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Cina e India: il peso delle classi medie

Per raggiungere traguardi veramente significativi che portino in particolare a trovare un’occupazione dignitosa alla gran parte delle giovani generazioni, la crescita indiana dovrebbe riuscire a colmare molte delle strozzature oggi presenti

In un articolo precedente, pubblicato su questo stesso sito qualche settimana fa, abbiamo analizzato alcuni aspetti del confronto tra la Cina e l’India sul fronte economico e sociale.

Ne usciva fuori un quadro fortemente sbilanciato a favore della Cina, la cui economia, da un’iniziale parità tra i due paesi ancora verso la fine degli anni settanta, è diventata con il tempo molto più grande di quella indiana, senza grandi speranze per quest’ultimo paese di raggiungere le dimensioni dell’altra almeno per qualche decennio, mentre anche, se non soprattutto, gli indicatori sociali e quelli tecnologici indicavano un nettissimo distacco tra i due paesi, distacco che, nonostante gli auspici e le speranze degli indiani, appare difficilissimo da colmare.

In questo secondo articolo ci concentriamo ora su di un’altra importante questione, sul tema cioè dello sviluppo delle classi medie nei due paesi, non senza prima guardare di nuovo ad alcuni aspetti della crescita delle due economie in relazione a qualche novità da poco emersa.

Le dichiarazioni di Naredna Modi a Davos

Gli indiani guardano da molto tempo, finito da un pezzo lo spirito unitario di Bandung e comunque da almeno 15-20 anni, al loro ingombrante vicino con gelosia e con ansia, sperando comunque sempre di raggiungere prima o poi le dimensioni del suo pil.

All’annuale mediatico incontro di Davos, terminato nei giorni scorsi, Naredna Modi, il presidente indiano, ha promesso che in sette anni le dimensioni della sua economia raddoppieranno, passando, considerando il criterio dei prezzi di mercato, da circa 2.500 miliardi di dollari annui del 2017 (stima peraltro abbondante; il dato vero è di circa 2400 miliardi) ai 5.000 miliardi nel 2025 (Rachman, 2018).

Ora, questo obiettivo ci sembra possibile, ma certamente comunque ottimistico. Si possono intanto fare dei calcoli piuttosto semplici; nell’anno 2025, traguardo enunciato da Modi (non fra sette, bensì fra otto anni), prendendo per buono il dato iniziale di 2500 miliardi, considerando per il 2018 un tasso di crescita del pil del 7,4%, come previsto dal Fondo Monetario Internazionale e per gli anni successivi un 8% annuo, saremmo ai 4600 miliardi e solo nel 2026 (in nove anni) l’economia toccherebbe i 4950 miliardi, quasi raddoppiando.

Ma l’obiettivo di una crescita dell’8% per tutto il periodo appare piuttosto ambizioso e abbastanza irrealistico, visti, tra l’altro, gli sviluppi della tecnologia, che dovrebbero rendere meno attraente in prospettiva per le imprese occidentali impiantare delle fabbriche al Sud del mondo, in relazione in particolare al grande abbattimento dei costi della robotica, viste anche la grande carenza di infrastrutture di base del paese e le grandi diseguaglianze ivi presenti (si veda anche più avanti).

Nel frattempo il pil cinese, anche mantenendosi prudenti e considerando una crescita annua del 6% (essa si è collocata in realtà nel 2017 al 6,9% e secondo il Fondo Monetario l’economia dovrebbe aumentare del 6,6% nel 2018 e ancora del 6,4% nel 2019), esso raggiungerebbe (dai circa 13.000 miliardi attuali, sempre a prezzi di mercato), i 20.720 miliardi nel 2025 e i 21.960 nel 2026.

L’economia cinese non sarebbe allora più grande di 5,2 volte rispetto a quella indiana, secondo la situazione attuale, ma solo di 4,5 volte nel 2025 e di 4,4 nel 2016. Così il rapporto in termini di dimensioni comparative migliorerebbe a favore dell’India, ma in termini assoluti il divario si allargherebbe fortemente, passando dai 10.500 miliardi di dollari attuali ai 16.120 del 2025 e ai 17.010 del 2026. Una differenza enorme, pari quasi al totale del pil statunitense nel 2017.

Così, a meno di eventi oggi imprevedibili e comunque secondo le migliori previsioni possibili, Achille non raggiungerà mai la tartaruga, almeno in un orizzonte temporale non lunghissimo.

Ma naturalmente prevedere il futuro è sempre un esercizio azzardato. Sono circa tenta anni che moltissimi esperti economici e politici annunciano l’imminente crollo dell’economia cinese; chissà che prima o poi non arrivino ad aver ragione. Si sa che la Storia ha delle svolte repentine.

Le classi medie nei due paesi

-aspetti generali

È noto come nei paesi sviluppati si vada registrando nell’ultimo periodo un rilevante raccorciamento nel numero degli appartenenti alle classi medie, a favore invece di una ristretta classe superiore e di un molto più larga fascia inferiore. Si sa anche come tale andamento stia avendo degli effetti importanti sul piano economico e su quello politico, turbando in ogni caso importanti equilibri consolidati.

Per contro, si rileva complessivamente una crescita molto forte delle classi medie nei paesi emergenti, fenomeno da collegare al rilevante sviluppo economico in atto in tali paesi. Peraltro tale crescita appare molto differenziata da area ad area, da paese a paese. Mentre ad esempio essa è mediamente sostenuta in Asia, appare invece abbastanza debole in Africa.

Come si presenta il quadro in particolare in Cina ed India?

Intanto per quanto riguarda ambedue i paesi misurare quantitativamente la consistenza della classe media appare un esercizio difficile, vista tra l’altro le disparità nei livelli dei prezzi rispetto a quelli occidentali ed anche le rilevanti differenze in merito tra i due giganti e la correlata difficoltà di fissare una soglia chiara di reddito per definirla.

-la Cina

In ogni caso, secondo le stime più prudenti, quantitativamente la classe media in Cina tocca almeno i 120-130 milioni di persone (negli Stati Uniti saremmo a poco più di 90 milioni), mentre una valutazione più larga fa riferimento a diverse centinaia di milioni; in ogni caso tale numero sta crescendo rapidamente.

E’ noto del resto che ormai da diversi anni il paese ha ridotto la spinta alle esportazioni e agli investimenti come basi del suo sviluppo ed ha sempre più puntato sull’aumento dei consumi, che oggi sono pari a circa il 65% del pil, guadagnando una ventina di punti rispetto ad una ventina di anni fa.

Tale politica sembra coronata da successo e la crescita delle classi medie, insieme alla grande riduzione nel numero dei poveri (si parla a questo ultimo proposito di 800 milioni di persone uscite dalla miseria in pochi decenni, mentre quest’ultima dovrebbe essere del tutto eradicata, secondo i programmi, nell’arco dei prossimi tre anni), è uno dei risultati più spettacolari di tali sviluppi, mentre peraltro essa aumenta i consumi delle famiglie; secondo alcune stime, nel 2018 il livello complessivo degli stessi dovrebbe raggiungere nel paese i 5.800 miliardi di dollari, superando ormai anche quelli statunitensi.

Quasi tutte le grandi imprese del mondo si sono precipitate su tale mercato, viste le sue dimensioni.

Si potrebbe citare per tutti il caso dell’auto. Imprese come la Volkswagen o la General Motors vi realizzano ormai una parte decisiva delle loro vendite e dei loro profitti.

Ormai in un numero crescente di settori, sia per quanto riguarda i beni di consumo che quelli strumentali, dai telefonini, ai televisori, dai robot, alle vendite on-line, all’utilizzo di internet (quasi 800 milioni di persone ne fanno oggi ricorso), alle macchine utensili, il mercato cinese tende ad essere quello più importante del mondo, toccando quasi sempre almeno un terzo delle vendite totali di ogni business e tale andamento non sembra certo rallentare.

-l’India

Dopo la Cina, le grandi imprese internazionali sono ora alla ricerca di un nuovo eldorado e pensano (o sperano) di trovarlo in prospettiva in India. Tra l’altro, la popolazione indiana sta per superare quella cinese, anzi per alcuni il sorpasso è già arrivato, mentre il tasso di crescita dell’economia del paese tende ad essere, sia pure di poco, superiore a quello del paese rivale.

Ma un serio esame della situazione mostra che tali speranze sono largamente mal riposte, come indica ad esempio, di recente, un’analisi approfondita del settimanale The Economist (The Economist, 2018, a e b), che dedica all’argomento due articoli in un suo numero recente.

Esuberanti consulenti, come sottolinea il giornale, indicano facilmente la cifra di 300-400 milioni di potenziali appartenenti alla classe media nel paese e non è frequente il fenomeno dei capi delle multinazionali che, recandosi in India, non affermino che il paese ha un ruolo centrale nei loro piani.

La HSBC prevede addirittura che nel 2015 550 milioni di indiani faranno parte della classe media.

Ma se si guardano i dati dei consumi di alcuni prodotti si rileva subito la differenza di dimensioni. Così, mentre il numero delle auto vendute in Cina tocca ormai i circa 30 milioni di unità all’anno, la cifra corrispondente in India si aggira su poco più di 3 milioni.

La speranza di una rilevante crescita della classe media è intanto resa molto difficile nel paese dalla grande livello di diseguaglianze. Il primo 1% della popolazione cattura il 22% di tutto il reddito del paese, contro il 14% in Cina, che pure non scherza su questo piano.

Inoltre la Cina ha creato una grande classe media attraverso il grande sviluppo delle imprese industriali che hanno saputo esportare i loro prodotti in tutto il mondo. Nulla di tutto questo si intravede in India, anche peraltro in relazione allo sviluppo delle tecnologie. Il 90% dei lavoratori sono poi comunque impiegati nel settore informale che riesce a pagare solo salari molto bassi.

Se si vuole contare il numero degli appartenenti alla middle class si deve così pensare a qualche decina di milioni di persone in tutto, mentre la stima più larga e più ottimistica parla di meno di 80 milioni di unità.

conclusioni

Chi scrive guarda da molto tempo con attenzione, simpatia e speranza ai progressi economici, sociali, politici raggiunti dai paesi emergenti e ai loro programmi di sviluppo futuro.

Tuttavia, si può valutare che la crescita indiana, pur molto rilevante, per raggiungere dei traguardi veramente significativi, che portino in particolare a trovare un’occupazione dignitosa alla gran parte delle giovani generazioni, dovrebbe riuscire a colmare i numerosi e gravi goulot d’étranglement oggi presenti, cosa che, allo stato dei fatti, appare molto difficilmente fattibile, nonostante le aspettative dei suoi abitanti e dei suoi politici, nonché di una parte consistente delle classi politiche e delle opinioni pubbliche dei paesi occidentali.

Sarebbe certo molto positivo che i due paesi mirassero ad una collaborazione molto più spinta tra di loro sul piano economico, ma tale speranza sembra dover andare delusa, almeno per il futuro prossimo.

 

Testi citati nell’articolo

-Rachman G., Naredna Modi aims to double size of indian economy by 2015, www.ft.com, 23 gennaio 2018

The Economist, The missing middle class, 13 gennaio 2018, a

The Economist, The elephant in the room, 13 gennaio 2018, b