Top menu

I fondi d’investimento, padroni del mondo

L’economia mondiale è sempre più controllata dai grandi fondi d’investimento. Un terzo della proprietà delle 500 maggiori imprese mondiali è nelle mani di 10 fondi finanziari. Le analisi del libro di Alessandro Volpi, “I padroni del mondo. Come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia”.

Il 2022 ha segnato un anno record per i patrimoni gestiti da grandi fondi finanziari. I primi dieci fondi del pianeta hanno registrato attivi per 44 mila miliardi di dollari e due soli di essi – BlackRock e Vanguard – ne gestiscono quasi la metà. In pratica, due soli fondi gestiscono un valore pari ad un quinto dell’intero Pil mondiale. Ma non finisce qui: gli stessi 10 fondi detengono ormai circa il 30% – secondo alcuni studi il 40% – delle prime 500 società mondiali. Una concentrazione di potere, e di capacità di incidere sul panorama politico e sociale, oltre che economico, mai conosciuta nella storia contemporanea. Per fare un confronto, i due più grandi fondi sovrani del mondo, “di proprietà” degli Stati, il Fondo petrolifero norvegese e il Fondo cinese, superano di poco i 2.000 miliardi di dollari. Neppure le politiche pubbliche di investimento dei grandi paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, possono competere con una simile liquidità disponibile. Basterebbe considerare la portata del bilancio dell’Unione Europea o programmi come Next Generation Eu e lo statunitense Inflation Reduction Act per comprendere la siderale distanza dalla potenza di fuoco dei grandi fondi. 

Alla luce di ciò è difficile capire dove siano oggi il “libero mercato” e gli spazi per le politiche pubbliche. Vanguard, BlackRock e pochi altri fondi gestiscono i risparmi di chi non avrà più lo Stato sociale e possono offrire a questo popolo di risparmiatori una platea di titoli praticamente infinita, nell’illusione perenne del “portafoglio senza perdite”. I “padroni del mondo”, che hanno sostituito i ben più contenuti “padroni del vapore” di rossiana memoria, sembrano nelle condizioni di garantire una sorta di continua moltiplicazione delle risorse, attraverso un vero e proprio monopolio mondiale capace di generare rendimenti finanziari favorevoli, adoperando le dinamiche dei dividendi. I “clienti” globali dei fondi, più o meno benestanti, che si consegnano a simili colossi costituendone gli enormi attivi, diventano parte decisiva di un sistema finanziario concentratissimo che controlla vastissime parti del sistema produttivo e della finanza speculativa.

Il processo in atto è molto lineare. I giganti della finanza sono in grado di fare i prezzi dei mercati attraverso gli strumenti della finanza derivata (le scommesse), che creano in maniera pressoché infinita. Con tali strumenti riescono a garantire alti rendimenti ai risparmiatori che affidano loro i propri risparmi e, con queste risorse, comprano porzioni decisive della proprietà delle imprese e delle società, di cui manipolano i titoli così da ottenere dividendi sempre più rilevanti. In tal modo i grandi fondi operano una radicale concentrazione del potere economico e sostituiscono, in gran parte, la finanza all’economia della produzione, trasformando i profitti in rendimenti finanziari. In ultima analisi sono tali fondi a decidere i prezzi e, di conseguenza, a scegliere cosa deve continuare ad essere oggetto della produzione e a quali condizioni. L’apparente democraticità delle gestioni patrimoniali svuota le politiche economiche e fa appassire i sistemi di welfare. Questi fondi mirano anche a creare una volatilità finanziaria gestibile, nell’ambito della quale le oscillazioni dei prezzi dei titoli e dei beni non dovrebbero essere mai casuali ma dovrebbero, al contrario, rispondere alle dinamiche costruite dagli stessi fondi che hanno bisogno di periodi di inflazione ma anche di un successivo raffreddamento di prezzi per evitare che i redditi dei propri clienti si riducano di più dei vantaggi finanziari che sono in grado di garantire loro. Quanto avvenuto tra la metà del 2021 e la fine del 2023 ben illustra un simile andamento: dopo un’impennata folle dei prezzi, da dicembre del 2022 è iniziata una discesa, soprattutto dei prezzi dell’energia, che è stata spinta, ancora una volta, da operazioni di Borsa e che è servita ad evitare una recessione troppo brusca.

I 20 maggiori fondi d’investimento del mondo nel 2022

Fonte: Thinking Ahead di WTW Investments e IPE.

L’Europa in questo quadro ha un peso limitato rispetto all’assoluta centralità degli Stati Uniti: le prime dieci società europee che si occupano di risparmio gestito hanno attivi per poco meno di 13 mila miliardi e, in realtà, quelle che gestiscono più di mille miliardi di euro sono solo cinque, con Amundi, controllata dal Credit Agricole, che ne gestisce, da sola, quasi 2 mila. In alcuni casi, in tali società europee compaiono partecipazioni di fondi a stelle e strisce. 

I maggiori fondi d’investimento europei 

Apple, grazie alla lievitazione delle proprie quotazioni, ha superato i 3.000 miliardi di dollari di capitalizzazione nel 2022, in pratica più del Pil francese, con un incremento del valore del titolo del 53%; nel 2023, la capitalizzazione è scesa sensibilmente conoscendo una ripresa nel corso dell’anno. Ma di chi sono questi titoli? e dunque chi ha guadagnato così tanto? La risposta è semplice. I due già ricordati fondi finanziari più grandi del pianeta, Vanguard e BlackRock, possiedono azioni Apple rispettivamente per 255 e 200 miliardi di dollari e, se si aggiungono altri due fondi, che rappresentano il terzo e il quarto azionista di Apple, si arriva ad un valore azionario di 700 miliardi di dollari. Come è naturale, le impennate del titolo fanno lievitare i rendimenti di tali fondi. 

Dopo Apple, nella classifica delle società quotate con maggiore valore azionario si collocano Microsoft (di cui tre fondi possiedono quasi 500 miliardi – Vanguard, in particolare, 220 miliardi di dollari)  e Alphabet, di cui gli stessi fondi possiedono azioni per oltre 100 miliardi (Vanguard ne possiede per oltre 50 miliardi di dollari). Non è certo un caso che proprio i grandi fondi insistano con continuità sull’esigenza di mantenere alti i prezzi di Borsa delle azioni, anche a discapito di strategie di investimento non immediatamente remunerative.

Considerazioni analoghe sono possibili per la nuova “star” delle Borse, Nvidia, la società high tech che è cresciuta di più nel 2023 superando i 1000 miliardi di dollari di capitalizzazione e le cui azioni sono possedute da Vanguard e BlackRock per 87 e 77 miliardi di dollari. La corsa è continuata nel 2004 arrivando a superare i 2500 miliardi, con un’ulteriore crescita delle quote delle Big Three. La tecnologia crea aspettative, che, se ben veicolate in un sistema di scambi dove pochissimi player fanno i prezzi, generano subito, ancor prima della verifica reale dell’efficienza dei servizi o dei prodotti delle società, una colossale ricchezza finanziaria destinata ad alimentare un gigantesco supermarket dove condurre anche milioni di piccoli risparmiatori. Il tutto con una forza e una velocità in grado di travolgere regole, programmazioni, dati reali e dunque di cancellare la prerogativa del mercato di svolgere la propria funzione di attribuzione più o meno coerente del valore. 

L’elenco delle partecipazioni dei grandi fondi è davvero sterminato, con una concentrazione pressoché sconosciuta in passato. Si tratta infatti di un fenomeno decisamente recente. Nel 2001, Vanguard, BlackRock e State Street detenevano solo il 7% del valore azionario delle società che compongono l’indice S&P. Tale percentuale, già raddoppiata nel 2013, oggi si avvicina al 30%. In merito a ciò è significativo rilevare che anche i diritti di voto dei tre colossi in questione nelle assemblee degli azionisti di tali società sono saliti dal 12,5% a ben oltre il 33% attuale. E’, questo, un dato utile per smentire la tesi, assai diffusa, secondo cui i grandi fondi utilizzino poco tali diritti di voto: in realtà la presenza di loro rappresentanti nelle assemblee dei soci e nei consigli di amministrazione è frequentissima e molto condizionante.

Naturalmente pesano poi le partecipazioni incrociate; i grandi fondi possiedono azioni di altri fondi, di banche e assicurazioni che a loro volta sono azionisti degli stessi fondi. State Street, Vanguard e Black Rock, di fatto, si controllano a vicenda essendo fondi di fondi senza alcuna trasparenza e presentando al loro interno gli incroci di cui si è parlato in premessa. In pratica ciascuno dei fondi ha partecipazione negli altri due e a sua volta è partecipato da società che appartengono al fondo capofila, in una sequenza praticamente non ricostruibile dove compaiono, nella proprietà, gli stessi amministratori. In diverse di queste società è presente anche il fondo di Warren Buffett – Berkshire Hathaway – ovviamente a sua volta partecipato dagli altri tre.

C’è però un dato che merita una particolare considerazione. I grandi fondi non sono presenti nelle società asiatiche, a partire da Tencent, Alibaba e numerose altre. In pratica sembra profilarsi una distinzione fra le società “occidentali” e quelle legate al sistema cinese dove invece i fondi non sono ancora entrati. In questo senso, i miliardari cinesi devono buona parte della loro fortuna a concessioni “pubbliche” e a forme di “privilegio” legate allo stretto rapporto con “uomini forti” e vertici di partito che hanno impedito, finora, l’approdo delle “Big Three”. Tuttavia qualche eccezione sembra emergere. Berkshire Hathaway ha infatti comprato, nel novembre del 2022, 60 milioni di azioni, pari a 4 miliardi di dollari, della società Taiwan Semiconductor Manifacturing Company, che vale in Borsa 400 miliardi e produce chip e semiconduttori con una posizione quasi monopolista.  

Le quote di proprietà delle maggiori imprese mondiali detenute da quattro maggiori fondi d’investimento

La percentuale sul capitale totale è la somma delle azioni detenute come investitori istituzionali e come fondi comuni

  Black Rock VanguardState Street Corp. Geode Capital Mgmt.
Apple 6,6%14%3%1,8
Microsoft7,21441,9
Alphabet Inc. 6,2143,31,8
Amazon6133,21,8
Meta7133,91,7
JP Morgan Chase6,7144,21,8
Nvidia7,4133,72
Intel Corporation8%144,31,9
Visa7,6174,52
Mastercard7133,71,7
KKR47

At % T7,31642
Lockheed Martin 6,813141,8
Northrop Grumman 6,3159,3
Starbucks 6,7163,81,8
Walmart Inc.3,792,21
General Motors 9134,1
Ford7,2154,11,8
McDonald’s 7164,62
Halliburton Company8,917     6.52
Johnson & Johnson 7,8155,41,9
UnitedHealth Group8,5164,91,4
Netflix6,5143,61,8
Exxon Mobil  6,9175,41,8
Chevron7146,61,7
Tesla Inc.5,6123,11,5
The New York Times 8,7172,6
Pfizer7,91552
Kraft Heinz6,2102,91,2
Coca Cola7,2133,91,7
Pepsi Cola7,8154,11,8
Airbnb Inc.4,391,9
Blackstone5,711

The Home Depot Inc.7,7174,51,9
Procter&Gamble6,9174,32
Bank of America5,8123,51,6
PayPal71641,9
ComCast7,6153,82
Adobe8,11842
Verizon 81641,9
Cisco8,4164,52
Abbott7,8154,21,8
Salesforce Inc.7,3154,71,8
Nike7,1174,41,9
Merk8,3174,62
Accenture7,21741,7
Thermo Fisher Scientific8,2154,21,8
AbbVie7,9154,41,9
Broadcom Inc.7,21441,9
Ely Lilly 7153,5
Texas Instruments8,8173,12,1
Raytheon7,68,68,5
Boeing4,47,86,1 

Una valutazione a parte merita, nella descrizione del successo dei fondi, il volume dei premi delle assicurazioni, da quelle sanitarie a quelle contro le calamità naturali, che sta rapidamente crescendo, sostituendosi, in moltissimi casi, alle forme del welfare. Se si scorre l’elenco delle principali compagnie assicurative per premi raccolti, si trovano alcune realtà davvero molto grandi: United Health Group, che peraltro ha una capitalizzazione di quasi 500 miliardi di dollari, Elevance Health, Prudential Financial e Centene Corporation. Chi sono i maggiori azionisti, anche in questo caso? Non è difficile immaginarlo: Vanguard, BlackRock e State Street che possiedono, in tutte le società appena ricordate, oltre il 20% delle azioni. Alle “Big Three“, si aggiunge, nel mondo delle assicurazioni, il fondo Berkshire Hathaway. La gestione dei rischi, nel monopolio finanziario del super capitalismo, non può che essere affidato ai “padroni del mondo” che, naturalmente, possiedono tutti i mezzi per definire cosa sia realmente rischioso e cosa non lo sia.