“Queste sono le mie idee – diceva con provocatoria convinzione – ma sono disposto a cambiarle”. Mai scontato, mai banale. Era leale ma odiava la fedeltà (“fedeli sono i cani”), generoso e gentile come un signore d’altri tempi
Valentino se n’è andato, l’ha fatto molto in fretta stroncato da un giorno all’altro da una pancreatite. Ne scrivo con difficoltà, tutta la mia vita al manifesto è stata segnata dal rapporto con lui, ironico e autoironico, tanto appassionato quanto concreto e realista persino dentro quel grancaravanserraglio anarcoide e scapestrato che era il quotidiano comunista da lui stesso fondato insieme a Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Luciana Castellina e Lucio Magri. Se Luigi mi ha insegnato a scrivere e Rossana a pensare, da Valentino ho imparato a mantenere sempre un rapporto con la realtà. “Queste sono le mie idee – diceva con provocatoria convinzione – ma sono disposto a cambiarle”. Dalle vicende avverse della vita, quelle che determinano traumi, ha sempre saputo cogliere l’aspetto positivo. Ricordando quando, giovane comunista tripolino, venne espulso dalla Libia sotto il protettorato britannico, disse che quella fu una fortuna, altrimenti magari avrebbe fatto l’avvocaticchio di provincia ad Agrigento. Così come della radiazione del manifesto dal Pci ha sempre conservato un buon ricordo, per lui fu una liberazione più di quanto lo fu per il Pci. Un errore, certo, ma gestito con intelligenza, democrazia e assemblee nelle sezioni, a differenza dei furori rottamatori e delle purghe renziane.
Nato da genitori italiani a Tripoli nel ’31, Valentino ha sempre mantenuto un legame forte con la sua “patria”, dove è tornato ospite di Gheddafi per intervistarlo sotto la sua mitica tenda. Ha voluto pubblicare i racconti letterari del colonnello (“Fuga all’inferno e altre storie”, Edizioni Manifesto) con una sua prefazione, l’ha difeso quando tutti (e tutto) congiuravano contro, con una semplice considerazione: dopo di lui il diluvio. E diluvio fu. Forse aveva ragione, forse non del tutto. Forse esagerava ma l’esagerazione e il nuotare contro corrente – lo schierarsi dalla parte del torto – è una delle virtù che ha salvato Valentino e il manifesto nel corso di tante crisi.Oltre a stare dalla parte del torto per superare le crisi servivano anche molti soldi e a cercarli e trovarli toccava regolarmente a lui. Andava a cercare (quasi) ovunque, non aveva paura di sporcarsi le mani e quando qualcuno di noi giovani comunisti sessantottini con la puzza sotto il naso criticava i rapporti spregiudicati di Valentino con altri mondi, lui alzava le spalle, spiegandoci che i soldi puzzano se per averli rinunci alle tue idee facendoti condizionare dalla loro provenienza, altrimenti semplicemente servono, e servono a una causa importante: primum vivere, deinde philosophari. Né lui ne il manifesto se le sono mai sporcate le mani, per quanto e finché ci è dato ricordare.
Nel Pci lavorava con Amendola, il leader della destra comunista, che ha sempre difeso nonostante le idee di Valentino fossero in consonanza con quelle di Pietro Ingrao. Si è sempre gettato a capofitto nella sfida del manifesto, nato il 28 ottobre del ’71 e preceduto da due anni di rivista mensile che al suo primo numero, dopo l’invasione sovietica di Praga del ‘68, titolava “Praga è sola” determinando così la radiazione del gruppo dal partito. Dopo di che, sempre e solo manifesto che ha diretto per almeno quattro volte. Sempre dalla parte del torto, persino pubblicando un libro con gli indirizzi di tutti i locali romani aperti ai fumatori. Mai scontato, Valentino, mai banale. Era leale ma odiava la fedeltà (“fedeli sono i cani”), era generoso e gentile come un signore d’altri tempi, quando invitava amici e compagni a cena, a fine serata – spesso a notte avanzata – li accompagnava alla macchina. Se a invitarlo eri tu, l’indomani ti telefonava per ringraziarti. Si può essere comunisti e sognare la rivoluzione senza essere cafoni.
Valentino viveva con sofferenza questi ultimi anni, la sua passione politica andava a infrangersi contro la dissoluzione della sinistra e la crisi d’identità del suo giornale. E quel lavoro collettivo che era venuto meno con l’ultima crisi del manifesto e la fuoriuscita del gruppo storico era ciò che gli mancava di più. Dal giornale avrebbe voluto non andarsene, avrebbe voluto vedere quelli della mia generazione, la successiva alla sua, combattere fino all’ultimo respiro per salvare lo spirito originario. Non ci siamo riusciti, forse non ci abbiamo provato abbastanza o più semplicemente ha vinto lo spirito del tempo e noi abbiamo perso. Valentino è persino tornato a scrivere, talvolta, sul nuovo giornale che porta lo stesso nome di quello originale, nella speranza di trovare ancora un lavoro e una passione collettivi. Ma quella storia, la sua storia, la nostra storia, era finita e questo Valentino non ha mai voluto accettarlo. Con l’associazione Manifesto in rete e con questo sito Valentino Parlato ha collaborato fin dall’inizio.
Venerdì 5 alle 14 il feretro di Valentino Parlato sarà esposto nella sala della Protomoteca del municipio di Roma e alle 17 si terrà la cerimonia funebre. Ciao Vale, un amico, un compagno.