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Difesa comune europea, l’UE chiama alle armi

Esercito europeo, integrazione militare o cooperazione tra Stati: le alternative sul tavolo sono diverse. Quello chè è certo è che Bruxelles vuole più Europa anche nel campo della sicurezza comune. Il Rapporto della Commissione UE

L’Europa chiama alle armi. Certo, non per una guerra, ma sempre di soldati e carri armati stiamo parlando. Esercito europeo, integrazione militare o cooperazione sulla sicurezza, le alternative sul tavolo sono diverse. Quello che è certo è che Bruxelles intende seguire la formula più Europa anche nel campo della sicurezza.

Il rapporto Riflessioni sul futuro di una difesa comune europea della Commissione europea tratta approfonditamente l’argomento. Il paper segue le considerazioni contenute all’interno del Libro bianco sul futuro dell’Unione europea presentato pochi giorni prima del vertice di Roma del 25 marzo, in cui Capi di Stato e Governo dei Paesi membri e le alte cariche dell’Unione si incontrarono per celebrare i 60 anni dal Trattato costitutivo della Cee. E per rilanciare l’integrazione di un’Europa percepita oramai come obsoleta.

“L’Ue ha portato un lungo periodo di pace nel continente” si legge nell’incipit del documento. Un settantennio di prosperità che tuttavia “risulta ora a rischio per l’instabilità dei Paesi confinanti, come per il sorgere di nuove minacce globali, che costituiscono una sfida alla sicurezza comune”.

E ancora, “i cittadini sono sempre più preoccupati a causa di queste nuove minacce, e confidano che l’Unione salvaguardi la loro sicurezza” sostiene lo studio, che evidenzia poi quanto sia necessario che “la difesa e la sicurezza debbano avere un ruolo di primo piano nel futuro del progetto europeo”.

I Paesi dell’Est Europa che si trovano ad affrontare minacce legate alla sicurezza militare ed energetica; il diffondersi di conflitti nei Paesi del Mediterraneo e in vaste aree dell’Africa sub-sahariana e l’emersione di vuoti di potere che vengono spesso riempiti da gruppi terroristici e criminali; e ancora, l’aumento delle tensioni tra potenze e un drammatico exploit delle vittime civili nei conflitti regionali, che comporta crisi migratorie di vaste proporzioni – sono circa 60 milioni gli sfollati di tutto il mondo; last but not least, i cambiamenti climatici e la crisi demografica che contribuiscono all’instabilità globale. Queste saranno le prossime sfide che l’Europa si troverà ad affrontare nei prossimi anni.

Le perplessità e le incognite sul futuro dell’Unione sul fronte della difesa sono ancora molte. Ma su una cosa la Commissione non ha dubbi, e mette nero su bianco che “l’Europa assieme agli Stati Uniti e ai loro alleati devono contribuire al mantenimento della pace e della stabilità globale”. Ma per fare questo, secondo Bruxelles, è necessario che l’Ue “spenda di più per la difesa, spenda meglio, e spenda assieme”.

E stavolta sono i cittadini che lo chiedono all’Europa, e non il contrario: secondo un sondaggio di Eurobarometro, dal 2002 al 2016 la percentuale di cittadini europei che chiede una sicurezza e una difesa comune non è mai scesa sotto il 70%, con una punta, nell’ultimo anno, vicina al 77%. Mentre alla domanda “secondo te l’Europa dovrebbe contare di più nel mondo”, quasi il 70% ha risposto in maniera affermativa.

Ma quali sono i limiti che il Vecchio continente si trova ad affrontare? Mercati della difesa frammentati, mancanza di inter-operabilità, contributi diversi a seconda degli Stati. “In un mondo connesso e complesso, gli Stati membri europei sono troppo piccoli per provvedere alla loro difesa”, sostiene il paper, mentre “le potenze continentali sono molto meglio attrezzate potendo contare su economie di scala di vaste dimensioni per migliorare l’efficacia e l’efficienza della difesa”.

Ma l’Europa si trova ad affrontare, da una parte, i vincoli fiscali imposti dai trattati, cosa che frena gli investimenti; dall’altra a fare concorrenza alle superpotenze che spendono molto di più nel budget della difesa, soprattutto per quanto riguarda la ricerca che permette il riammodernamento di armi e armamenti. Per accogliere queste sfide, secondo la Commissione, è necessario “integrare le capacità tecnologiche e industriali degli Stati membri”.

Lo studio riporta poi alcuni dati del Sipri per farci capire quanto spendiamo poco. Secondo l’istituto di Stoccolma, l’Europa a 28 spende 227 bilioni di euro all’anno, l’1,34% del Pil complessivo; gli Usa invece spendono quasi il doppio: 545 bilioni, il 3,3% del prodotto interno. Le cifre sono diverse anche per quanto riguarda gli investimenti per singolo soldato: rispetto all’Unione, gli Usa spendono il quadruplo – 27 milioni di euro contro 108. Le tipologie di armi usate sono molto più omogenee negli States – se ne contano circa 30 tipologie – rispetto all’Europa (dove sono 178).

E quindi che fare? Il documento delinea alcune strategie da adottare entro il 2025. In primo luogo è necessaria più cooperazione tra i Paesi dell’Unione. In secondo luogo, serve una definizione delle sfide e delle minacce comuni, che in alcuni casi variano da Paese a paese: per questo servono decisioni e azioni comuni, quanto una solidarietà finanziaria a livello europeo. In terzo luogo, serve rafforzare la cooperazione di difesa con l’Alleanza atlantica, visto che ben 21 Paesi su 28 sono membri Nato. Bisogna poi aumentare i campi di applicazione nella spesa per la difesa: per raggiungere questo obiettivo bisogna, innanzitutto, aumentare di circa il doppio i budget militari dei singoli Paesi e istituire un coordinamento a livello europeo della spesa e la creazione, oltre a un Fondo europeo di difesa comune per aumentare l’efficienza delle forze armate di tutto il continente. Infine, serve un mercato unico della difesa: questo significa un incoraggiamento la concorrenza industriale, l’accesso delle industrie più piccole nella catena di approvvigionamento, la possibilità per i fornitori di sfruttare economie di scala, un’ottimizzazione della capacità produttiva e una diminuzione dei costi.

Il documento, infine, ipotizza tre scenari da qui al 2025: situazioni che non sono né definitive né che si escludono l’una con l’altra, ma che possono essere viste come fasi verso la costituzione di una difesa europea comune.

Il primo scenario si basa sulla complementarietà degli sforzi finanziari tra Stati membri e organismi prettamente europei: nel raggiungimento degli obiettivi viene introdotto il criterio di solidarietà finanziaria tra i Paesi (chi ha di più contribuisce maggiormente, e viceversa). Il modus operandi è quello di una cooperazione sulla sicurezza e sulla difesa comune senza arrivare all’integrazione o alla costituzione di una forza comune, con l’Europa che supporta gli sforzi sostenuti dagli Stati membri. Capisaldi di questa fase sono la gestione delle crisi di bassa entità, una cooperazione tra le intelligence dei Paesi nello scambio di informazioni e missioni di capacity building. Continua come allo stato attuale, invece, la cooperazione tra Ue e Nato.

Nel secondo scenario l’Unione integra gli sforzi degli Stati, e la solidarietà finanziaria diviene la norma. Nello specifico, questo scenario prevede l’avvio di programmi di cooperazione per salvaguardare la sicurezza sia internamente che esternamente, attraverso una più serrata collaborazione tra i servizi segreti degli stati membri, un potenziamento della Guardia Costiera Europea e una gestione comune anche delle crisi più complesse. In questo caso l’UE e l’Alleanza atlantica intensificano gli sforzi di cooperazione per coprire un più ampio spettro di crisi. La costituzione di un Fondo Comune di difesa europea permetterebbe agli Stati di acquisire capacità omogenee in diversi settori (ad esempio il pilotaggio di aerei o la difesa satellitare) e di costituire un budget unitario per la difesa europea.

Il terzo e ultimo scenario vede la costituzione di una vera e propria difesa comune, come previsto dal Trattato sull’Unione europea. È lo scenario più avanzato tra quelli esaminati: in questo caso, un vero e proprio organismo esecutivo sarebbe deputato a dirigere le operazioni di sicurezza europee, monitorare e valutare le minacce comuni. Si prevede inoltre la costituzione di unità comune sulla cyber sicurezza, di un Servizio Civile Europeo e la Guardia Costiera Europea diverrebbe l’unico organismo a proteggere i confini. Il bilancio e i finanziamenti ai singoli Stati diverrebbero affare dell’Europa. Nato e Ue diventerebbero organismi perfettamente complementari.

Alla fine, arriva un auspicio: “Le iniziative attualmente in corso indicano chiaramente che gli Stati membri e le istituzioni dell’UE hanno già intrapreso questa strada”, dice lo studio, che poi si domanda: “Ma quanto rapidamente gli Stati membri vogliono costruire un’autentica Unione europea per la sicurezza e la difesa? In che misura sono disposti ad anticipare piuttosto che reagire al contesto strategico?”. Domande, a cui ovviamente, nessuno può ancora dare risposta, nemmeno la Commissione. Non resta che aspettare il 2025 e vedere che succederà.