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Tecnologie e lavoro: alcuni sviluppi recenti 

Impiegare sulle linee produttive robot è ormai più economico che utilizzarvi persone e questo anche nei Paesi dove il costo del lavoro è estremamente basso. Le novità nel dibattito sull’influenza dell’innovazione digitale nella divisione del lavoro.

premessa

 Il dibattito contemporaneo sull’influenza dell’innovazione digitale in atto sul mondo del lavoro appare abbondante e presenta molte novità nel tempo. Nelle note che seguono cerchiamo di registrarne alcune recenti suddividendo il testo in tre capitoli: 1) influenza delle nuove tecnologie sulla divisione internazionale del lavoro, in particolare su paesi ricchi ed emergenti, 2) mutamenti apportati agli aspetti qualitativi del lavoro, 3) e a quelli quantitativi, compresa la distinzione tra attività a bassa, media e alta qualificazione.

La divisione internazionale del lavoro 

L’evoluzione negli ultimi anni di aree quali robotica, intelligenza artificiale, big data, hanno suggerito che dal momento che tali tecnologie stanno diventando sempre meno costose, più flessibili e più pervasive, si stia procedendo in direzione di una rilevante frenata dei processi di decentramento produttivo verso i Paesi emergenti, attività già in atto da parecchi decenni. Impiegare sulle linee produttive robot è ormai più economico che utilizzarvi persone e questo non solo nel mondo più sviluppato, ma anche  in Paesi quali il Bangladesh o l’Etiopia, dove il costo del lavoro è estremamente basso. 

Naturalmente, sono da escludere Paesi come la Cina,  dove gli investimenti provenienti dall’estero da tempo non vengono decisi per ridurre i costi di produzione, ma semmai per penetrare meglio in un mercato che tende ad essere il più grande, o, almeno, quello che cresce più velocemente al mondo in quasi tutti i settori. 

Nonostante le previsioni di una rilocalizzazione degli impianti verso i Paesi ricchi appaiano ragionevoli e risalgano a qualche anno fa, in realtà tale processo, seppure in qualche modo in atto, va avanti in modo molto più lento del previsto, lasciando ancora spazi alla tendenza all’industrializzazione dei Paesi poveri. Si può dire che, in ogni modo, la transizione appare per fortuna piuttosto lenta e comunque selettiva.

La qualità del lavoro – tre categorie di lavori

Appare indubbio che lo sviluppo delle tecnologie numeriche, almeno per come esse sono guidate da chi ha in mano le leve decisionali, stia andando in direzione di una pesante diminuzione complessiva della qualità del lavoro, senza peraltro dimenticare che in qualche caso, peraltro a nostro parere molto minoritario, l’introduzione dei processi di automazione possa migliorare gli aspetti sanitari ed ergonomici del lavoro.

Un testo uscito da poche settimane (Casilli, 2019) mostra come i nuovi lavori digitali, a parte quello che riguarda una relativamente ridotta fascia di impieghi molto qualificati (si veda meglio più avanti), si possano oggi catalogare in almeno tre categorie.

La prima forma, la più conosciuta e studiata, risulta in quella che è stata chiamata uberizzazione e fa riferimento agli autisti di Uber, di Didi Chuxing o di Lyft, a quelli che effettuano le consegne in bicicletta, Deliveroo, Just Eat, Uber Eats, alle persone che si possono affittare ad ore per i servizi più vari, ecc.. 

E’ noto come i lavoratori che operano in tale comparto di attività non hanno alcuna sicurezza dell’impiego, possono essere licenziati all’istante, ottengono remunerazioni molto basse, non godono di assistenza sanitaria e pensionistica, né di ferie pagate e così via. 

La seconda forma, meno analizzata, è quella dei micro-lavoratori pagati al pezzo, attraverso delle piattaforme come il Mechanical Turk di Amazon; essi, reclutati di volta in volta su internet a livello globale, lavorano a domicilio per svolgere dei micro compiti che vengono remunerati  qualche centesimo ciascuno; assistiamo in questo caso a una pratica scomparsa del lavoro come lo si poteva normalmente intendere sino a ieri.

La terza, individuata con precisione dall’autore, fa riferimento al lavoro gratuito che forniscono tutti gli internauti, senza neanche saperlo, quando navigano sul web, fanno una ricerca su Google o su Baidu, o quando postano un commento su Trip Advisor. Ogni volta l’internauta fornisce dei dati di grande valore per le imprese digitali, dati che sono poi la base delle loro fortune. Questo tipo di lavoro viene praticato ormai da miliardi di persone. 

-Il comportamento dei tribunali e la reazione delle imprese

La sola esistenza di lavori uberizzati e dei Mechanical Turk indica come pressoché tutti gli Stati contemporanei accettino di piegarsi sostanzialmente a una logica aberrante delle imprese. 

C’è da dire che in diversi paesi i lavoratori interessati, spesso con il sostegno dei sindacati, nel caso soprattutto dei lavori della sharing economy, hanno portato avanti processi nei tribunali e, in diversi casi, anche se non sempre, hanno ottenuto delle vittorie. La giustizia ha statuito di frequente che Uber e gli altri avevano torto nel classificare i lavoratori come autonomi e che bisognava riconoscere loro almeno alcuni dei diritti di quelli dipendenti.

Ma, nonostante tali sentenze, è cambiato poco sul terreno (O’ Connor, 2019). Le società hanno fatto appello in giudizio in pressoché tutti i casi e comunque hanno insistito sulla linea che le sentenze valevano solo per quei lavoratori che avevano avviato la procedura presso i tribunali e non per gli altri. 

La disputa continua, nell’inerzia quasi totale della gran parte dei governi.

I sindacati inglesi stanno tentando ora anche un’altra via, come sottolinea sempre O’ Connor, quella del negoziato con le imprese interessate. Così  nel caso dell’Hermes, che impiega in Gran Bretagna 15.000 corrieri, i lavoratori possono scegliere se restare dei lavoratori autonomi od optare per un nuovo tipo di contratto, che offre la tutela sindacale, la garanzia di un salario minimo e le vacanze pagate. Per i sindacati si tratta così di assicurare alle persone una base di partenza minima da cui poi partire eventualmente per ottenere migliori condizioni in futuro.

La dimensione quantitativa del lavoro – Il dibattito in atto

L’influenza dell’introduzione delle nuove tecnologie sulla quantità di lavoro disponibile è indubbiamente il tema che ha più eccitato nel tempo le fantasie e maggiormente occupato le menti degli studiosi. 

Uno studio di Frey e Osborne (Frey, Osborne, 2013) ha sostanzialmente avviato il dibattito scientifico sull’argomento. I due autori, come è noto, erano arrivati alla conclusione che, almeno negli Stati Uniti, Paese su cui si concentrava la ricerca, il 47% dei posti di lavoro erano esposti al rischio di automazione. 

Il testo ha suscitato un vivo dibattito, con centri di ricerca e singoli studiosi e operatori che si sono schierati nel tempo in due gruppi contrastanti. Il più numeroso si è trovato sostanzialmente d’accordo con i due autori citati, pur con qualche distinguo e sfumatura, ma una nutrita minoranza ha invece argomentato che, anche se le nuove tecnologie avrebbero distrutto molti posti di lavoro, molti nuovi se ne sarebbero creati, portando ad un effetto netto o neutrale o positivo. 

Tra i pessimisti si sono schierati sostanzialmente, tra l’altro, la Banca Mondiale e la McKinsey, mentre l’Ocse ha presentato un atteggiamento più circospetto e in sostanza in bilico tra le due posizioni. 

-L’analisi di alcuni settori

I pessimisti sono confortati nei loro giudizi da analisi più dettagliate che si vanno sviluppando negli ultimi tempi sui vari settori più toccati dai processi di automazione, in particolare quelli dell’auto, della finanza, della grande distribuzione (Comito, 2018). In queste attività l’incidenza possibile sul lavoro dei processi di automazione appare ormai abbastanza chiara, anche se permane qualche dubbio invece sui tempi di avanzamento dei processi.

Per quanto riguarda il primo settore citato, le novità, piuttosto devastanti, sono rappresentate dall’introduzione ormai in atto della vettura elettrica, di quella a guida autonoma, nonché di un grande mutamento nella gestione dei veicoli, con l’affitto di breve durata che tende a sostituire l’acquisto.

Ora una vettura elettrica contiene grosso modo 7.000 pezzi contro i 30.000 circa di una vettura tradizionale, mentre le parti mobili, passando dall’auto tradizionale a quella elettrica, sono solo 3 contro le 155 dei vecchi modelli. Questo implicherà ovviamente una forte caduta dei livelli di manodopera in particolare nelle società di componentistica, oltre che in quelle di montaggio.

Per quanto riguarda poi l’auto a guida autonoma, che per fortuna è di qualche anno in ritardo come tempo di introduzione (ma solo di qualche anno), intanto spariranno gli autisti; poi, dal momento che l’auto a guida autonoma potrà essere utilizzata da grandi compagnie di noleggio molto di più dell’auto tradizionale, il numero delle vetture prodotte sarà molto inferiore a quello odierno, fenomeno che si riscontra in qualche modo ed in maniera embrionale già nel 2018 in Cina. Ne seguirà anche per questa via una forte riduzione nei livelli di occupazione. 

Per quanto riguarda la grande distribuzione, intanto essa è sotto l’assalto del commercio elettronico (soprattutto Alibaba e JD in Cina, Amazon negli Stati Uniti), mentre avanzano in Cina, ma anche negli Stati Uniti, i negozi senza personale alcuno. Tutto questo inciderà anche in questo caso abbastanza pesantemente sul livello degli occupati nel settore.

Infine, per quanto riguarda il settore bancario, ricorderemo che la sempre più massiccia introduzione delle nuove tecnologie nel front come nel back office sta portando ad una costante riduzione del numero degli addetti. Coma caso esemplare vogliamo solo ricordare come in Cina già da più di un paio di anni esiste una finanziaria controllata, se ricordiamo bene, da Alibaba, che ha cominciato a fornire la somma domandata in prestito dai vari clienti in soli tre minuti, sufficienti alle gigantesche banche dati con programmi di intelligenza artificiale a fornire la risposta sulla solvibilità del richiedente.

D’altro canto, si verificheranno certamente degli aumenti di occupazione nei settori tecnologici, ma il tutto resta abbastanza poco chiaro e incerto.  

-Chi viene colpito di più

Si è pensato a lungo che l’innovazione tecnologica tendesse a distruggere soprattutto i posti di lavoro meno qualificati e certamente questa tendenza è in atto. 

Così, ad esempio, gli operai rappresentavano il 40% della popolazione attiva francese, mentre oggi si sono ridotti al 20%, mentre il 70% di essi lavora nel terziario (manutenzione, pulizia, trasporti). Ricerche recenti indicano come gli impieghi di qualità intermedia sono altrettanto toccati di quelli a bassa qualificazione, se non addirittura più, sia nelle fabbriche che negli uffici, come sembra indicare una letteratura crescente (Im, Mayer ed altri, 2019).

Questo, nell’ambito di un processo che vede la costante tendenza ad una polarizzazione del mercato del lavoro, da una parte un numero ristretto di lavori molto qualificati e fortemente retribuiti, dall’altra impieghi poco qualificati, poco retribuiti e sempre più precari.

Peraltro, si va verificando, in controtendenza, che la polarizzazione del mercato del lavoro sembra minore in Germania, mentre nei paesi scandinavi si  creano prevalentemente degli impieghi molto qualificati. 

Conclusioni

Anche se si possono individuare alcuni motivi di incertezza e qualche piccolo motivo di speranza, appare plausibile che gli sviluppi in atto nel mondo del lavoro appaiano sempre più chiaramente e complessivamente come molto poco soddisfacenti e le tendenze più recenti non sembrano aprire molti orizzonti favorevoli. 

In questo quadro, appare particolarmente vergognoso il comportamento dei vari Stati, comportamento spinto dalle lobby aziendali, dal fanatismo ideologico neoliberista, dall’ignoranza, dalla  fiducia cieca nell’“inevitabile” progresso tecnologico. 

Peraltro i casi appena accennati della Germania da una parte, dei Paesi scandinavi dall’altra, indicano che il processo di degrado del lavoro in atto nel mondo non appaia come un fenomeno inevitabile ed “oggettivo” e come spetti in particolare ai poteri pubblici di intervenire per contribuire ad indirizzare le nuove tecnologie verso sbocchi più auspicabili di quelli oggi prevalenti.

      

Testi citati nell’articolo

-Casilli A., En attendant les robots, Seuil, Parigi, 2019

-Comito V., L’economia digitale, il lavoro, la politica, Ediesse, Roma, 2018

-Frey C. B., Osborne M., The future of employment: how suscetible are jobs in computerisation, Oxford Martin School, University of Oxford, 17 dicembre 2013  

-O’ Connor S., Gig economy agreements promise a brighter future for trade unions, www.ft.com, 26 febbraio 2019

-Im Z., Mayer N., Palier B., Rovny J., La révolte des classes intérmediarires face à la numérisation des emplois, Le Monde, 16 febbraio 2019