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Se le imprese si tingono di verde

La presentazione al libro di Alberto Zoratti e Monica di Sisto, “I signori della green economy. Neocapitalismo tinto di verde e movimenti glocali di resistenza” (Emi). Gli inganni delle imprese e le contromisure possibili

Quello dell’economia è un concetto complesso e articolato che sempre di più, a partire dalla prima rivoluzione industriale, ha pervaso l’intera società. Nel sindacato non siamo soliti fare troppa filosofia ma dentro quel concetto di economia c’è sempre stato troppo poco dell’essere umano. Questo comporta, a nostro modo di vedere, poca considerazione per le condizioni di chi lavora e per i suoi diritti. Anche per

questo è nato il sindacato. Nella storia abbiamo incontrato tante economie, da quella di guerra a quella finanziaria, ma tutte hanno costantemente rimosso la problematica legata all’essere umano che rimane troppo spesso solo un costo anche quando viene chiamato «risorsa». Gli autori di questo libro propongono un focus su una tra le più recenti delle definizioni dell’economia, la «green», quella «verde». […]

Gli autori hanno voluto porre l’attenzione sul concetto di «green» separandolo dall’idea che il colore verde esprima automaticamente quello della natura, della compatibilità e della sostenibilità. Scopriamo che imprese multinazionali, perfettamente consapevoli di ciò che fanno, usano dipingersi di verde per guadagnare di più sfruttando al massimo uomini e donne e risorse del pianeta. Di più, l’esercizio critico si avvale dei quattro elementi essenziali, vitali per l’esistenza di ogni essere vivente sul nostro pianeta: acqua, aria, terra, fuoco […].

E così l’acqua da pura, trasparente e per tutti diventa inquinata, torbida e costosa, e a volte a causa dell’essere umano miete vittime. In Italia abbiamo un triste primato. L’aria e una delle sue parti principali, l’ossigeno, non si vedono. Se ne percepisce l’esistenza quando manca o quando «puzza» troppo. Centinaia di anni di inquinamento dell’aria, a volte in modo sistematico e che ignora le leggi, la cui unica soluzione passa per delle multinazionali che ci fanno profitti. Fa un certo effetto. E la terra calpestata e rovinata da chi per profitto usa e abusa e fa cambiare leggi a livello internazionale a proprio unico vantaggio. E se il fuoco ricorda la forza dell’energia qui le pagine tristi della storia del nostro paese si moltiplicano e più accade più aumenta la nostra sudditanza energetica […].

E qui c’è posto per una domanda spesso considerata banale: quegli stessi elementi che comunemente consideriamo beni primari possono essere comprati o svenduti a piacimento di pochi? Possono essere sottratti, a volte con violenza, a intere popolazioni per compiacere finanza e liberismo? Questo è uno degli snodi. Come sindacato, abbiamo cominciato a ragionare su un possibile mondo diverso che si incentri su un nuovo modello di sviluppo. Una necessità dettata dall’esigenza di coniugare lavoro, salute e ambiente dentro e fuori i luoghi di produzione. Le note vicende della Fiat e dell’Ilva sono un esempio efficace di come non sia più rinviabile il rinnovamento del nostro sistema produttivo, da fondare su un nuovo modello di sviluppo e una mobilità ambientalmente sostenibili. […]

Una lavoratrice, un lavoratore, ha delle capacità e sviluppa delle competenze nella sua vita lavorativa. È un essere umano che lavora. È impossibile per noi non fare riferimento a questo. Io, quando ero in fabbrica, facevo il saldatore. «Avere un mestiere» è sempre contato molto fino alla seconda metà del secolo scorso. Era un elemento che aiutava a trovare posto nella società. Diventava un aspetto importante della personalità. E il sapere della lavoratrice o del lavoratore, che derivava proprio dalla sua attività, aumentava il senso del sé e della propria dignità. Oggi, e insisto su questo punto, viviamo un’epoca in cui il valore del lavoro è stato prima aggredito e poi condannato a cedere il passo a una modernità virtuale, in primis quella finanziaria, che ha significato per le lavoratrici e i lavoratori più sfruttamento e meno diritti, il tutto incentrato su ricatti sempre più grandi.

Se poi, il modello è «green», fa solo indignare di più. Ma nell’indignazione che emerge con forza da questo libro non c’è rassegnazione e le sue ultime pagine ci propongono il «quinto elemento» che non rappresenta una soluzione ma una serie di segnali attivi che provengono da territori sparsi in molti luoghi del pianeta.

Movimenti, associazioni, uomini e donne con idee e pratiche diverse che si adoperano per cambiare questo mondo e per dire ai signori che dominano il pianeta che la storia non è finita, non ancora. Si troveranno insieme a lottare? Io credo di sì. Gli autori del libro anche. Buona lettura.

www.emi.it/schede/2097-8.html