al solito fare la parte del leone, ma anche tra le varie armi dei singoli paesi, nonché tra le diverse imprese citate, stanno mettendo in forti difficoltà la cosa (Bauer, 2020). 

Il progetto, secondo una sua prima versione, dovrebbe costare in tutto intorno ai 9 miliardi di euro, importo giudicato troppo elevato dai vari paesi. Si parla ora comunque di un possibile avvio delle prime commesse per la primavera del 2020. Ma anche se mai le cose andassero per il loro verso,  le prime consegne si avrebbero soltanto nel 2027. Intanto gli americani vendono i droni agli eserciti di tutti i paesi europei (Bauer, 2020). Un progetto apparentemente quindi senza grande futuro.

Le batterie

Il valore della batteria all’interno di una vettura elettrica costituisce una parte molto importante di quello complessivo di un’auto e per molti versi anche la parte più qualificata. Le imprese europee del settore hanno a lungo sottovalutato l’impatto del nuovo prodotto: ricordiamo, così, che Marchionne a suo tempo trattava con molta sufficienza l’argomento, rifiutandosi in ogni caso di investire delle risorse nel settore; ma anche i produttori tedeschi e francesi si sono fatti in qualche modo sorprendere dagli eventi e le case del nostro continente  sono obbligate ad acquistare le batterie dai produttori asiatici, in particolare dalla Cina, che sostanzialmente ha il ruolo più importante in tutta la filiera dell’auto elettrica. 

Ma anche in questo caso l’Unione Europea ha varato un piano per stimolare la produzione nel nostro continente, il cosiddetto  “progetto  Airbus”, ovvero la “European Battery Alliance”,  che prevede di mobilitare 8 miliardi di euro, di cui 3,2 di denaro pubblico apportato da sette paesi membri, per fare emergere una forte presenza europea nel settore delle batterie per l’utilizzo nei veicoli, ma anche in altri campi (Beziat, 2020).

Ma ecco che quello che avrebbe dovuto essere l’attore più importante del progetto, la Volkswagen, il primo produttore di vetture del continente, se non a livello mondiale, si è sganciato dallo stesso ed è diventato un azionista di riferimento di Northvolt, una start-up che sta costruendo un grande stabilimento di batterie in Lapponia, mentre è anche prevista la messa in opera di un altro impianto in Germania, anche con grandi programmi di sviluppo successivi. 

Sempre la Volkswagen ha intanto acquisito una partecipazione del 20% nel capitale di un fabbricante cinese di batterie. Intanto la BMW, che partecipa al progetto europeo, si è anche, a sua volta, alleata con il più importante produttore cinese, CATL, per mettere su un impianto in Germania (Béziat, 2020). Incidentalmente, va ricordato che  la statunitense Tesla ha avviato la costruzione di un grande stabilimento per le batterie a Berlino. 

Lo spazio per l’iniziativa europea sembra restringersi, tanto più che in Cina si sta avviando con rapidità e larghezza di mezzi una impostazione del tutto nuova per l’organizzazione produttiva del settore.

L’intelligenza artificiale 

Nel 2018 l’Unione Europea ha impostato un piano per lo sviluppo e il governo del regole per il settore dell’intelligenza artificiale.  

Oggi, praticamente quasi tutti gli investimenti nel settore sono da attribuire a Cina e Stati Uniti. I due paesi contribuiscono, tra l’altro, per circa l’85% del totale alle domande di brevetti mondiali, mentre il contributo dell’Europa appare sostanzialmente irrilevante, con una parziale eccezione per la Gran Bretagna. Eppure i paesi europei avrebbero tra i migliori matematici e ingegneri del mondo (Munchau, 2020). 

Ora il piano proposto, mentre appare molto attento per quanto riguarda la messa a punto di una serie di regole rigorose e di salvaguardie per lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale – il che appare certamente lodevole-, sembra invece del tutto carente quando si tratta di fissare gli obiettivi finanziari per lo sviluppo del settore nel nostro continente. 

In effetti, il progetto prevede che a partire dal 2021 si effettuino investimenti di 20 miliardi all’anno da parte del settore pubblico e di quello privato, cifra di per se già insufficiente a colmare il gap con Cina e Usa, sia pure essa fosse mai raggiunta; ma si è parallelamente deciso che l’Unione Europea stanzi con i suoi fondi 7 miliardi per tutto il periodo (un miliardo all’anno), cosa che rappresenta già di per se un’impresa – viste le difficoltà presenti nel definire il prossimo bilancio dell’Unione Europea-, mentre il resto dovrebbe venire dalla sfera privata. Speriamo.  

Conclusioni

Ci vogliono certamente un grande ottimismo ed una grande forza di volontà per portare avanti le nuove linee di politica industriale progettate a livello di UE. Molti sembrano in effetti gli elementi che congiurano contro l’iniziativa; alcuni sono certamente dovuti a fattori esterni, quali l’immanente e schiacciante presenza odierna di Cina e Stati Uniti, che intanto stanno andando avanti velocemente su tutti i fronti, mentre altri appaiono invece auto-inflitti, come abbiamo cercato di mostrare nel testo.

Alla fine, pensiamo che diverse tra le iniziative avviate non riusciranno ad arrivare a risultati abbastanza soddisfacenti e che se si volesse davvero fare un salto in avanti adeguato sarebbe necessaria un’impostazione molto più rilevante ed aggressiva, che peraltro apparentemente l’Europa è lontana dall’essere in grado di avviare, sia sul piano delle risorse finanziarie che su quello di un’unità di intenti da parte dei vari paesi.  

Testi citati nell’articolo

-Bauer A., Défense : le drone européen restera-t-il lettre morte ?, Les Echos, 26 febbraio 2020

-Béziat E., Pour les batteries, l’allemand fait cavalier seul, Le Monde, 25 febbraio 2020

-Munchau W., Europe is still in thrall to the analogue mindset, www.ft.com, 24 febbraio 2020