Finora i governi europei hanno raccolto i cocci – e pagato il conto – della crisi delle banche private. E’ ora di regolamentare di nuovo le attività finanziarie
La scorsa settimana Paul Volcker, in una conferenza al Parlamento europeo, ha sostenuto la necessità di tornare a una netta separazione fra le attività speculative delle banche e la loro funzione tradizionale di deposito dei risparmi e di erogazione di credito all’economia reale. Un piccolo ripasso: Paul Volcker, ora consigliere del presidente Barack Obama per la ripresa economica, è stato a lungo a capo della Federal Reserve – la banca centrale Usa – ai tempi in cui Ronald Reagan lanciava il paradigma neoliberista, fondato su deregolamentazione della finanza, alti tassi d’interesse e dollaro forte. Volcker è uno dei padri del “consenso di Washington”, uno dei registi negli anni Ottanta della crisi del debito del terzo mondo, è stato il primo ad aprire le porte alla speculazione, anche se è stato poi il democratico Clinton a cancellare il Glass-Steagall act che negli Usa teneva separate dai tempi della grande depressione le banche d’affari da quelle commerciali.
Ora, nel pieno della crisi, il suo richiamo all’Europa a limitare la speculazione finanziaria è caduto nel vuoto. Non l’hanno ascoltato i governi, la Commissione europea latita, perfino i media si sono distratti. Qualche giorno prima, era stata Christine Lagarde, ex ministro delle finanze di Sarkozy, attuale direttore generale del Fondo monetario internazionale, a ricordare che la funzione che le banche svolgono è da considerarsi come un bene pubblico: non può essere lasciato al funzionamento del mercato e richiede un intervento pubblico per assicurare credito all’economia, regolamentare il settore, ridurre i rischi. Ma anche quest’intervento della Lagarde è passato sotto silenzio, a differenza delle sue dichiarazioni “lacrime e sangue” sulla Grecia.
Il fatto è che la funzione che hanno le banche di deposito dei risparmi dei cittadini e di erogazione del credito le rende così importanti per la tenuta del sistema economico, politico e sociale, che non possono essere lasciate fallire come le altre aziende. Ma se lo stato ha un chiaro interesse a sostenere le banche, queste possono avere un incentivo ad assumere rischi anche eccessivi nelle attività di speculazione finanziaria, sapendo di essere comunque garantite: un classico problema di “azzardo morale”. Finora i governi europei hanno raccolto i cocci – e pagato il conto – della crisi delle banche private: nazionalizzazioni che non hanno cambiato il loro modo di operare e finanziamenti di ogni tipo sono sempre gravati, direttamente o indirettamente, sui cittadini. Sono loro a essere esposti al rischio: o in quanto risparmiatori, che potrebbero perdere i risparmi nel caso in cui la banca fallisse, o in quanto contribuenti, quando è lo stato a salvare una banca in difficoltà.
La “Volcker rule” propone di ridurre questo rischio impedendo alle banche commerciali – garantite dallo stato – di effettuare attività speculative. E di togliere la garanzia dello stato alle banche d’investimento che vivono della speculazione. E’ una norma di buonsenso quando si vuol lasciare una funzione pubblica così vitale, come la gestione dei risparmi dei cittadini e l’erogazione del credito, a soggetti privati (le banche commerciali), ma garantiti dal settore pubblico (lo stato). Quanto alle banche d’affari, Volcker le vuole lasciare libere di speculare, ma anche free to fail, libere di fallire quando si trovano con i conti in rosso.
Queste misure, insieme a una ri-regolamentazione più generale delle attività finanziarie, e un maggior controllo dei movimenti di capitali, rappresentano una delle “riforme strutturali” più urgenti per l’Europa. Governi e Commissione europea parlano di “riforme strutturali” quando hanno in mente flessibilità per il lavoro e tagli allo stato sociale. Invece la prima e più importante riforma, che permetterebbe di prevenire i rischi che hanno generato la crisi e di rendere più sicuro il sistema, è proprio quella dei mercati finanziari. A ricordarcelo, oggi, è il buco senza fondo delle banche spagnole: una delle emergenze più gravi, che potrebbe aprire un nuovo drammatico fronte nella crisi europea.
Questo articolo è uscito anche su “il manifesto” di venerdì 1 giugno
L’autore, Agenor, è un esperto di questioni europee che vive a Bruxelles