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Cina, la tempesta si è calmata

L’economia torna a crescere. Ma per ridurre il livello delle diseguaglianze si pone certamente l’esigenza di un aumento sostanziale della spesa per il welfare

L’attenzione crescente del mondo verso l’andamento dell’economia cinese è da mettere tra l’altro in collegamento al fatto che, in un contesto mondiale piuttosto annuvolato, una parte consistente delle speranze e dei timori sono centrati sul paese, quasi il solo ormai capace di rilanciare in qualche modo un’economia mondiale la cui crescita resta fragile (Subramanian, 2016). Del resto, dopo la crisi del 2007-2008, sono state sostanzialmente le decisioni del paese asiatico (dai tassi di cambio, agli stimoli finanziari, agli investimenti pubblici), peraltro molto poco sottolineate dai media, che hanno impedito che la recessione mondiale si aggravasse e che anzi hanno, in particolare, permesso ad una parte consistente delle economie emergenti di continuare a svilupparsi, almeno sino a tempi molto recenti.

Ora, dopo che per mesi sono state diffuse le più fosche previsioni sull’andamento di quella economia, la tempesta sembra essersi in qualche modo calmata.

Il pil del paese asiatico appare in ripresa; la borsa e il livello del cambio con il dollaro sembrano seguire un andamento relativamente tranquillo, le uscite di capitali sembrano essersi fermate, la crescita nel turnover di molte imprese appare incoraggiante (nel primo trimestre del 2016 le vendite al dettaglio sono aumentate del 9,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre quelle di auto sono cresciute in marzo del 10% (The Economist, 2016)), l’andamento dell’import-export migliora e lo stesso fanno i profitti.

Alcuni degli indicatori disponibili, intanto, confermano il positivo sviluppo di alcuni aspetti della nuova strategia di crescita. Così stanno aumentando fortemente gli investimenti diretti all’estero (di quasi l’80% nel primo trimestre 2016 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; fonte:China Daily), in particolare attraverso dei processi di acquisizione di imprese in tutte le aree del pianeta; tale dinamica appare un po’ frenata quasi soltanto dalla riserve politiche di alcuni dei paesi recipienti.

Intanto si vanno sviluppando le iniziative relative allo sviluppo della nuova via della seta, con la creazione in particolare in molti paesi di grandi infrastrutture legate al trasporto delle merci, grazie anche ai finanziamenti delle molte banche di investimento cinesi. In queste settimane, tra l’altro, stanno arrivando in Asia e in Europa i primi treni veloci, che tagliano drasticamente i tempi di percorrenza rispetto alla via marittima e promettono di ridurli ancora di più in un prossimo futuro. E’ vicino il momento in cui tra Pechino e l’Europa basterà una settimana per portare nel nostro continente i telefonini Huawei e per spedire verso Pechino i nuovi modelli Prada, contro i circa 30 giorni via mare di ieri.

Nel frattempo, non passa quasi settimana senza qualche annuncio sullo sviluppo di nuove conquiste scientifiche e tecnologiche del paese, nonché sull’introduzione sul mercato di nuovi prodotti innovativi.

In questo quadro non mancano peraltro delle aree di incertezza anche rilevanti; ne ricordiamo in particolare due, la questione dei debiti e quella della spesa sociale.

Troppi debiti?

Le stime sul livello del debito cinese rispetto al pil variano da una fonte all’altra, in mancanza di dati ufficiali attendibili ed onnicomprensivi. Così mentre il Financial Times calcola l’esistenza di un rapporto debito/pil pari oggi al 237%, la Banca dei Regolamenti Internazionali avanza la cifra del 249% e la HSBC arriva sino al 300%. L’attuale livello del debito dei paesi emergenti appare abbastanza più basso, mentre quello cinese è grosso modo simile a quello europeo (attualmente intorno al 270%) e statunitense (248%) (Wildau, Weinland, 2016).

Ciò che appare certo è che tale livello è aumentato molto fortemente negli ultimi anni, in particolare dopo la crisi del 2008 –alla fine del 2007 esso si aggirava ancora intorno al 148%-, quando il governo, per evitare che le difficoltà occidentali si propagassero al paese, aprì, tra l’altro, le porte ad un forte aumento del credito agli enti pubblici e alle imprese.

Dalla crisi in poi, si registra ogni anno una crescita dei livelli di indebitamento che appare superiore a quella del pil.

Un dato abbastanza plausibile colloca l’aumento annuale recente del livello dei debiti a circa il 15%, contro una crescita del pil nominale pari grosso modo alla metà (Lex, 2016).

Tutto questo può apparire minaccioso, come sottolineato da più parti, ma va ricordato che una parte almeno della teoria economica afferma da tempo come il fatto che le variabili finanziarie crescano più di quelle dell’economia reale, almeno entro certe condizioni e certi limiti, possa essere un fatto positivo (Rousseau, Sylla, 2003).

La HSBC sottolinea a questo proposito che gran parte dell’aumento recente dell’indebitamento è servito in effetti a finanziare infrastrutture importanti per il paese e attività immobiliari in aree dove la gente ha bisogno di abitazioni (Lex, 2016). Ma forse nel periodo 2008-2013 esso non aveva mancato di generare sprechi anche importanti di risorse.

Anche incerto è il livello dei non performing loans, che molti collocano intorno al 5,5% dei crediti, ma che secondo qualche fonte si aggirerebbe invece intorno al 15% (Wildau, Winland, 2016). Comunque essi sembrano concentrarsi nelle imprese statali e in pochi settori tradizionali (acciaio, cemento, ecc.), ora soggetti ad una grande opera di ristrutturazione anche industriale.

Ma non bisogna trascurare che intanto si tratta di un debito sostanzialmente tutto interno, che il paese ha comunque ampie riserve valutarie, che il risparmio cinese è ancora vicino al 50% del pil, anche se si va moderatamente riducendo, che la crescita ancora sostenuta dell’economia permetterà di restituire abbastanza agevolmente molti dei crediti; va inoltre ricordato che una parte consistente di essi è fornito da banche pubbliche a imprese statali e ad altri organismi sempre pubblici, con un giro quindi facilmente controllabile, che non si registrano poi quelle forme spinte di finanziarizzazione presenti nelle banche occidentali e che vanno dalla cartolarizzazione ai derivati; in più, gran parte dei debiti sono inseriti nei capaci bilanci delle grandi banche. Inoltre, va detto che il governo ha spinto le autorità locali a frenare la loro tendenza all’aumento dell’esposizione.

Per quanto riguarda i crediti in difficoltà, bisogna ricordare che c’è già stata una grande crisi nel 1999, crisi che è stata tranquillamente superata grazie alla creazione di bad companies, che sono riuscite ad assorbire le perdite molto gradualmente grazie anche al forte sviluppo economico degli anni successivi.

La strategia ora apparentemente messa in campo dal governo da una parte conta di nuovo sulla crescita dell’economia, dall’altra su uno scambio di debiti contro capitale per le banche e sulla cartolarizzazione degli stessi debiti (Wildau, Weinland, 2016). Alcuni sono comunque scettici sul fatto che il piano possa riuscire.

Un sistema del welfare da potenziare

Una debolezza strutturale del sistema sociale cinese è lo stato ancora sostanzialmente rudimentale del suo welfare, in particolare per quanto riguarda pensioni e sanità, meno per quello dell’istruzione.

Nell’ultimo periodo, a partire in particolare dal 2006, la situazione appare abbastanza migliorata, con una rilevante estensione di molte prestazioni ad un numero crescente di soggetti, in particolare nella campagne. Ma gli effetti benefici di tale miglioramento sono stati in gran parte annullati dall’invecchiamento della popolazione, che ha assorbito una buona fetta della crescita del budget sociale degli ultimi anni (Subramanian, 2016).

Comunque oggi il livello non abbastanza elevato della spesa dedicata al settore, le inefficienze burocratiche e un certo margine di arbitrarietà nelle prestazioni, nonché le disparità di situazioni da regione a regione, da ente ad ente, tra città e campagna, infine un certo livello di corruzione, rappresentano dei rilevanti freni allo sviluppo economico.

Ancora oggi l’incidenza della spesa pubblica sul pil è di poco superiore alla metà di quella dei principali paesi europei. La dinamica pur sostenuta della crescita dei consumi appare comunque minore rispetto a quanto ci si poteva aspettare; essa è in effetti collegata alla carenza di una rete di protezione sociale adeguata, ciò che spinge, tra l’altro, le famiglie a continuare a mostrare una elevata propensione al risparmio precauzionale, frenando la spesa per gli acquisti.

La leggera diminuzione del tasso di risparmio che si registra negli ultimi anni è dovuta essenzialmente ad una sua riduzione da parte delle imprese e non delle famiglie, mentre queste ultime risultano avere un rapporto debiti/pil del 40%, meno della metà di quanto si verifica ad esempio negli Stati Uniti (The Economist, 2016).

Perché il sistema economico cresca e si riduca in qualche modo il livello delle diseguaglianze, si pone certamente l’esigenza, quindi, di un aumento sostanziale della spesa per il welfare e quindi del livello della tassazione. La dirigenza cinese sta discutendo sul che fare al riguardo, ma indubbiamente gli interessi contrari, in particolare da parte dei nuovi ricchi e della fascia medio-alta della popolazione, sono forti e frenano il cambiamento.

Testi citati nell’articolo

-Lex, Not a cheap american story, Financial Times, 22 aprile 2016

-Rousseau P. L., Sylla R., Financial systems, economic growth, and globalization, in M. D. Bordo, A. M. Taylor, G. Williamson (eds), Globalization in historical perspective, Chicago University Press, Chicago, 2003

-Subramanian A., Et si la théorie de la « transition chinoise » était fausse ? Le Monde, 28 aprile 2016

The Economist, Still Kicking, 30 aprile 2016

-Wildau G., Weinland D., China debt load reaches record high as risk to economy mount, www.ftcom, 24 aprile 2016