Top menu

Una svolta sulle cose

In poco più di un anno, dal governo del cambiamento siamo passati al cambiamento del governo. Dalla prima fallimentare fase di questa legislatura, all’insegna di liberismo e populismo, ci attendiamo una seconda fase fondata sulla democrazia, sui diritti sociali e su un modello di sviluppo sostenibile.

L’incarico a Conte è stato dato, ma il nuovo governo non è ancora nato. Vediamo se alla fine l’unione tra PD e M5S vedrà la luce. Le incognite sono ancora molte: il programma da definire, la compagine ministeriale, ecc. In poco più di un anno, dal governo del cambiamento siamo passati al cambiamento del governo che – speriamo – possa mettere la parola fine su alcune scelte drammaticamente sbagliate, facendo invece quello che in questi mesi sarebbe stato giusto fare ed è rimasto lettera morta. 

Con una premessa: ci deve essere innovazione sul metodo, sulla forma che è anche contenuto. Serve maggiore rispetto delle istituzioni, della Costituzione e delle procedure democratiche. E serve maggiore sobrietà, meno proclami roboanti. Non siamo di fronte ad un “anno bellissimo” come aveva previsto Conte e “non abbiamo abolito la povertà”, come aveva promesso Di Maio. Evitiamo altre brutte figure. In 14 mesi il PIL è crollato, il debito pubblico aumentato, la ripresa economica rimasta al palo.

Stiamo sulle cose da fare, quelle concrete e possibili, dando il segno che si vuole veramente aprire una stagione nuova. In pochi punti, è necessario:

  1. Togliere di mezzo i due “decreti sicurezza” e tutte le norme liberticide, contrarie alla Costituzione e alle Convenzioni internazionali: serve una politica di accoglienza e di rispetto dei diritti verso i migranti. Basta con la criminalizzazione delle ONG;
  2. Reimpostare la politica economica, spostando le risorse dal taglio delle tasse alle classi benestanti agli investimenti pubblici, dal mercato all’intervento pubblico privilegiando consumi e produzioni di un modello di sviluppo di qualità e sostenibile;
  3. Investire significativamente nell’istruzione, nella sanità e nei servizi di welfare, nella tutela dei diritti civili e sociali da finanziare con una imposta patrimoniale dell’1% sui patrimoni superiori ad un milione di euro e con il taglio del 10% delle spese militari (e lo stop agli F35);
  4. Varare un Green New Deal. È prioritario un piano straordinario di riconversione ecologica dell’economia innovando produzioni e consumi, investendo risorse nella lotta ai cambiamenti climatici, nella lotta al dissesto idrogeologico, nelle economie pulite;
  5. Lanciare un Piano del lavoro che sia capace di coordinare risorse, misure legislative e politiche fondate sul ruolo dell’intervento e della spesa pubblica (anche con un programma di 10mila piccole opere) e comprenda la reintroduzione di misure di tutela dei diritti dei lavoratori e la lotta al precariato.

Cinque punti (ce ne sono anche molti altri) di un “programma minimo” che faccia respirare aria fresca, rivedendo anche i meccanismi e le procedure del reddito di cittadinanza, togliendo di mezzo le piccole e grandi flat tax che già esistono, rivedendo strutturalmente il nostro sistema pensionistico a favore dei giovani e dei lavoratori che svolgono i lavori più gravosi.

Una svolta sulle cose è dunque quella che ci aspettiamo e che misureremo già nella prossima legge di bilancio. Dalla prima fallimentare fase di questa legislatura, all’insegna di liberismo e populismo, ci attendiamo – lo speriamo – una seconda fase fondata sulla democrazia e la solidarietà, i diritti sociali e civili, un modello di sviluppo sostenibile. È questa la discontinuità di cui il paese ha bisogno.