È indispensabile una lista unitaria di candidati della sinistra e del mondo progressista che condividano la necessità di riorientare la costruzione europea
Nel dibattito al congresso di Sel, dove sono anche arrivati importanti messaggi di Tsipras e Schultz, molti hanno sottolineato il ritardo presente nella sinistra rispetto alle prossime elezioni europee. È un ritardo non casuale, che viene da lontano e riflette un più generale disorientamento della sinistra che si protrae da decenni; che segnala le difficoltà di riprendersi dal fallimento del comunismo reale e di riuscire a declinare nei nuovi tempi del post-neoliberismo e della post-neoglobalizzazione i suoi valori fondativi quali la lotta alle diseguaglianze e per la crescita socialmente ed ecologicamente compatibile; valori-obiettivo che anche la letteratura economica sulle cause e gli sviluppi di questa grande crisi indica sempre più diffusamente come particolarmente funzionali al suo superamento e per evitare una sua evoluzione regressiva che non è affatto da escludere.
Le prossime elezioni europee costituiscono uno snodo di fondamentale importanza che la sinistra non può sottovalutare, pena autoescludersi dal processo di accelerazione della storia innescato dalla crisi.
Negli ultimi decenni, la sinistra ha stentato a fare programmi adeguati ai nuovi tempi e coerenti ai propri valori fondativi. Spesso ha snaturato i propri ideali, assecondando una pretesa modernità che, invece, riproponeva idee vecchie confermatesi inadeguate allo stesso sviluppo capitalistico e alla sua conciliazione con la democrazia. Nei timidi e inadeguati ripensamenti della sua storia, la sinistra, anziché salvare il bambino e buttare l’acqua sporca, spesso ha fatto il contrario, per di più aggiungendovi i cascami del liberismo. Nelle forze politiche spesso hanno prevalso comportamenti e scelte da piccolo cabotaggio che hanno pregiudicato la loro capacità di rappresentanza nella società. In Italia, le frustrazioni accumulate nel ventennio berlusconiano hanno indotto molti elettori di sinistra a sperare nella possibilità di “vincere” prescindendo anche dai contenuti dei programmi. Ma accreditare le idee altrui senza condividerle non è vincere; significa invece snaturarsi, cioè perdere in modo radicale e definitivo; significa convertirsi senza crederci; significa mettersi nella condizione di non cercare nemmeno la rivincita in futuro perché la realtà della sconfitta viene opportunisticamente elaborata nel suo contrario. Le mediazioni e le alleanze sono altra cosa; in democrazia si possono e si debbono fare, ma non negando le proprie posizioni e comunque avendo in mente le strategie per realizzarle al meglio possibile.
In Europa la crisi sta interagendo come causa e come effetto con le fallimentari modalità finora seguite nel processo unitario. Tuttavia, tornare indietro non solo farebbe perdere un’occasione storica per riequilibrare i rapporti (pregiudicati dalla globalizzazione) tra le scelte individuali operate nei mercati e quelle collettive prese nelle istituzioni, ma provocherebbe un peggioramento economico, sociale e civile anche rispetto alla situazione attuale. Eppure, cresce il rischio che alle prossime elezioni europee ci sia una forte affermazione di candidati addirittura contrari all’Unione europea e di altri che persistono nel sostenere le politiche controproducenti e inique finora adottate che aggravano la crisi e aumentano la disaffezione popolare per la costruzione europea.
Le prossime elezioni potrebbero invece essere l’occasione per rilanciare la costruzione dell’Europa, invertendo la rotta fallimentare finora seguita e valorizzando i principi della sua tradizione sociale.
Quest’obiettivo richiede un sostanziale riavvicinamento dell’Unione europea ai suoi cittadini che va sostanziato con un loro coinvolgimento diretto nel parlamento da eleggere in primavera.
Un contributo convinto ed efficace da parte delle forze politiche esistenti della sinistra a quest’obiettivo sarebbe non solo molto utile allo scopo, ma anche un modo concreto per riavvicinarle alla società civile e per sciogliere le diffidenze che essa nutre nei loro confronti.
In ogni caso, in Italia la sinistra non può sottovalutare lo sbarramento del 4%, rischiare di disperdere i suoi voti e continuare a non avere affatto seggi nel parlamento europeo. Sarebbe un tracollo i cui effetti si riverbererebbero anche sugli equilibri politici nazionali e sulle loro prospettive. Dunque è indispensabile una lista unitaria di candidati della sinistra e del mondo progressista che, pur con storie personali e appartenenze diverse, condividano l’irrinunciabilità della costruzione europea in tempi rapidi e la necessità di riorientarla con politiche nuove; politiche volte a ridurre le diseguaglianze, a rilanciare e qualificare la crescita e ad aumentare la partecipazione democratica nei meccanismi decisionali; politiche che ribaltino quelle che hanno portato l’Europa alla peggiore crisi della sua storia capitalistica in tempi di pace e al declino delle sue prospettive unitarie.
L’unità e il coordinamento delle forze progressiste vanno estesi a livello europeo. La candidatura Tsipras per la presidenza europea anche simbolicamente è quella che meglio esprime le politiche che la sinistra sostiene per la costruzione europea; ed è valida anche perché, come è stato opportunamente precisato, è aperta al più vasto arco delle posizioni progressiste presenti in tutt’Europa, non implica l’adesione degli eletti alla Gue e non va intesa come contrapposta a quella di Schultz sostenuta dalle altre forze di centrosinistra. Naturalmente, dopo le elezioni sarà necessaria la convergenza su uno dei due nomi; ma questo percorso e il suo successo saranno il miglior viatico per invertire la rotta della costruzione europea.
In questi lunghi anni di fallimenti della sinistra nel nostro paese sono state bruciate anche buone occasioni per arrestare e risalire la china del suo declino. Nel cercare di capirne i motivi non va trascurato che anche in politica la generosità – sia dei singoli sia delle organizzazioni – non è solo un sentimento eticamente apprezzabile, ma è pure un segno di forza e lungimiranza. L’arroccamento sulle proprie posizioni denota invece debolezze irrisolte sulle quali è difficile o impossibile costruire alcunché. Ciò vale per tutti, nelle forze politiche e nella cosiddetta società civile.