La scomparsa di Vittorio Rieser, intellettuale militante mai settario. La scoperta della fabbrica a Torino, l’esperienza nei «Quaderni Rossi», l’impegno nel sindacato
Da tempo Vittorio Rieser non stava bene di salute. Ma la notizia della sua morte per colpa di un edema polmonare la scorsa notte ha sorpreso e addolorato i molti compagni che lo conoscevano e amavano. Negli ultimi mesi aveva scelto di stare appartato ma nessuno di noi pensava che avrebbe potuto lasciarci così presto. Vittorio era nato a Torino nel 1939. In una lunga intervista del 2001 nello spiegare il suo coinvolgimento precoce nella politica affermava: «i miei genitori erano antifascisti, tutti e due hanno avuto periodi più o meno lunghi di militanza comunista. Mia madre è stata in carcere un anno condannata dal tribunale speciale; mio padre era un ebreo polacco comunista che ha fatto per alcuni anni il rivoluzionario di professione». Il primo coinvolgimento nell’attività politica è a metà degli anni Cinquanta quando tenta di organizzare gruppi di studenti sulla questione operaia prendendo contatti con il sindacato dei meccanici, cioè la Fiom. Gli anni di liceo son anche gli anni del sodalizio con Giovanni Mottura e altri compagni con i quali partecipa alla indagine sulla discriminazione politica negli stabilimenti della Fiat diretta da Giovanni Carocci, il cui rapporto costituì un numero monografico della rivista Nuovi Argomenti uscito nel 1958. Questa esperienza risulterà fondante per quei giovani che daranno vita, sotto la guida di Raniero Panzieri, ai Quaderni Rossi. Negli stessi anni e con alcuni di quei compagni si recherà in Sicilia per partecipare alle mobilitazioni per il lavoro e contro la mafia organizzate da Danilo Dolci. È nei Quaderni Rossi che Vittorio dà un contributo particolarmente originale e comincia a impegnarsi con sempre maggiore consapevolezza nel lavoro di inchiesta che proseguirà per tutta la sua vita. In un convegno di studi al Cnr in occasione dei settant’anni di Giovanni Mottura, ricorderà l’esperienza siciliana ma soprattutto chiarirà il significato del lavoro di inchiesta. Egli scrive: «Ho qualche obiezione sull’uso del termine “inchiesta operaia” che è restrittivo (se assunto letteralmente) o ideologico (se ipostatizza il “ruolo universale della classe operaia” o – peggio – di una sua componente tipo l’operaio massa)». L’inchiesta non è uno dei possibili metodi di analisi sociologica. La sua caratteristica principale consiste nel particolare modo di porsi nei confronti del tema della ricerca e dei soggetti sociali che ne sono coinvolti. Essi non rappresentano «l’oggetto di ricerca», ma gli uomini e le donne, i lavoratori, gli operai dei quali si vuole conoscere gli orientamenti, le convinzioni e i bisogni per produrre insieme a loro rivendicazioni sindacali, politiche e sociali. Questo metodo sarà seguito da Vittorio nel corso di tutta la sua esistenza nei diversi ambiti politici e istituzionali nei quali si troverà a lavorare. Cercherà di introdurlo allo scopo di evitare semplificazioni e astrattezze nei gruppi della sinistra extraparlamentare alla quale aderisce: da Collettivo Lenin, poi confluito in Avanguardia Operaia, a Democrazia Proletaria, fino al Partito della Rifondazione Comunista al quale aderirà per un alcuni anni. Ma questa sua capacità di legare lavoro politico a ricerca lo caratterizzerà anche negli anni di insegnamento di sociologia industriale all’Università di Modena: lavoro dal quale chiederà il distacco sindacale, caso forse unico al mondo per lavorare presso un istituto di ricerca del sindacato. Ma la capacità di Vittorio di studiare l’organizzazione e la condizione operaia si esprimeva anche attraverso la conoscenza dei metodi e dei contenuti dell’indagine di sociologia industriale e del lavoro, come nel caso della grande inchiesta sui lavoratori condotta dalla Commissione Lavoro dell’allora Partito Comunista. Alcuni risultati di quel lavoro sono nel libretto dal peculiare titolo Lo strano caso del professor Weber e del dottor Marx. E questo titolo è una delle infinite trovate ironiche e paradossali con le quali Vittorio leggeva con ironia la realtà e prendeva le distanze dai punti di vista convenzionali ma anche un po’ dalle situazioni, per non parlare delle organizzazioni, nelle quali veniva a trovarsi. Di ogni situazione egli riusciva a dare una lettura surreale che comprendeva sempre una critica politica.E questo rendeva affascinante lo stare con lui e sentire i suoi commenti scanzonati che non di rado tuttavia lasciavano trasparire una certa amarezza. Ma le sue battute, le sue dissacranti definizioni, sono diventate celebri. E questo non può certo meravigliare, perché Vittorio era dotato di una incredibile capacità creativa. Poteva passare con estrema facilità dall’italiano all’inglese al francese, al tedesco. Ma poteva suonare il pianoforte e discutere con estrema competenza di musica lasciando incantati gli interlocutori. Aveva un infinito repertorio di barzellette ebraiche, conosceva l’economia meglio dei normali economisti e la sociologia come i migliori sociologi. D’altra parte nella intervista del 2001 aveva affermato che si era spostato dagli studi di storia laureandosi poi in sociologia perché questo gli avrebbe permesso di conoscere meglio la fabbrica, la produzione e il lavoro e di fare inchiesta. Tutte le sue scelte di vita sono state dettate dall’impegno politico. Insomma Vittorio è stato un grande compagno.
Sabato dalle 9,30 alle 11.30 ci sarà un saluto alla Cgil di Torino in via Pedretti.