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La difesa impossibile dello scudo fiscale

Il rientro dei capitali dall’estero, la lotta ai paradisi fiscali, l’incasso per lo Stato. Perché non reggono (quasi tutti) gli argomenti dei fautori dello scudo

Fin dal momento della sua approvazione, il c.d. “scudo fiscale” è stato oggetto di tali e tante critiche da provocare quasi un reazione di difesa, di protezione. Una sorta di “sindrome di Calimero”, che spinge a ricercare elementi a favore del (brutto e sporco) scudo fiscale edizione 2009. Cerchiamo di assecondarla.

1. In termini estremamente pragmatici, la prima linea di difesa potrebbe essere la seguente: attraverso lo scudo, lo Stato può arrivare a recuperare parte di una evasione, quella nascosta nei paradisi fiscali, che altrimenti non sarebbe in nessun modo in grado di scoprire.

Simile primo tentativo di difesa è, tuttavia, destinato a fallire ed, anzi, ad evidenziare una contraddizione di fondo dello strumento, difficilmente giustificabile.

In primo luogo, perché le attività finanziarie e patrimoniali1 che possono essere “scudate” sono anche quelle detenute in paesi appartenenti alla Comunità europea. In Stati, cioè, in cui non vige quella “segretezza” tipica dei paradisi fiscali e l’amministrazione finanziaria italiana può attivare procedure di “scambio di informazioni”. Procedure istituite, disciplinate ed attuate ormai già da diversi anni a livello di legislazione nazionale, convenzionale e comunitaria.

In relazione a questi paesi, dunque, la tassazione straordinaria del 5% delle somme “scudate” corrisponde ad una sicura rinuncia alla normale imposizione, per forme di evasione che la nostra amministrazione finanziaria potrebbe, solo utilizzando gli ordinari strumenti accertativi, individuare e colpire.

Inoltre, con riferimento alla “impenetrabilità” dei paradisi fiscali occorre svolgere una riflessione. Da diverso tempo, la lotta ai paradisi [fiscali] è tra le dichiarate priorità del nostro governo, oltre che della Comunità europee; negli ultimi mesi si sono anzi intensificate le trattative con gli Stati poco trasparenti e collaborativi ed alcuni di questi hanno buone speranze di essere eliminati dalle diverse “black list” nazionali. Esiste un movimento non solo europeo ma internazionale (si pensi agli interventi dell’amministrazione Obama), nel senso di rendere maggiormente “penetrabili” i dati relativi alle attività finanziarie collocate in tali paesi.

Non solo, ma proprio nella prospettiva di intensificare le indagini verso i capitali esportati nei paradisi fiscali, lo stesso d.l. 78/2009 è [apparentemente] durissimo: si richiamano gli accordi degli Stati Ocse per assicurare maggiore trasparenza bancaria e garantire la cooperazione amministrativa tra gli Stati; viene istituita una apposita “task force” diretta a garantire l’applicazione delle disposizioni di contrasto ai paradisi fiscali; si opera un ulteriore “giro di vite” normativo, con una disposizione che prevede che gli investimenti posseduti in un paradiso fiscale si presumono frutto di evasione.

Tanto che a leggere l’articolo 12 del d.l. 78/2009 sembrerebbe di essere all’alba di un nuovo mondo: quello in cui gli unici paradisi sono solo quelli divini o naturali, perché finalmente si possiedono gli strumenti (umani, di mezzi e normativi) per contrastare la sottrazione di imponibile in Italia attuata con il trasferimento dei capitali all’estero.

Senonché, proprio la possibilità di “fuga” che lo scudo offre a chi ha esportato nei paradisi fiscali il frutto della propria evasione e che, con il pagamento di una cifra estremamente ridotta, può opporsi ad ogni accertamento fiscale futuro, rende evidente come lo stesso legislatore non creda seriamente alle più stringenti misure accertative previste.

Oppure, più semplicemente, che queste stesse misure siano previste come mero stimolo allo scudo fiscale, secondo la borbonica filosofia del “facimme a muina”: cercando quindi di convincere l’evasore fiscale che si prospettano tempi duri, per spingerlo a “scudare” le proprie somme all’estero.

2. Una seconda linea di difesa dello scudo fiscale potrebbe essere questa: attraverso lo scudo si consente di fare rientrare in Italia ingenti capitali, che saranno così immessi nel regolare circuito economico nazionale, con indubbi benefici collettivi.

E’ però noto come lo scudo non imponga affatto il “rientro” dei capitali. Per quelli detenuti nei paesi UE è infatti possibile la mera “regolarizzazione”, a seguito della quale gli stessi rimangono all’estero. Per quelli detenuti nei paradisi fiscali è invece imposto il rimpatrio, ma questo può essere anche semplicemente “giuridico”2 e quindi non comportare la sottrazione degli stessi, per esempio, dalle banche di San Marino, della Svizzera, ecc.

Anzi, se si legge la recente nota dell’Agenzia delle Dogane3, che conferma che per i capitali fatti rientrare fisicamente (per trasporto al seguito o invio per posta) si applica l’ordinario obbligo di dichiarazione alla stessa Agenzia (con conseguente possibile venire meno della segretezza, che invece è una finalità importante dello scudo), è verosimile immaginare che la quota di capitali effettivamente (e quindi fisicamente) rientrati sarà assai esigua.

3. La terza, ed estrema, difesa potrebbe essere impostata sulle immediate entrate che, in questo modo, comunque si garantiscono alle casse dello Stato. E da questo punto di vista non credo si possa opporre che lo strumento non sia in grado di raggiungere questo obiettivo.

Perché, se pure è innegabile che esistano taluni “buchi”4, lo scudo garantisce:

a) una copertura penale molto ampia5;

b) una imposizione estremamente bassa (5%), sostitutiva di imposte, interessi e sanzioni che il soggetto avrebbe dovuto corrispondere sia con riferimento al capitale (frutto di evasione) esportato, sia relativamente ai redditi che questo stesso cespite ha successivamente prodotto, sia per il fatto di non avere comunque adempiuto agli obblighi di monitoraggio;

c) una reale segretezza rispetto alle somme “scudate”6, garantita dal ruolo degli intermediari7, rafforzata dagli strumenti della regolarizzazione e del rimpatrio giuridico, nonché dalle “rassicurazioni” contenute nella circolare n. 43 del 10/10/2009 dell’Agenzia delle Entrate.

Lo strumento è quindi in grado di avere realmente successo.

La domanda è se, per garantire questo successo, sia giustificato il contestuale sacrificio di altri valori ed esigenze: del gettito fiscale (visto che lo scudo è, in buona parte, una rinuncia all’imposizione); della certezza della pena (l’amnistia penale è davvero significativa); del rispetto degli obblighi e dei principi comunitari (vi è un sicuro contrasto con la disciplina I.v.a. e forti problemi di compatibilità con il divieto di non discriminazione del Trattato CE)8; del principio (artt. 3, 53 Cost.) di uguaglianza.

Credo che siano portati a dare una risposta negativa a questa domanda non solo i contribuenti onesti, ma gli stessi evasori fiscali, almeno quelli “autarchici”.

Quelle persone, cioè, che in questi anni hanno occultato imponibile al fisco, evitando il pagamento di ingenti somme a titolo di imposta e rischiando di essere colpiti con sanzioni amministrative o addirittura penali. Ma che, dimostrando un indubbio attaccamento alla patria, hanno scelto di impiegare in Italia il frutto della loro evasione: investendo in beni e in attività economiche (magari “in nero”) nel bel paese.

Persone che oggi si sentono ingiustamente discriminate, perché a poter godere del beneficio dello scudo sono solo coloro che hanno deciso di “esportare” le somme occultate al fisco e che, con quelle somme, hanno aperto conti alle Isole Cayman o acquistato immobili a Londra o fatto shopping (di lusso) a Montecarlo.

Non solo evasori, ma anche poco patriottici.

1 Denaro, partecipazioni societarie e strumenti finanziari, immobili, oggetti preziosi, opere d’arte, yacht.

2 Il rimpatrio giuridico è assolto nel momento in cui l’intermediario italiano assume in custodia, deposito, amministrazione o gestione il denaro o le attività finanziarie detenute all’estero, senza procedere al materiale trasferimento delle stesse nel territorio dello Stato. Il rimpatrio giuridico è anche possibile per le altre forme di investimento patrimoniale: si veda la circ. AE n. 43/E/2009 par. 5.

3 N. 140269 del 16/10/2009.

4 Si veda SALVINI, in www.nelmerito.com.Uno scudo bucato? 5 Tra cui l’esclusione è prevista per i seguenti reati: dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; dichiarazione infedele; omessa dichiarazione; occultamento o distruzione di documenti contabili; false comunicazioni sociali; falsità materiale; falsità ideologica in atto pubblico. Con effetti anche su una parte dei procedimenti penali in corso.

6 Segretezza fondamentale, per evitare che l’Amministrazione finanziaria, venuta a conoscenza del soggetto che si è avvalso dello scudo, riservi maggiori attenzioni in futuro al medesimo, perché considerato “fiscalmente pericoloso”.

7 Banche italiane, SIM, SGR, società fiduciarie, agenti di cambio, Poste Italiane S.p.a., stabili organizzazioni italiane di banche e imprese di investimento non residenti.

8 Si veda la interrogazione e risposta parlamentari n. 5/01971 del 21/10/2009 (risp. Sottosegretario Molgora). Sul tema, FRANSONI, Profili sistematici e ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dello scudo fiscale, in Corr.trib., 2009, 2776. Sulla illegittimità del condono fiscale nel sistema comunitario dell’IVA, Corte Giustizia CE, 17/7/2008, C-132/06, su cui FALSITTA, I condoni fiscali Iva come provvedimenti di natura agevolativa violatori del principio di neutralità del tributo, in Riv.dir.trib., 2008, IV, 335 ss.