La Gran Bretagna, e anche l’Italia si sta inserendo in questo solco, vuole dare un prezzo alle risorse naturali, definendo le risorse della Terra come “capitale naturale”. Questo – spiega George Monbiot – è moralmente sbagliato, intellettualmente vacuo, e soprattutto controproducente”
Così scrive anche George Monbiot, editorialista del Guardian, che qui di seguito ho tradotto con la collaborazione di Emanuele e Marta Femia cercando di preservare l’immediatezza della prosa di Monbiot.
L’ho voluto tradurre perché dice, in maniera semplice ed efficace, cose di fondamentale importanza per chi vuole perseguire lo sviluppo dell’ambiente – non solo naturale, ma anche umano e sociale – e opporre questa prospettiva a quella mortifera dell’economia (di rapina) capitalistico-finanziaria. Quest’ultima ha già cominciato a mettere le mani su titoli che rappresentano “asset ambientali” e loro derivati (i “servizi ecosistemici”).
La stessa finanziarizzazione che – come Monbiot altrove ricorda – ha spinto le nostre economie e società in una crisi senza precedenti, distruggendo capitali di entità inaudite; che facendo pagare la crisi ai popoli, li ha spinti verso quell’insicurezza che la politica oggi capitalizza come paura e fa ricircolare come inumanità, non potrà certo salvare la natura, ma solo ‘valorizzarla’ in quanto ‘capitale’ iscritto nei bilanci degli stati, e poi bruciarla rubando futuro (di tutti) per salvare il presente (di pochi).
A quando l’emissione di titoli di stato garantiti direttamente dalle Cime di Lavaredo e non più dal gettito delle imposte sui pedaggi dei visitatori? Il vero gioco è un gioco di potere e, come ha insegnato Bordieu, chi ha il potere gioca con le regole, non dentro le regole. Pensare di battere il potere dell’economia giocando in casa sua e secondo le sue regole è illusorio, dice pure Monbiot.
Monbiot espone quattro fondamentali ragioni per rigettare il programma (“agenda” nell’originale) del capitale naturale in una magistrale lecture disponibile all’indirizzo www.youtube.com.
Monbiot espone i suoi argomenti senza impigliarsi in tecnicismi, andando dritto al cuore del problema. In questo articolo si limita alla più importante delle quattro.
Su questa come su altre materie, l’Italia rischia di andare ad accodarsi ai Paesi che hanno spinto più in là la frontiera del calcolo economico e del cinismo. L’istituzione, due anni fa, di un comitato ispirato a quello britannico e di pari nome, ha segnato la rinuncia – speriamo solo temporanea, sebbene fatta per legge – a designare semplicemente come Natura “l’aria, l’acqua, il suolo e gli ecosistemi che supportano tutte le forme di vita”, per trattare tutto ciò come capitale, valutabile, anche se non (ancora) scambiabile con denaro. Ecco ciò che scrive Mobiot:
Spero la lettura dell’articolo sia fonte di ispirazione per quelli che, animati da sani propositi, scelgono come campo di gioco quello prediletto dalla parte avversa rinunciando al potere dei valori intrinseci, e che incoraggi tanti a mobilitarsi per affermare di valori alternativi a quelli di mercato. Lo stesso Monbiot invita a farlo con il suo più recente libro – disponibile già anche in italiano – che promette di ispirarci mostrandoci “a bordo del suo kayak lungo le coste gallesi, o mentre vaga nelle foreste dell’Europa orientale e nei boschi in ripresa delle Highlands scozzesi … come poter alleviare la nostra «noia ecologica» e sfuggire dall’addomesticamento tecnologico, donando di nuovo alle nostre vite il senso della meraviglia e della sorpresa”.
Non importa che il nuovo controllore ambientale non avrà denti. Non importa che il governo abbia in animo di rimuovere la protezione dai siti faunistici locali [1]. Non importa che il suo piano ambientale venticinquennale sia tutto chiacchiere e niente azione. Non abbiamo più bisogno di regole. Abbiamo una borsetta di polverina magica da spargere su ogni problema per farlo sparire.
Questa polvere è la valutazione monetaria del mondo naturale. Grazie al mercato, possiamo evitare conflitti e scelte difficili, leggi e misure d’intervento, rimpiazzando le decisioni politiche con calcoli economici.
Quasi tutti i documenti ufficiali su questioni ambientali sono oggi infarciti di riferimenti al “capitale naturale” e al Comitato per il Capitale Naturale, l’organismo laputiano [2] che il governo ha creato per prezzare il mondo vivente e sviluppare un set di “conti nazionali del capitale naturale”. Il governo ammette che “al momento non possiamo dare una valutazione robusta in termini economici a tutto ciò cui vorremmo darla; in particolare, la wildlife (l’insieme delle forme di vita selvatiche, ricco di biodiversità; n.d.t) costituisce una sfida”. Speriamo che questo gap possa essere presto colmato, così sapremo esattamente quanto vale una primula.
Il governo sostiene che senza un prezzo, al mondo vivente non viene dato alcun valore, sicché vengono prese decisioni irrazionali. Assegnando un costo alla natura, ci si assicura che essa attragga investimenti e protezione, come le altre forme di capitale. Questo modo di pensare si basa su una serie di straordinarie misconcezioni. Persino il nome rivela una confusione: capitale naturale è una contraddizione in termini. Il capitale è propriamente inteso come la parte della ricchezza creata dall’uomo che è impiegata nella produzione per generare ricavi finanziari. Concetti come capitale naturale, capitale umano o capitale sociale possono essere utilizzati come metafore o analogie, sebbene anche queste siano depistanti. Ma il piano venticinquennale definisce il capitale naturale come “l’aria, l’acqua, il suolo e gli ecosistemi che supportano tutte le forme di vita”. In altre parole, la natura è capitale. In realtà, ricchezza naturale e capitale creato dall’uomo non sono né commensurabili né intercambiabili tra loro. Se il suolo viene dilavato dalla superficie terrestre, non possiamo far crescere raccolti su un letto di titoli derivati.
Una fallacia simile riguarda il prezzo. Un segno di sterlina o dollaro piazzato davanti a qualcosa che non sia acquisibile con denaro è privo di senso: un prezzo rappresenta un’aspettativa di pagamento, corrispondente all’andamento del mercato. Nel prezzare un fiume, un paesaggio o un ecosistema, o lo si sta mettendo in vendita, nel qual caso l’esercizio è sinistro, o no, nel qual caso siamo nel nonsense.
Ancor più illusoria è l’aspettativa che si possa difendere il mondo vivente applicando la stessa mentalità che lo sta distruggendo. Idee come quella che la natura esista per servire a noi; che il suo valore stia nei benefici strumentali che possiamo estrarne; che questo valore possa essere misurato in moneta contante; e che ciò che non può essere misurato non ha importanza, si sono dimostrate letali per il resto della vita sulla Terra. I nomi che diamo alle cose e il modo in cui pensiamo ad esse – in altre parole gli schemi mentali che utilizziamo – contribuiscono a determinare il modo in cui le trattiamo.
Come nota il linguista cognitivo George Lakoff, quando usi gli schemi e il linguaggio dei tuoi avversari, non li persuadi ad adottare il tuo punto di vista. Viceversa, tu adotti il loro, e rafforzi la loro resistenza ai tuoi obiettivi. Lakoff sostiene che la chiave del successo politico è promuovere i propri valori, piuttosto che blandire la mentalità che si contesta.
Il ‘programma’ del capitale naturale rinforza la nozione che la natura non ha valore se non se ne può estrarre moneta. Dieter Helm, che presiede l’assurdo comitato governativo, esplicita questo punto: l’idea che la natura abbia un valore intrinseco, indipendente da ciò che gli umani possono trarre da essa, dice, è “pericolosa” [3]. Ma questa pericolosa idea è stata la forza motivante di tutte le campagne ambientali di successo.
La risposta più comune alla causa che sto perorando è che possiamo utilizzare, per proteggere la natura, sia argomenti intrinseci che estrinseci [4]. Il programma del capitale naturale, dicono i suoi difensori, è “un’arma aggiuntiva per lottare in difesa del territorio”. Ma esso non aggiunge, sottrae. Come sostiene il filosofo Michael Sandel in “Ciò che il denaro non può comprare”, i valori di mercato spiazzano quelli non di mercato. I mercati cambiano il significato delle cose di cui discutiamo, rimpiazzando gli obblighi morali con relazioni commerciali. Questo corrompe e degrada i nostri valori intrinseci e svuota la vita pubblica privandola degli argomenti etici.
È anche, mostrano i suoi esempi, controproducente. Gli incentivi finanziari minano la nostra motivazione ad agire per il bene pubblico. “Altruismo, generosità, solidarietà e spirito civico sono… come muscoli che si sviluppano e fortificano con l’esercizio. Uno dei difetti della società guidata dal mercato è che fa languire queste virtù”. E dunque, chi resisterà a questa mentalità arida e distruttiva? Non, sembra, i grandi gruppi conservazionisti. Nella BBC Wildlife Magazine di questo mese [maggio 2018, n.d.t.], Tony Juniper – per altri aspetti un ammirevole difensore del mondo vivente – dice che utilizzerà la sua nuova posizione di direttore per le campagne del WWF per promuovere il programma del capitale naturale [5].
Forse non sa che nel 2014 il WWF ha commissionato una ricerca per testare questo approccio. Ha mostrato che quando alle persone si ricordava il valore intrinseco della natura, erano più propense a difendere il pianeta vivente e supportare il WWF di quando venivano messi di fronte con argomenti finanziari. Ha scoperto anche che usare i due argomenti insieme produceva gli stessi risultati di quello finanziario da solo: il programma del capitale naturale minava la motivazione intrinseca delle persone.
È stato dimenticato? Talvolta mi chiedo se si sia appreso niente sulla conservazione, o se le grandi ONG siano per sempre destinate a seguire un sentiero circolare, ripetendo senza fine i loro errori. Piuttosto che contribuire all’alienazione e al disincanto che la mentalità commerciale nutre, dovrebbero aiutare ad arricchire la nostra relazione con il mondo vivente.
Il programma del capitale naturale è l’espressione definitiva del nostro distacco dal mondo vivente. Prima perdiamo la nostra fauna selvatica e le meraviglie naturali. Poi perdiamo la connessione con quanto rimane della vita sulla terra. Poi perdiamo le parole che descrivono ciò che un tempo conoscevamo. Poi lo chiamiamo capitale e gli diamo un prezzo. Questo approccio è eticamente sbagliato, intellettualmente vacuo, emotivamente alienante e autolesionista.
Quelli di noi che sono motivati dall’amore per il pianeta vivente non dovrebbero esitare a dirlo. Mai sottostimare il potere dei valori intrinseci. Essi ispirano ogni lotta per un mondo migliore.
[1] Aree di particolare importanza per la biodiversità, identificate a livello locale sulla base di criteri e indagini scientifici [n.d.t.]
[2] Riferimento al film “Laputa – il castello nel cielo”, del grande Hayao Mihazaki.
[3] Citazione da un articolo scritto da Helm in risposta ad un altro, ancora precedente, di Monbiot sullo stesso tema – anche questi meritano di essere portati all’attenzione dei lettori italiani. Per il momento, si rimandano gli interessati agli originali. Il primo articolo di Monbiot: https://www.theguardian.com/commentisfree/2014/apr/22/price-natural-world-agenda-ignores-destroys. La risposta di Helm, pedissequo richiamo alla definizione neoclassica della ‘scienza’ economica: https://www.theguardian.com/sustainable-business/2015/nov/23/monbiot-natural-capital-wrong-conservation [n.d.t.]
[4] Cioè, che riguardano l’essenza stessa del soggetto (intrinsic) oppure no (extrinsic). Il soggetto, qui, è la natura, considerata in sé e per sé, oppure per il suo valore economico [n.d.t.].
[5] Si può leggere qui la (deludente) risposta di Juniper e alcuni altri interventi che mostrano la vivacità del dibattito: https://www.theguardian.com/environment/2018/may/18/will-putting-a-price-on-nature-devalue-its-worth. Gioverebbe all’Italia mutuare dal Regno Unito, anziché l’approccio utilitarista al governo della società e della natura, l’abitudine ad affrontare in maniera esplicita e aperta le questioni controverse. Si vedano in proposito anche: https://www.theguardian.com/environment/georgemonbiot/2014/jul/24/price-nature-neoliberal-capital-road-ruin https://www.theguardian.com/sustainable-business/natural-capital-neoliberal-road-ruin-george-monbiot-experts-debate