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La foto dell’Italia nel trend dei brevetti

I brevetti sono lo specchio della capacità del sistema economico nei settori più dinamici: alta tecnologia, ambiente, energia. Ecco come siamo messi

L’apertura dei mercati internazionali ha “stressato” il vincolo estero dei paesi. Sostanzialmente il che cosa si produce incide sulle performance del paese e sulla qualità del lavoro. A partire dal 1990 si registra una specializzazione delle esportazioni. Sapere e saper fare nei settori avanzati prelude a una dinamica positiva delle esportazioni, nella capacità di far crescere il pil e, non da ultimo, il diritto ad avere remunerazioni del lavoro mediamente allineate alla crescita del pil. Ma cosa si intende per nuova specializzazione del commercio internazionale?

La crescita del commercio internazionale manifatturiero è sostanzialmente guidato dal settore ad alta e media tecnologia. La crescita dell’intensità tecnologica inizia nel 1985, ma è nel 1995 che c’è il primo break di struttura “tecnologico”, seguito dal secondo break riferibile al settore ICT nel 2000. La quota del commercio internazionale legato alla media ed alta tecnologia vale il 39%, contro il 20% dei settori a media e bassa tecnologia, e quasi tutti i paesi a capitalismo avanzato hanno seguito questo trend. Per dinamicità si ricordano i paesi BRIC, di cui la Cina è il driver; si consolidano i paesi manifatturieri storici; emergono nuovi player come la Danimarca, Svezia, Spagna e Belgio. L’Italia è rimasta sulle stesse posizioni del 1985-1995, con il settore ad alta tecnologia pari al 10% della produzione manifatturiera, piegata sul mito dei distretti industriali, sull’idea dell’innovazione non formalizzata e sulla “flessibilità” del proprio modello di sviluppo.

Il mondo “industriale”, a partire dal 1995, cambia strategia e lavora per anticipare la domanda, mentre l’Italia si preoccupa solo di “migliorare” la propria offerta. Un errore che produce una mancata crescita per poco meno di 180 mld rispetto all’area euro nel corso di questi ultimi 12 anni rispetto all’area euro. In questo modo l’Italia ha perso la sfida tecnologica, mentre la sfida ambientale ed energetica sembra persa in partenza se analizziamo il trend della brevettazione. Infatti, i brevetti sono lo specchio fedele della capacità del sistema economico di progredire e muoversi nei settori più dinamici.

A partire dal Protocollo di Kyoto, il trend di crescita dei brevetti mondiali ha registrato tassi particolarmente elevati nelle aree dell’ambiente e dell’energia, in particolar modo nell’ambito dei paesi firmatari. Tra i settori più dinamici troviamo i brevetti nelle energie rinnovabili e nel controllo dell’inquinamento. Se i tassi di crescita dei brevetti nel loro insieme hanno tassi di crescita dell’11% tra il 1996 e il 2006, i brevetti nel campo dell’energia rinnovabile hanno tassi di crescita del 20%. L’Europa è l’area economica più dinamica, rappresentando il 30% del totale dei brevetti, mentre gli Stati Uniti e il Giappone rappresentano tra il 18% e il 26%. Gli stessi BRIC (Brasile, India, Russia e Cina), anche per affrancarsi dalla probabile ascesa dei prezzi delle materie prime e per limitare gli effetti negativi sulla loro crescita, hanno cominciato a investire in questi settori. La Cina è, ad oggi, subito dietro la Danimarca. Non si può dire la stessa cosa dell’Italia. Tra i paesi europei l’Italia è tra i più arretrati e fatica a misurarsi con i paesi emergenti, in particolare nel settore ambientale ed energetico si manifesta una debolezza di struttura. Nella medicina il tasso di crescita dei brevetti è dell’11%. Gli Stati Uniti sono il principale protagonista, ma nel settore farmaceutico e nel medical technology la Germania e la Francia sono tra i primi paesi di area Ocse. Come per l’energia l’Italia è marginale. Stesso ragionamento si può fare per la nanoscienza e la biotecnologia.

Sostanzialmente l’Italia è sempre ai margini dell’evoluzione scientifica e non si trova mai tra i primi 8 grandi. Modificare la struttura produttiva almeno ai livelli qualiquantitativi europei è un imperativo. Diversamente, la “meridionalizzazione” dell’Italia rispetto all’Europa più che una prospettiva, diventa una dura e irreversibile realtà. La domanda che dobbiamo porci è: dati i vincoli economici e finanziari europei, com’è possibile che alcuni Stati europei siano emersi come protagonisti, mentre l’Italia è rimasta sempre ai margini?

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