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L’autobus non ferma più qui

Un faro su Industria Italiana Autobus. Vecchie e nuove cordate, italiane ed estere, se ne contendono la proprietà, di fronte al disimpegno del governo rispetto al futuro dell’unica azienda pubblica nel nostro paese che produce autobus, con 2 stabilimenti e 600 dipendenti in Campania e Emilia-Romagna.

Che ne sarà di Industria Italiana Autobus? É questo l’interrogativo che da mesi riecheggia negli stabilimenti di Bologna (ex BredaMenarini) e Flumeri (ex Irisbus), al centro di una forte mobilitazione sindacale e di continui scioperi. Siamo nel mezzo di una partita che vede la partecipazione di entità pubbliche e private, italiane e straniere, e di imprenditori extra-settoriali interessati a entrare in gioco. Ma come siamo giunti fin qui?

Partiamo dal 2019, quando nel capitale societario di Industria Italiana Autobus (IIA), che conta circa 600 dipendenti, entrano Leonardo (28,65%), il gigante pubblico dell’industria bellica, Invitalia (42,76%), l’Agenzia nazionale per lo sviluppo di proprietà del ministero dell’Economia e delle Finanze e Karsan (28.59%), società turca con azionista di maggioranza il miliardario Inan Kirak. Ingresso accolto come una boccata d’aria, salvo rivelarsi ben presto un grande flop a causa dell’assenza di un piano industriale solido e della mancata intenzione da parte degli azionisti e del governo di investire nel settore del trasporto pubblico.
Il progetto dunque non decolla, anzi procede a singhiozzo, tenuto in piedi da sporadiche iniezioni di soldi pubblici per sbloccare temporaneamente le forniture e consentire alla produzione di ripartire, per poi arrestarsi nuovamente qualche mese dopo lasciando lavoratrici e lavoratori di fronte ad un futuro incerto. Tra il 2019 e il 2023 queste dinamiche si ripropongono ciclicamente, nonostante i circa 200 milioni allocati dal pubblico in IIA e le numerose commissioni percepite, spesso nell’ambito del PNRR. Solo nel 2023, infatti, tra Consip e Comuni la società ha firmato commesse per oltre mille autobus, ma i veicoli effettivamente prodotti sono stati poche centinaia, spesso a causa del mancato reperimento dei componenti necessari alla realizzazione dei prodotti finali. Sintomo, questo, di una cattiva gestione aziendale e di un sostanziale disinteresse politico nel guidare l’espansione strategica del mercato degli autobus, anche e soprattutto nell’ottica della transizione ecologica.

Nel 2022 il governo comunica l’avvio delle ricerche per un nuovo azionista privato nel tentativo di aumentare la liquidità aziendale e di arginare la crisi, manifestando tuttavia il disimpegno statale nel settore del trasporto pubblico locale. Tra il 2022 e il 2023, emergerà in seguito, 23 soggetti si mostrano interessati ad entrare nell’assetto societario, ma di questi solo uno effettua una proposta vincolante di acquisto: Seri Industrial, a cui fa capo Vittorio Civitillo.
Società irpina, quest’ultima, che produce materie plastiche e accumulatori elettrici, nota ai sindacati per alcuni precedenti fallimentari con capitali parzialmente pubblici. Dopo le indiscrezioni di inizio anno, ad aprile 2024 giunge la conferma in una nota richiesta da Consob e Borsa Italiana delle trattative tra Leonardo (il cui consiglio di amministrazione ha deliberato l’uscita dal capitale di IIA) e Invitalia, per l’acquisizione di una quota di maggioranza della società Industria Italiana Autobus da parte di Seri Industrial.
Secondo quanto comunicato dal Mimit ai tavoli di crisi partecipati da Fiom, Fim, Uilm, Fismic e UglM insieme ai rappresentanti delle Regioni Campania e Emilia-Romagna, Seri avrebbe annunciato un investimento di 50 milioni, oltre a garantire i livelli occupazionali per i prossimi tre anni, “mentre Invitalia, che secondo la legge non può più restare come azionista di maggioranza, conserverà a sua detta una piccola quota di minoranza simbolica” e la possibilità di alienare le quote di Seri in caso di mancata attuazione del piano industriale. A fine aprile 2024, dunque, la privatizzazione di Industria Italiana Autobus sembrava imminente, con grande preoccupazione di lavoratori e lavoratrici, sindacati ed enti locali, tutti concordi nel denunciare l’inazione del governo e nel sottolineare la necessità per IIA di avere una garanzia del pubblico.

Nelle ultime settimane, tuttavia, la partita sembra essersi riaperta, in parte grazie alla pressione di sindacati e enti locali, in parte grazie ai continui scioperi negli stabilimenti di Flumeri e Bologna. Il 22 maggio, infatti, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha accolto la richiesta sindacale di posticipare il trasferimento delle quote a Seri Industrial e di valutare e verificare ulteriori opzioni di cessione e rilancio. Decisione, questa, festeggiata dai sindacati e dai 70 operai in presidio a Roma sotto il Mimit, ma che necessita ora di un progetto concreto e lungimirante che garantisca il futuro occupazionale e produttivo di IIA.

In questo quadro inizia a manifestarsi qualche possibile alternativa, a partire dal ritorno in scena della cordata Marchesini-Gruppioni-Stirpe-Benedetto, composta da Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria con delega per il Lavoro e le Relazioni industriali, Valerio Gruppioni, presidente di Sira Industrie, Maurizio Stirpe, presidente del Frosinone calcio, e l’imprenditore lucano Nicola Benedetto. Tuttavia, i contenuti della proposta integrativa restano per il momento ignoti, poiché i sindacati restano in attesa di una convocazione da parte del Mimit.
Nel frattempo, il ministro Urso ha incontrato a Palazzo Piacentini Gu Yifeng, amministratore delegato del gruppo cinese China City Industrial Group (Ccig), che si occupa di mobilità sostenibile. Il potenziale ruolo di Ccig nel nuovo assetto societario resta però un mistero: potrebbe diventare protagonista di una terza manifestazione di interesse per una quota del capitale societario o affiancare una tra le due realtà contendenti. Resta il fatto che con l’eventuale acquisizione di una quota di maggioranza da parte di un imprenditore estero, IIA non sarebbe più l’unica azienda italiana pubblica a produrre autobus.

Di fronte a questo scenario si allarga sempre di più la rete di realtà che si oppongono alla privatizzazione di Industria Italiana Autobus e al disimpegno del governo nel settore del trasporto pubblico. In occasione delle due ore di sciopero unitario proclamate lo scorso lunedì 3 giugno, ad esempio, i sindacati hanno indetto un’assemblea pubblica fuori dai cancelli dallo stabilimento emiliano, avviando un confronto con il movimento ambientalista Fridays For Future e i ricercatori e le ricercatrici a supporto della Campagna italiana per i Climate Jobs. Questa campagna, avviata in occasione dello sciopero globale per il clima indetto da FFF il 19 aprile scorso, si basa sull’idea di una transizione che coniughi occupazione, giustizia sociale e sostenibilità ambientale: il primo report pone al centro la mobilità sostenibile analizzando ed evidenziando il grande potenziale occupazionale legato al rilancio della produzione di autobus pubblici in Italia.

In ogni caso rimane l’interrogativo sul futuro di IIA e degli stabilimenti di Bologna e Flumeri, con nuove compagini, italiane ed estere, in competizione per accaparrarsene una fetta e con i sindacati in stato permanente di mobilitazione. Sono tre, in particolare, i punti nodali relativi al nuovo assetto societario sottolineati da Samuele Lodi, segretario nazionale della Fiom-Cgil con delega all’automotive: innanzitutto, la garanzia di una partecipazione pubblica maggioritaria, attraverso una deroga per Invitalia oppure con l’ingresso nel capitale societario di IIA di un altro soggetto pubblico; in secondo luogo, la certezza che i nuovi azionisti abbiano le competenze e il know how necessari ad assicurare il rilancio e la performance di lungo termine di IIA; infine, la garanzia di un piano industriale concreto, realizzabile e solido, che ascolti le ragioni e tuteli la condizione di lavoratori e lavoratrici, garantendo loro una prospettiva occupazionale stabile.
Queste appunto le tre condizioni per la trattativa con il nuovo acquirente che vengono dalle delegazioni sindacali di Fiom, Fim, Uilm, Fismic e UglM – largamente sostenute anche dai rappresentanti delle Regioni Campania e Emilia-Romagna che siedono al tavolo di crisi del Mimit – assieme ad un numero crescente di organizzazioni e reti della società civile. Ma la partita, come detto, è ancora tutta da giocare.