Se l’Unione europea vuole essere per i suoi cittadini più popolare di una burocrazia senza stato, se vuole essere percepita come un’Europa nella quale i cittadini possano identificarsi, allora occorre introdurre qualcosa di completamente nuovo: un reddito di base per ciascun cittadino, quale meccanismo di compensazione degli squilibri tra Stati
Criticare è facile, fare proposte è più difficile. Qui ce n’è una, semplice e radicale, ma – vorrei far notare – ragionevole e urgente.
Un Euro-dividendo come lo chiamerò. Si tratta di versare periodicamente un modesto reddito di base ad ogni cittadino legalmente residente nell’Unione europea, o almeno nel sottogruppo di stati membri che, o hanno adottato l’euro, o si sono impegnati a farlo. Questo reddito fornisce ad ogni cittadino una base minima universale e incondizionata, che può essere integrata da redditi da lavoro e da capitale, nonché da prestazioni sociali. Il suo livello può essere diverso per i diversi paesi a seconda del costo della vita e può essere minore per i giovani e maggiore per gli anziani. Esso potrebbe essere finanziato dall’imposta sul valore aggiunto. Per finanziare un reddito minimo di circa 200,00 euro al mese per tutti i cittadini europei bisognerebbe aumentare del 20% circa la base armonizzata dell’Iva dell’Unione europea corrispondente a circa il 10% del Pil europeo.
Perché abbiamo bisogno di un piano del genere così inusuale? Per quattro ragioni. La più urgente riguarda la crisi dell’eurozona. Come mai gli Stati Uniti sono stati capaci di progredire per molti decenni in presenza di una moneta unica pur in presenza di cinquanta differenti stati dai divergenti destini economici, mentre l’eurozona è in profonda crisi dopo appena un decennio? Da Milton Friedman ad Amartya Sen, gli economisti hanno continuato a metterci in guardia sul fatto che l’Europa è priva di quei meccanismi di compensazione che fungono negli Stati uniti da potenti sostituti dell’aggiustamento tramite la variazione del tasso di cambio tra i singoli stati.
Uno di questi è la migrazione tra gli stati. La proporzione dei residenti americani che si trasferisce in un altro stato in un dato periodo è circa sei volte superiore a quella degli europei che si spostano in un altro paese. Gli europei potrebbero diventare in qualche modo più mobili, ma le nostre nette differenze linguistiche impongono pesanti vincoli a una prospettiva – o speranza – di migliorare tale meccanismo. I disoccupati di Atene non si sposteranno mai tanto facilmente a Monaco, quanto quelli di Detroit ad Austin.
Un secondo potente meccanismo di assorbimento degli squilibri che è a disposizione della zona del dollaro è il sistema automatico di trasferimenti interstatali, risultato sostanzialmente di un welfare state organizzato e finanziato in larga misura a livello federale. Se il Michigan o il Missouri incontrano difficoltà economiche, esse non entrano in una spirale negativa. Non soltanto il tasso di disoccupazione è attenuato dall’emigrazione, ma, in presenza di una riduzione del prelievo fiscale e di un maggiore esborso delle prestazioni sociali, una quota crescente delle spese sociali viene di fatto finanziata dal resto degli Usa. A seconda della metodologia usata, la stima di questa compensazione automatica può variare fra il 20% e il 40%. Nell’Ue, invece, la possibilità di contenere la crisi di uno stato membro attraverso versamenti netti fra i diversi stati membri ammonta a meno dell’1%. Dati i minori effetti che ci si può aspettare dalle migrazioni interne, l’Eurozona non può permettersi di trascurare questo secondo meccanismo. Quale forma dovrebbe assumere? Non avremo, né dovremmo avere, mai un mega welfare state europeo. Ciò di cui abbiamo bisogno è qualcosa di più modesto, ben più semplice, basato su pagamenti forfettari e quindi più compatibile con il principio europeo di sussidiarietà. Per essere funzionale, la nostra unione monetaria deve dotarsi di nuovi strumenti. Uno di questi è un meccanismo di compensazione quale è un Euro-dividendo.
Il secondo motivo per cui abbiamo bisogno di un meccanismo di trasferimento transnazionale riguardante l’Ue come un tutto. Le diversità linguistiche e culturali dell’Unione rendono la migrazione fra stati membri non solo più costosa e quindi più difficile per gli individui, ma aumenta i costi e riduce i benefici per le comunità coinvolte. L’integrazione dei migranti nel nuovo contesto, sia economico che sociale, richiede più tempo, comporta maggiori risorse amministrative ed educative e crea tensioni più permanenti di quelle che si hanno nelle migrazioni all’interno degli Stati uniti. Quando i migranti più poveri affluiscono nelle aree metropolitane più ricche, l’impressione di essere invasi da masse difficili da gestire induce a costruire barriere e a rifiutare la circolazione delle persone libere e non discriminatoria. C’è però un’alternativa: organizzare un sistema di trasferimenti sistematici dal centro alla periferia. Le persone non devono più essere sradicate e costrette ad allontanarsi dai loro parenti e dalle loro comunità per il mero bisogno di sopravvivenza. Al contrario, le popolazioni devono essere sufficientemente rese stabili in modo che l’immigrazione sia gestibile nelle aree di attrazione e che i movimenti migratori non diventino deprimenti per le aree periferiche. Se l’Unione europea con libera circolazione interna intende essere politicamente sostenibile e efficiente dal punto di vista socio-economico, deve prevedere una misura quale quella di un Euro-dividendo.
Il terzo e più importante motivo: la libera circolazione del capitale, delle persone, dei beni e servizi attraverso i confini degli stati membri erode la capacità di ciascuno di tali Stati a garantire quelle funzioni redistributive che essi svolsero con tanto successo nel passato. Gli stati membri non sono più stati sovrani capaci di stabilire le proprie priorità in maniera democratica e di consolidare vincoli di solidarietà fra i propri cittadini. Sono invece sempre più costretti ad agire come se fossero aziende, ossessionati da standard di competitività, ansiosi di attrarre o di mantenere il loro capitale o le loro risorse umane, pronti a eliminare ogni spesa sociale che non possa essere alienata come investimento e a escludere ogni progetto che attragga i welfare tourists ed altri soggetti improduttivi. Non è più la democrazia che impone le sue regole sui mercati e li usa per i suoi scopi; è il singolo mercato che impone le sue leggi alle democrazie e le impone a dare la priorità alla competitività. Se vogliamo salvare i nostri diversi modi di organizzazione della solidarietà sociale dalla stretta della competizione sociale e fiscale, parte di questa solidarietà deve essere trasferita a un livello più alto. Il potere e la diversità dei nostri sistemi di welfare non sopravvivranno alla pressione criminale della competitività, a meno che il mercato unico europeo non operi sulla base di una misura come quella di un Euro-dividendo.
Infine, è importante per il buon funzionamento dell’Unione europea che le sue decisioni siano ritenute legittime, così che governi e cittadini non si sentano autorizzati ad aggirarle in qualche maniera. Diventa fondamentale che i cittadini percepiscano in modo concreto che l’Unione fa del suo meglio per tutti, non solo per le élites, per chi può spostarsi, per coloro che sono in grado di sfruttare le opportunità, ma anche per i più deboli, per gli emarginati, per le casalinghe. Bismarck garantì la fragile legittimità della Germania unificata istituendo il primo sistema pensionistico pubblico. Se l’Unione europea vuole essere per i suoi cittadini più popolare di una burocrazia senza stato, se vuole essere percepita come un’Europa che ha cura dei suoi abitanti e nella quale i cittadini possano identificarsi, allora occorre introdurre qualcosa di completamente nuovo: un Euro-dividendo universale.
Ci sono obiezioni ragionevoli a questa proposta? Naturalmente ce ne sono. Alcune riguardano, per esempio, l’opportunità di usare l’Iva per finanziare questo progetto. È vero, l’Iva è tra le maggiori imposte quella più europeizzata. Non sarebbe più giusto usare invece la Tobin tax o una carbon tax? Si potrebbe, ma tali tasse potrebbero finanziare, in un’ipotesi ottimistica, un livello di reddito minimo di circa 10-14 euro mensili. Perché non ricorrere allora ad una più rigorosa imposta progressiva sul reddito? Perché la definizione di imposta sul reddito varia da paese a paese ed è molto sensibile a livello politico. Inoltre l’attuale imposta sul reddito è, de facto, difficilmente più progressiva dell’Iva. Sommata alle aliquote nazionali, un’aliquota del 20% per la Vat non potrebbe risultare insostenibile? Non è necessario sommarla a aliquote Vat immutate: la spesa sociale degli stati membri sarà minore e i proventi delle imposte sul reddito maggiori quale diretta conseguenza della semplice presenza dell’Euro-dividendo.
Altri potrebbero obiettare che ognuna delle quattro ragioni sopra descritte potrebbe essere garantita da un sistema più complicato e sofisticato. Molti di questi argomenti saranno certamente corretti. La mia tesi è semplicemente che nessun altro possibile meccanismo è in grado di assolvere altrettanto bene le quattro funzioni, rimanendo al tempo stesso comprensibile per il semplice cittadino.
Un’obiezione più importante è che, per quanto siano desiderabili gli effetti sperati, sarebbe ingiusto dare ad ognuno del reddito in cambio di nulla. Questa obiezione si basa su un fraintendimento: il reddito minimo non coincide con l’iniqua distribuzione dei frutti del duro lavoro di qualcuno. Si tratta piuttosto di condividere fra i cittadini europei parte dei benefici recati dall’integrazione europea nella forma di un reddito modesto. Quanto risparmiamo per non aver condotto o preparato guerre contro i nostri vicini? Quanto guadagniamo per l’aumentata concorrenza tra le nostre aziende o per l’aver permesso ai fattori della produzione di muoversi in Europa laddove sono più produttivi? Nessuno lo sa e nessuno lo saprà, ma è certo che questi benefici sono distribuiti in maniera molto ineguale tra la popolazione europea, a seconda che si tratti di persone che si spostano o restano nel loro paese, a seconda che l’integrazione europea abbia reso il loro consumo meno caro o aumentato il valore delle loro capacità umane. Un modesto Euro-dividendo è semplicemente un modo diretto ed efficiente di garantire concretamente che parte di questi benefici raggiungano ogni europeo.
Non è un’utopia? Ovviamente lo è, ma nel senso in cui la stessa idea di un’Unione europea rappresentava un’utopia fino a non molto tempo fa, e anche nel senso in cui il sistema della sicurezza sociale era utopico prima che Bismarck provvedesse a metterne insieme i primi pezzi. Ma Bismarck non creò il sistema pensionistico in virtù del suo buon cuore; lo fece perché il popolo cominciava a mobilitarsi e a chiedere riforme sociali in tutto il Reich, che egli cercava di unificare. Cosa stiamo aspettando?
Questo articolo fa parte dell’ EU Social Dimension expert sourcing project organizzato congiutamente da SEJ, ETUC, IG Metall, Hans Böckler Stiftung, Friedrich-Ebert-Stiftung e Lasaire.
Traduzione dall’inglese di Elisa Magrì