Un viaggio di 53 attivisti, tre europarlamentari, politici e giornalisti verso Rafah, per denunciare l’assedio a Gaza, l’uso della fame e della sete come arma di guerra, e affermare, con la sola forza dei corpi, che il diritto internazionale e la dignità umana non possono essere cancellati.
Al-Arish, Sinai, Egitto.
Siamo dunque arrivati ad Al-Arish. Dalla splendida spiaggia di sabbia bianca, se scruti lontano, la vedi. È la Striscia di Gaza, in linea d’aria poche decine di chilometri.
Il villaggio turistico che ci ospita per questa notte, praticamente in disuso dopo il colpo di Stato di Al Sisi contro la Fratellanza Musulmana, si anima con l’arrivo della Carovana solidale verso Rafah, “Oltre il confine” così l’abbiamo chiamata. Siamo 53 attivisti della società civile, accademici, giornalisti e diversi parlamentari italiani, di cui tre eurodeputati.
Dopo 14 mesi torniamo a Rafah, quando, con la prima carovana, trovammo centinaia di camion spiaggiati pieni di aiuti alimentari e sanitari, bloccati nel deserto dall’allora strategia israeliana di far passare gli aiuti con il contagocce.
Oggi è peggio, molto peggio. Dal 2 marzo non passa uno spillo, e le informazioni che abbiamo raccolto parlano di una vera e propria carestia per mancanza di cibo, mentre l’acqua – tagliata la corrente che alimentava i pochi potabilizzatori – è un bene essenziale particolarmente introvabile.
Si contano a decine i morti per disidratazione – qui nel Sinai già la temperatura in pieno giorno supera stabilmente i 45°. Il colera, il tifo e le varie malattie gastrointestinali sono una mannaia che falcidia i fragili: anziani/e, disabili e bambine/i.
Domani proveremo ad entrare nella Striscia. Allo stato dell’arte non sono arrivate ancora le autorizzazioni, ma saremo lì, al valico di Rafah, a denunciare l’uso della fame e della sete come strumento di guerra.
Il genocidio è in corso, tutti lo vedono e nessuno tra i potenti della terra prova a fermarlo. Nessun vertice d’urgenza per Gaza, nessuna coalizione dei volenterosi per fermare Israele.
In queste ore Netanyahu ha lanciato l’attacco finale: la deportazione dal nord e dal centro della Striscia di tutta la popolazione palestinese, che dovrà ritornare in una Rafah dove non è rimasto in piedi nulla. Solo macerie.
L’ha battezzata “Carri di Gedeone”. Si richiama direttamente alla Bibbia, nel libro dei Giudici. Vi si parla di Gedeone come un giudice, un capo incontrastato scelto per investitura divina per liberare Israele dall’oppressione. Sarà la mano di Dio a muovere quella di Gedeone, che con soli 300 uomini sbaragliò i Madianiti, obbligandoli alla fuga.
Netanyahu come Gedeone: figlio di quella destra messianica che si è impossessata d’Israele, è pronto a “liberare” la terra di Gaza e a ripulirla dai suoi legittimi abitanti per sostituirli con il popolo eletto. Come con la Nakba nel 1948. Come con la guerra di conquista del 1967. Come per tutti i territori annessi e sequestrati ai palestinesi in questi mesi in Cisgiordania.
Nessuna legge dell’umanità – il diritto internazionale – può fermare chi è convinto di agire in nome di Dio.
La nostra carovana invece pensa che il diritto internazionale, i diritti umani, siano lo spartiacque tra civiltà e barbarie. Non ci rassegniamo a quest’orrore.
Domani, a mani nude e con i nostri corpi, ci proviamo. Perché non riusciamo proprio a voltarci dall’altra parte.