Perché in Italia all’idea di garantire un reddito minimo a ciascuno si preferisce l’erogazione senza condizioni di alcuni beni e servizi? Una riedizione del libro di Van Parijs e Vanderborght
Pubblicato nel 2005 il libro di Van Parijs e Vanderborght è tuttora, nella nuova edizione con la prefazione di Chiara Saraceno, uno dei testi più esaustivi sul controverso tema che riguarda l’introduzione di un reddito minimo universale. Per questo, in merito al dibattito pubblico che si è sviluppato in Italia negli ultimi mesi, risulta ancora oggi un’utile lettura, per focalizzare i nodi principali che riguardano le opportunità e le problematicità che comporta una sperimentazione nazionale di reddito minimo.
Il testo si suddivide in quattro parti, ognuna delle quali prova a rispondere ad una domanda tra le più frequenti rispetto al tema, in particolare se il reddito minimo universale risulta un’idea nuova, un’idea plurale, un’idea giusta e un’idea per il futuro.
Per quanto riguarda il dibattito lanciato da Sbilanciamoci.info è utile concentrarsi sulla risposta che i due autori provano a dare alle ultime due domande nei capitoli III e IV, ovvero gli effetti che l’introduzione di una misura universale di sostegno al reddito può avere sull’occupazione.
Innanzitutto Van Parijs e Vanderborght analizzano l’efficacia di una misura di reddito minimo universale rispetto all’abolizione della cosiddetta “trappola della disoccupazione” affermando che la creazione di un reddito minimo universale mira a favorire l’istituzione di uno Stato sociale “attivo” non tramite il rafforzamento del workfare (ovvero l’attivazione di dispositivi di carattere condizionali), ma garantendo che un impiego anche scarsamente retribuito possa migliorare il reddito netto del singolo rispetto ad una sua situazione di inattività.
Gli autori analizzano anche gli aspetti controversi di questo tema, in particolare come evitare che esso possa giustificare una sovvenzione all’impiego poco retribuito, proponendo il superamento della dicotomia tra il reddito minimo universale e il salario minimo, affermando una loro complementarietà. Inoltre legano il reddito minimo ad una riduzione dell’orario di lavoro per tutti, con l’obiettivo di riequilibrare tempi di vita e tempi di lavoro. Infine Van Parijs si concentra sull’aspetto che riguarda l’aumento del potere contrattuale dei lavoratori, in quanto l’introduzione di un reddito minimo universale, se da un lato favorisce l’aumento dell’offerta di lavori scarsamente retribuiti, dall’altro questi saranno accettati dai lavoratori, non sotto ricatto occupazionale, ma solo se non verranno ritenuti degradanti.
Legata a questo aspetto risulta interessante l’analisi del rapporto tra le forze sociali e l’introduzione del reddito minimo, le motivazioni che per anni hanno portato di sindacati italiani ad assumere una posizione contraria all’introduzione nel nostro paese, in particolare rispetto al possibile riassorbimento delle forme di ammortizzatori sociali esistenti. Van Parijs e Vanderborght elencano una serie di motivazioni per le quali l’introduzione di un reddito minimo dovrebbe essere gradita ai sindacati: oltre al già citato aumento del potere contrattuale in un contesto di precarizzazione del mercato del lavoro, una prospettiva rivendicativa di maggiore condivisione del tempo di lavoro (riduzione dell’orario di lavoro), nonché la spinta ad una rivendicazione collettiva di maggiori diritti e maggiori investimenti per la formazione permanente dei lavoratori, secondo l’idea originaria di flexicurity assolutamente disattesa.
Dal 2005 ad oggi le riforme del mercato del lavoro e il pervenire di una situazione di crisi globale hanno fatto emergere nel nostro paese l’esigenza di introdurre una qualche misura di reddito minimo, in forme più o meno universali. La complessità del contesto, però, oltre ad evidenziarne l’esigenza ne evidenzia anche le contraddizioni, in particolare rispetto agli effetti sull’offerta di lavoro, dato l’aumento della disoccupazione totale e della disoccupazione giovanile, ormai al 40%.
Il testo di Philippe Van Parijs e Yannick Vanderborght ci permette di accedere ad una visione complessiva del dibattito sul reddito minimo universale, utile a comprendere fino in fondo, in relazione al contesto italiano, con quali modalità iniziare un percorso di rivalutazione e di trasformazione delle nostre politiche di welfare ad oggi insufficienti, per un passaggio graduale negli anni da un Stato assistenziale ad uno Stato sociale attivo, nella misura in cui esso riesce a garantire i diritti universali di cittadinanza e non soltanto far fronte a dei bisogni specifici di alcune categorie.