Collateralizzare il trasferimento dei crediti bancari dubbi impiegando come collaterale le quote di partecipazione al capitale di Bankitalia potrebbe riavviare il ciclo del credito
Il tema della valorizzazione delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia è tornato recentemente al centro dell’attenzione. La questione è stata richiamata dal Presidente del Consiglio di gestione di Intesa-Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, durante l’ultima Assemblea dei soci della Banca d’Italia. Attualmente le banche valorizzano la quota di possesso della Banca centrale al valore nominale, pari complessivamente ad appena 156 mila euro, con l’eccezione di Banca Carige che ha stimato il valore della Bankitalia pari a 22 miliardi di euro (ciò implica che in bilancio Carige ha iscritto la sua partecipazione del 4% a un valore di circa 900 milioni di euro). Valutazioni più prudenziali inducono a stimare il valore di mercato di Banca d’Italia intorno ai 10 miliardi di euro, un ammontare comunque ben superiore rispetto al semplice valore nominale.
A fronte di queste cifre importanti, soprattutto nella difficile fase che il mercato domestico sta affrontando, la richiesta avanzata dal sistema bancario è quella di permettere la rivalutazione delle quote di partecipazione nel capitale di Bankitalia, raggiungendo, in tal modo, un netto miglioramento dei conti economici e dei coefficienti di patrimonializzazione, nel caso in cui si dovessero accantonare maggiori risorse.
Esiste però anche un’altra strada che potrebbe offrire risultati di più ampia portata. Il problema che affligge attualmente il sistema bancario è attribuibile, principalmente, all’eccessivo peso dei crediti dubbi, e di quelli che ancora covano nascosti nelle larghe maglie dei bilanci bancari. Questi crediti di cattiva qualità costituiscono una vera e propria “palla al piede” per l’industria bancaria, non consentendo in ultima istanza di concedere ulteriore credito e determinando l’oramai famigerato credit crunch, richiamato da innumerevoli analisi. Un possibile meccanismo utile a sciogliere questo circolo vizioso consiste nell’affidare alla Banca d’Italia il compito di acquisire questi crediti dalle banche, cedendo in cambio titoli di Stato o altri attivi in suo possesso, per poi affidarli alla gestione professionale di una società di asset management, possibilmente già tra quelle operanti sul mercato ma non di origine bancaria. Il prezzo di trasferimento dei crediti dubbi andrebbe lasciato alla libera valutazione degli istituti di credito, ma in ogni caso non potrebbe eccedere il valore di mercato delle quote di partecipazione al capitale di Bankitalia. Nel caso in cui la società di gestione non riuscisse a recuperare il valore di cessione del credito, al netto degli oneri di gestione, la banca perderebbe la titolarità di un equivalente ammontare di quote di partecipazioni nel capitale di Bankitalia, che verrebbero poi trasferite all’Inps, all’Inail (già partecipanti nel capitale della Banca d’Italia al 5 e allo 0,7%, rispettivamente) e/o alle singole Regioni in proporzione alla popolazione residente.
In termini tecnici, questa operazione equivarrebbe a collateralizzare il trasferimento dei crediti bancari dubbi impiegando come collaterale le quote di partecipazione al capitale di Bankitalia. Questo meccanismo potrebbe movimentare capitali per un ammontare anche superiore al valore di mercato di Banca d’Italia se la società di gestione sarà in grado di recuperare una quota importante dei finanziamenti in sofferenza amministrati, sfruttando in particolare la maggiore specializzazione nel recupero crediti. La stessa società di gestione sarebbe in grado, poi, di raccogliere capitali dal mercato attraverso i quali finanziare l’acquisto di crediti dubbi dalle banche che non partecipano al capitale della Banca d’Italia, accelerando ulteriormente il processo di “pulizia” dei bilanci bancari.
Questo meccanismo avrebbe il duplice vantaggio di rimettere in moto il mercato del credito, e di conseguenza l’economia reale, risolvendo allo stesso tempo l’annosa questione della partecipazione di banche private nel capitale della Banca d’Italia, che per sua natura svolge invece funzioni di pubblica utilità.