Che fosse un’impresa difficilissima lo sapevamo tutti: il quorum ai referendum era una montagna altissima da scalare. Non ce l’abbiamo fatta, ma 14 milioni di persone sono andate a votare su quesiti importanti. Le critiche che arrivano anche da sinistra e che parlano di sconfitta sono ingenerose e politiciste.
Che fosse un’impresa difficilissima lo sapevamo tutti: il quorum ai referendum era una montagna altissima da scalare. Non ce l’abbiamo fatta, ma comunque 14 milioni di persone sono andate a votare su quesiti importanti e che per alcune settimane hanno occupato il dibattito – se non quello delle TV e dei quotidiani – delle piazze, delle fabbriche, dei quartieri popolari. Infatti è successo qualcosa di straordinario che non si vedeva da anni, forse da decenni: una mobilitazione capillare, strada per strada, con dibattiti in piazza, riunioni di caseggiato, volantinaggi e comizi volanti ai mercati e davanti agli ospedali. La CGIL e le forze che hanno fatto parte del comitato promotore (anche noi) del referendum hanno messo in campo una campagna che è arrivata in quasi tutti i comuni italiani: decine di migliaia di piccole e grandi iniziative che hanno riportato al dibattito milioni di italiane e di italiani.
Le critiche che arrivano anche da sinistra e che parlano di sconfitta in modo caricaturale sono ingenerose e politiciste, in alcuni casi spocchiose: in tre mesi abbiamo praticato una democrazia diffusa e dal basso, fuori dai talk show, dalle agenzie di stampa e – anche – dai social. Ed è veramente importante che ci sia stata una buona affluenza nei quartieri popolari e nelle aree delle fabbriche delle grandi città, dove di solito vincono le destre e la Lega. Un altro merito di questa campagna è di aver messo al centro del dibattito politico e popolare i temi del lavoro e della cittadinanza, di solito espunti dal confronto tra i partiti. Quando mai si parla di lavoro in Parlamento?
Naturalmente non mancherà occasione di fare una riflessione approfondita e anche autocritica: gli errori ci sono stati, come è naturale che sia. Ma siamo partiti con la prospettiva di una campagna referendaria in cui ci sarebbe stato anche il quesito sull’autonomia differenziata, che poi la Corte Costituzionale ha cassato: le cose probabilmente sarebbero andate diversamente. E poi c’è il “convitato di pietra” di una democrazia da tempo in crisi, dove va a votare meno della metà degli italiani, dove i partiti sono diventati delle oligarchie (o dei comitati elettorali), dove la rappresentanza ha ceduto il passo allo strapotere dei governi, che ormai fanno gran parte delle leggi, dove l’indipendenza della magistratura è stata ridotta a simulacro.
Ecco perché i referendum – pur nell’insuccesso, nel mancato risultato del quorum – hanno rappresentato una prova di democrazia, di buona democrazia: hanno rilanciato un vero e larghissimo dibattito pubblico su temi come il lavoro e la cittadinanza, hanno coinvolto milioni di cittadini, hanno praticato una democrazia diretta che è sempre un buon anticorpo per i guai della democrazia rappresentativa. Hanno ancora di più riscoperto il valore di una partecipazione che parte dal basso e che coinvolge le comunità. Anche per questo, grazie alla CGIL e alle forze che hanno promosso i referendum.