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Cambiamo la ricerca, non il clima

Oggi stiamo pagando le conseguenze di un’economia stagnante e dalla bassa capacità di innovazion. A questo possiamo anche aggiungere i danni ambientali di imprese che operano con tecnologie obsolete e un settore pubblico incapace di fornire le tecnologie necessarie per un rilancio verde dell’economia, ed insufficiente nel soddisfare il fabbisogno di figure professionali per la […]

Abbiamo 11 anni per salvare il pianeta, così recita il rapporto IPCC delle Nazioni Unite del 2019 sul cambiamento climatico. In tutto il mondo assistiamo ormai da anni a catastrofi ambientali direttamente collegate all’attività umana ed a stravolgimenti dei nostri ecosistemi dovuti all’innalzamento della temperatura media terrestre. Gli incendi in Amazzonia e in Siberia, le drammatiche siccità nelle regioni africane, gli straripamenti di fiumi in Italia e altre catastrofi ambientali che accadono sempre più frequentemente in tutto il mondo sono legate dal sistema economico fondato sullo sfruttamento esasperato delle risorse naturali, da cui derivano le emissioni climalteranti che mettono a rischio il nostro futuro.

Dopo trent’anni di denunce della crisi climatica da parte di un fronte sempre più ampio della comunità scientifica, oggi buona parte dei cittadini, della classe politica e delle imprese riconosce la necessità di innovare il sistema produttivo per fermare la corsa verso il disastro. Le tecnologie “verdi” in realtà non sono scoperte recenti. O meglio, sarebbe stato possibile puntare con largo anticipo su metodi produttivi più efficienti e con basse emissioni. Un esempio è quello del settore energetico, rimasto dipendente dal carbonfossile invece di investire in innovazione e ricerca scientifica delle energie rinnovabili, che richiedono  infrastrutture e costi di ricerca altissimi e che in passato i privati non hanno considerato investimenti sicuri. Nel nostro Paese, il ritardo nell’investimento nelle rinnovabili ha portato i Governi degli ultimi anni a vedere nel gas una fonte fossile di transizione, nonostante il grave aumento dell’effetto serra che comporterebbe, mentre i costi e l’efficacia delle fonti rinnovabili vengono erroneamente ritenuti insufficienti per una rapida transizione ad emissioni zero entro il 2025 (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima 2019).

L’Italia in particolare, ma anche l’Unione Europea nel suo insieme, dimostra l’incapacità di imporre un modello complessivo di sviluppo sostenibile, che sappia anche rispondere alla sfida della rivoluzione verde, limitandosi a raccogliere i cocci di uno sviluppo interamente diretto dal principio del massimo profitto e dalla supremazia del mercato.

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