Frutto delle lotte e dell’alleanza tra movimenti, gruppi sociali e professionali e forze politiche, il SSN sta subendo da tempo gli effetti nefasti di una riorganizzazione neoliberale. La sua storia insegna perché è fondamentale rilanciarlo: soprattutto oggi, di fronte al coronavirus. Dal sito del CRS.
Mai come in questo momento che viviamo, in tutta la sua tragicità, stupore, paura e ostinata speranza, ma anche in tutte le sue possibili potenzialità per cambiare il verso delle cose, per rovesciare l’ordine delle priorità, torna utile ripercorrere una storia che ha contraddistinto questo paese nei “lontani” anni Settanta.
La catastrofe del coronavirus e della sua diffusione, non solo ci impone una spietata riflessione sui tagli alla sanità fatti negli ultimi trenta anni, su quelle politiche di privatizzazione e di mercificazione di sanità e welfare di cui si nutre il neoliberalismo da anni; ma ci riporta alle origini storiche e alle ragioni dello strumento che oggi è maggiormente investito dall’emergenza: il Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
In effetti, quest’ultimo nei suoi caratteri di servizio pubblico, universalistico e fornito in prevalenza fuori dal mercato costituisce un essenziale mezzo a nostra disposizione.
Lo scriveva pochi giorni fa Marco Revelli su Il Manifesto: «Se i nostri rianimatori sono costretti ad affrontare “dilemmi mortali” – come recita l’inquietante documento del 6 marzo a loro firma – è perché altri, sopra di loro, o intorno a loro» hanno deciso della scarsità delle risorse disponibili. Lo scrivevano alla pagina a fianco Tamar Pitch e Grazia Zuffa: «l’epidemia di coronavirus sollecita a ripensare i sistemi sanitari e la loro organizzazione», recuperando, ad esempio, il ruolo della medicina territoriale.
È da qui allora che si vuole partire.
La spesa sanitaria pubblica in Italia rappresenta oggi il 6,5% del PIL, in linea con la media OCSE, ma in termini pro capite il SSN spende la metà della Germania. Calcolando la spesa in termini reali, al netto dell’inflazione, dopo un aumento in linea con gli altri paesi sino al 2009, le risorse pro capite per la sanità pubblica italiana nel 2018 sono cadute del 10%, mentre in Francia e in Germania sono aumentate del 20% (Ufficio Parlamentare di Bilancio, 2019). Questi dati fotografano l’entità della riduzione delle risorse pubbliche particolarmente grave in un paese ad alto invecchiamento della popolazione. È questo l’effetto delle politiche di austerità introdotte a partire dalla crisi del 2008, ma è anche il riflesso della più complessiva controrivoluzione neoliberista, segnata da spinte alla privatizzazione e alla trasformazione in merce di salute, istruzione, ricerca, cultura, ambiente, affermatasi a partire dagli Ottanta.
Da lì ebbe inizio l’attuale riorganizzazione capitalistica, oggi sempre più marcata da una intensificazione dei processi di espropriazione e di privatizzazione dei servizi collettivi del welfare. Ossia di quelle produzioni collettive dell’essere umano per l’essere umano che hanno rappresentato e rappresentano ancora una parte crescente della produzione e della domanda sociale, soddisfatta sinora in Europa per lo più al di fuori della logica del mercato (Vercellone et al., 2017).