Il paese è oggi tra i meno egualitari d’Europa, con il 10% della popolazione che detiene il 65% dei patrimoni, mentre il 40% degli abitanti non possiede quasi niente
In questi giorni si registra ancora l’eco delle dichiarazioni di Wolfgang Schauble e di altri politici tedeschi, che sono state, come è noto, molto critiche sulla attuali politiche di quantitative easing e di riduzione dei tassi di interesse portate avanti dalla Banca Centrale Europea; si è anche potuta rilevare la dura replica di Draghi e l’imbarazzata posizione in proposito della Merkel, in difficoltà nel tenere insieme le diverse spinte cui si trova di fronte. La stampa internazionale ne ha ampiamente parlato.
La polemica ha messo in evidenza, tra le altre cose, le ormai marcate divergenze di interessi tra la politica della BCE e quella della Germania, il cui attuale modello economico minaccia nella sostanza la stabilità della costruzione europea (FT, 2016).
Ma da qualche settimana si svolge nel paese un altro dibattito sui temi economici cui invece la stessa stampa internazionale non ha dato grande risalto, forse perché meno spettacolare. Esso è centrato intorno alle tesi espresse nel suo ultimo libro da Marcel Fratzscher.
Il nuovo libro di Fratzscher
C’è una affermazione fatta qualche anno fa da Wolfgang Munchau, noto editorialista del Financial Times, secondo la quale gli economisti tedeschi si possono dividere in due categorie, quelli che non hanno letto Keynes e quelli che, avendolo letto, non lo hanno capito.
Tale constatazione, che ci sembra sostanzialmente ancora oggi largamente condivisibile, ammette però ovviamente qualche eccezione. Se è vero, tra l’altro, che gli economisti che non seguono l’ortodossia ordoliberista hanno difficoltà a trovare spazio nelle università e in altre istituzioni e che sono di norma fortemente emarginati, anche in relazione al grande livello di conformismo che tende a regnare nel paese, c’è sempre qualcuno, come al solito, che riesce per qualche via a sovvertire la regola comune.
Così un economista di scuola keynesiana, Peter Bofinger, è un membro –uno solo, peraltro, su cinque componenti- del consiglio di esperti economici che assiste il governo e il parlamento tedesco nelle loro decisioni. Lo studioso è regolarmente messo in minoranza in tutte le deliberazioni importanti del consesso, deliberazioni che di solito si collocano piuttosto a destra rispetto alla linea politica della Merkel, ma, comunque, egli riesce a sopravvivere, anche se, immaginiamo, con qualche sentimento di malinconia. Ma forse egli è mantenuto in tale incarico come alibi per fingere l’esistenza di un dibattito a più voci nei centri del potere teutonico.
Anche Marcel Fratzscher non è uno studioso ortodosso, anche se non si può, al contrario di Bofinger, definirlo come un keynesiano se non a metà –l’altra metà appare sostanzialmente liberista. L’economista riesce comunque, insieme a pochissimi altri, a mantenere un po’ di vivacità nel dibattito economico nel paese, avendo anche egli acquisito delle posizioni di potere importanti nel tempo.
Fratzscher è stato un dirigente della BCE, oggi è direttore del DIW, un importante centro di ricerca berlinese ed insegna a Berlino e a Francoforte; fa parte inoltre del Glienicker Gruppe, un club costituito da esperti di diritto, economisti e scienziati politici, che promuove attivamente la causa europea.
Avevamo già a suo tempo su questo stesso sito segnalato un suo volume uscito nel 2014, Die deutsche illusion, Hanser, Monaco, 2014. In tale libro l’autore, dopo aver sottolineato alcuni aspetti importanti che fanno oggi la forza economica del paese, quali l’elevato livello di occupazione, il grande ruolo dell’export e la presenza di bilanci pubblici in ordine, ne guardava anche i risvolti negativi, tra i quali la rilevante diffusione del lavoro precario e malpagato e la carenza di investimenti pubblici.
Alla fine, egli vedeva al fondo delle cose l’esistenza di tre illusioni diffuse nel paese: la prima, quella secondo la quale tutto sarebbe restato bene come prima senza dover cambiare nulla, la seconda che la Germania non aveva bisogno sostanzialmente dell’eurozona ed infine quella che il sistema dell’euro era sostenuto solo dal risparmiatore tedesco e dai suoi soldi, di fronte a partner che cercavano soltanto di carpirgli il suo denaro.
Dal momento dell’uscita del libro ad oggi, peraltro, non ci sembra che i tedeschi abbiano in alcun modo cambiato idea sui tre punti sottolineati da Fratszcher.
Ora lo studioso pubblica un nuovo volume che, come il precedente, suscita molto interesse e un importante dibattito. Il titolo è Vertilungskampf ( La lotta della distribuzione) ed è sempre stampato dall’editore Hanser di Monaco. Ci sembra che i giornali italiani non abbiano fatto grande attenzione al testo, mentre esso ha avuto qualche riscontro in Francia (Lemaitre, 2016).
In questo studio, l’autore sottolinea come la Germania sia un paese ricco, mentre i suoi abitanti sono invece poveri. Questo per lui dipende intanto dal fatto che i tedeschi risparmiano male, lasciando gran parte del loro denaro in dei conti di risparmio che rendono pochissimo. Tale constatazione ci riporta ai lamenti attuali dei politici contro la Banca Centrale Europea, che minaccia secondo loro, tra l’altro, di mettere ancora di più in crisi tale strategia, con le casse di risparmio, i fondi pensione, le società di assicurazione che fanno sempre più fatica a far quadrare i loro bilanci nel nuovo quadro di Francoforte.
La seconda ragione sottolineata dall’autore, più grave, è che si registra nel paese una grande diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza, tanto che esso è oggi tra i meno egualitari d’Europa. In Germania, sottolinea tra l’altro Fratszcher, il 10% della popolazione detiene il 65% dei patrimoni, mentre il 40% degli abitanti non possiede quasi niente.
Il quadro ci sembra particolarmente preoccupante se consideriamo che qualche decennio fa quello teutonico era additato come uno dei paesi meno diseguali del nostro continente e comunque la sua analisi appare in linea con quanto altri ricercatori stanno mettendo in luce nell’ultimo periodo in materia di disuguaglianze un po’ dovunque.
Alla radice del problema lo studioso vede la presenza di una bassissima mobilità sociale. Tra l’altro, egli ricorda che, mentre il 70% dei figli di laureati va all’università, lo fa soltanto il 20% dei figli dei non laureati. Manca un’eguaglianza di possibilità. Per questo, secondo lui, i poveri restano poveri e i ricchi restano ricchi.
Sin qua l’analisi. A questo punto vengono delineate da Fratzscher le indicazioni sul che fare e l’autore rivela così la sua anima almeno per metà liberista.
Egli ricorda così che l’intervento della mano pubblica, attraverso la leva fiscale usata in funzione redistributiva, riesce a riequilibrare un po’ le cose, riducendo i livelli delle diseguaglianze. Ma, dice Fratzscher, bisogna puntare non sulla redistribuzione della ricchezza da parte dello Stato, semmai occorre dare un’eguaglianza di possibilità a tutti, riducendo così il ruolo del pubblico, che non avrebbe più a quel punto la necessità di intervenire per ripartire più equamente redditi e patrimoni.
Ci permettiamo di pensare che la soluzione proposta è largamente insufficiente.
Comunque il volume, anche per le informazioni che fornisce, per l’ampiezza del dibattito che ha suscitato e per la statura dell’autore, meritava di essere segnalato.
Testi citati nell’articolo
–Financial Times, Draghi goes on offensive against Berlin bullying, 22 aprile 2016
-Lemaitre F., “En Allemagne les pauvres restent pauvres”, Le Monde, 17-18 aprile 2016