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Dopo Lima, in Europa non cambia clima

Per chi cala la benzina/Al Cop20 in Perù l’Ue ha ancora una volta sacrificato l’ambiente alla crescita. E al prossimo summit a Parigi necessaria la mobilitazione

10 agosto del 2050. Le previsioni meteo della televisione spagnola annunciano temperature molto alte di giorno, con massime che sfioreranno i 50 gradi, soprattutto sulla costa mediterranea, e temperature notturne che renderanno difficile il sonno. Le informazioni meteorologiche per diversi paesi tra 36 anni sono il risultato di un lavoro realizzato dalla Organizzazione Mondiale di Meteorologia: si prevedono 40° in agosto a Parigi, con violente tormente nel resto della Francia, e il 21 dicembre del 2050, primo giorno dell’estate australe in Perù, le piogge torrenziali impediranno l’accesso al picco del Machu Picchu.

La diffusione dei futuristici bollettini meteorologici ha coinciso con le negoziazioni che per due settimane hanno coinvolto le delegazioni di 195 paesi durante la Conferenza delle Nazioni Unite sopra il cambio climatico (COP20), ma non hanno condizionato più di tanto. Il tira e molla tra i paesi del Nord del mondo altamente inquinanti e quelli delle industrie dei paesi in via di sviluppo si è ripetuto ancora una volta senza giungere ad alcun intervento risolutivo, con i paesi sviluppati che hanno fatto pressione per cancellare nel testo finale qualsiasi riferimento che li obblighi a dare assistenza finanziaria ai più poveri.

Il presidente boliviano Evo Morales nel suo intervento aveva già indicato l’insuccesso del vertice, definendolo “simulacro di negoziato” e ha aggiunto che i principali responsabili del cambiamento climatico, i paesi sviluppati, usano i paesi cosiddetti in via di sviluppo come pretesto per continuare a inquinare.

L’esito deludente era largamente prevedibile, anche se qualcuno aveva riposto deboli speranze quando Barack Obama, Stati Uniti, e Xi Jinping, Cina, avevano annunciato l’accordo, ovviamente non vincolante, per contenere le emissioni di anidride carbonica: nuovi obiettivi di riduzione degli inquinanti atmosferici per gli Usa, impegno della Cina, per la prima volta, ad invertire il trend di crescita delle proprie emissioni per il 2030. Certo Obama, come alternativa alle fonti fossili tradizionali, si è ben guardato di indicare le fonti rinnovabili, ma ha difeso la scelta di supportare l’estrazione di gas da argille e il fracking, disilludendo gli ambientalisti.

A Lima non poteva che ripetersi il rito di sempre, con le solite estenuanti contrapposizioni, con il rituale della marcia in difesa della madre terra e delle popolazioni indigene contro il summit ufficiale e con il finale disaccordo sul clima e il comodo rinvio alla prossima conferenza internazionale, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà proprio nel cuore dell’Europa a Parigi, nel dicembre 2015.

Di nuovo l’Europa, disposta ancora una volta a sacrificare l’ambiente nelle zone di crescita economica? A vanificare anni di politiche ambientali, cancellando le norme su qualità dell’aria e sui rifiuti, per favorire le lobby industriali, dimenticando la salute dei cittadini e l’ambiente come le priorità essenziali? E’ proprio quello che ha fatto la nuova commissione di Jean-Claude Junker e del suo responsabile per l’energia e il clima, lo spagnolo Miguele Arias Cañete, soprannominato dal Sunday Times il signor Petrolhead.

Non poteva che andare così. Un premessa si poteva leggere nel decreto Sblocca Italia, varato dal governo Renzi, dove erano considerate strategiche, senza alcuna distinzione, tutte le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. Prontamente rinominato Sblocca trivelle potrebbe portare gli statunitensi della Global Med Llc a trivellare in cerca di petrolio in uno specchio d’acqua a sud est del Capo di santa Maria di Leuca, nello Ionio, o a considerare la Basilicata, prossima capitale europea della cultura, non un giacimento culturale e paesaggistico, ma solo un pozzo di petrolio.

Se qualcuno aveva pensato che, di fronte all’evidente rovina dell’unica casa comune che è il pianeta, gli interessi si sarebbero fermati; o che il manifestarsi dell’insicurezza sociale avrebbe fatto prevalere la giustizia sociale, si è sbagliato. Chi ora governa il mondo non pensa ad alcuno sviluppo sostenibile, né ambientale né sociale, perché a guidare la danza non sono le priorità della vita materiale di donne e uomini, ma quelle della produzione di profitto attraverso le merci.

È possibile modificare questi rapporti di forza e determinare le condizioni perché a Parigi ci sia un’inversione di tendenza? Sì, alla condizione che nelle trattative sui cambiamenti climatici si riesca a far irrompere quello che è sempre mancato in tutti i negoziati sul clima dell’ONU: una mobilitazione sociale.

Non basterà darsi appuntamento a Parigi e dare sfogo alla rabbia per l’ennesimo fallimento che si prospetta. Senza una mobilitazione sociale che rivendichi un nuovo modello energetico efficiente e al100% rinnovabile, unica medicina in grado di abbassare la febbre alla terra, le trattative sul clima non potranno che continuare ad avere esiti disastrosi. Nessuno si è fatto carico di questa priorità. Che non fosse l’impegno delle destre liberiste o dei governi delle larghe intese è comprensibile, vista la loro scelta di rilancio delle energie fossili. Meno accettabile è il disimpegno di quella sinistra che rivendica un’alternativa e vuole sovvertire la gestione liberista della crisi. Sottrarsi significa continuare a sottovalutare che la crisi economica si è da tempo saldata alla crisi ambientale e che per uscirne le si deve affrontare e risolvere contemporaneamente. Serve costruire un nesso fra ciò che oggi è invece separato, unire le lotte contro le perforazioni petrolifere e contro il rilancio del vecchio modello energetico con quelle che in tutto il mondo faticosamente resistono allo smantellamento dei diritti e dello stato sociale.

L’alternativa si costruisce assumendosi la responsabilità di costruire questo movimento e questa unità, liberando le grandi risorse umane, di ingegno e creatività, oggi relegate a precariato e disoccupazione, mettendole al lavoro per cogliere la grande occasione che la ribellione della natura offre alla nostra intelligenza.